Soldi ai preti o ai terremotati? Già prima che il ministro Tremonti proponesse di dirottare all’Abruzzo i già risicati fondi del cinque per mille – nati proprio per dare qualche euro al mondo del non profit in perenne difficoltà economica – da più parti si era levata la richiesta di impiegare le entrate dell’otto per mille per il terremoto. Del resto, la possibilità di destinare agli interventi straordinari per calamità naturali i soldi che lo Stato riceve dalle dichiarazioni dei redditi già esiste.
Solo che dal 2004 le Finanziarie pescano ampiamente da quel fondo, spostando circa 80 milioni di euro sulla sicurezza nazionale, compresa la guerra in Afghanistan: alle destinazioni originarie (fame nel mondo, calamità naturali, assistenza rifugiati e conservazione dei beni culturali) rimangono così solo le briciole, per il 2008 tre milioni e mezzo di euro. Se il governo si impegnasse pubblicamente a versare interamente quei soldi ai terremotati, fanno notare i Radicali e l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar), potrebbe finalmente fare competizione alla Chiesa che, grazie al controverso meccanismo che ridistribuisce l’otto per mille di tutti sulla base delle scelte di pochi, ogni anno porta a casa circa un miliardo di euro. «Lo Stato ha sempre utilizzato i fondi dell’otto per mille per scopi non condivisi dai non credenti – fa notare Raffaele Carcano, segretario nazionale dell’Uaar -. Se il governo per una volta pubblicizzasse l’impegno a versarli ai terremotati, incrementerebbe anche i finanziamenti, invece di lasciarli tutti alla Chiesa cattolica attraverso un meccanismo ben lontano da connotati di democrazia e trasparenza».
Nel mirino dei laici c’è il poco noto automatismo per cui il 40 per cento scarso dei contribuenti che esprime una scelta per l’otto per mille in sede di dichiarazione dei redditi decide la destinazione anche per chi non si pronuncia. Così, malgrado la Chiesa cattolica sia indicata solo dal 35 per cento degli italiani (l’85 per cento di quel 40 per cento che sceglie), incassa quasi il 90 per cento dei fondi. E malgrado pubblicizzi il suo impegno contro la fame nel mondo, solo 85 milioni, quindi l’8,5 per cento del totale, sono effettivamente spesi per «interventi nei Paesi del terzo mondo» (a questi, vanno aggiunti altri 30 milioni destinati a «esigenze caritative di rilievo nazionale»). Quasi l’80 per cento dell’otto per mille destinato alla Chiesa cattolica si prosciuga tra «esigenze di culto e pastorale» (42 per cento) e stipendi dei preti (37 per cento). Tutto questo a differenza di altre confessioni che, come la Chiesa valdese e la comunità ebraica, si impegnano a non utilizzare quei fondi per il sostentamento delle loro strutture. Che il finanziamento delle confessioni religiose sia poco sentito dagli italiani non lo dimostra solo la scarsa percentuale di chi firma per l’otto per mille, ma anche l’alto numero di contribuenti (60 per cento) che invece indicano l’associazione non profit da finanziare con il cinque per mille.
Da anni i Radicali chiedono di abolire definitivamente l’otto per mille: «Si tratta di un istituto bacato alla base – lamenta Donatella Poretti, senatrice radicale (gruppo Pd) – non si capisce perché si debba utilizzare l’Irpef per finanziare le confessioni religiose. Il tutto con un meccanismo di suddivisione perverso, per non dire diabolico: a differenza del 5 per mille, per cui i cittadini scelgono se dare a un’associazione altrimenti la quota rimane nel gettito fiscale, qui tutto viene prelevato comunque». Proprio in questi giorni, con i colleghi Emma Bonino e Marco Perduca, la Poretti ha presentato al presidente del Consiglio un’interrogazione per sapere se il governo «non ritenga ne- cessarlo e urgente lanciare una campagna informativa relativa alla possibilità di destinare l’otto per mille allo Stato per far fronte alle spese necessarie perla calamità abruzzese e per la conservazione di tutti i suoi beni culturali». Il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero ha chiesto che ai terremotati sia devoluto l’otto per mille inespresso.
A contestare il meccanismo è anche il coordinamento delle Consulte per la laicità delle istituzioni: «La ripartizione proporzionale delle quote non espresse è la questione meno limpida dell’otto per mille – lamenta Tullio Monti, portavoce per il coordinamento nazionale delle Consulte, che lo definisce esplicitamente «una truffa». Da anni le Consulte perla laicità delle istituzioni hanno presentato una riforma che chiede che la quota inespressa vada automaticamente ai Comuni di residenza dei contribuenti che non effettuano una scelta: «Dati i continui tagli ai Comuni, vincolare i fondi inespressi alle spese sociali e assistenziali eviterebbe tagli ai servizi essenziali e darebbe una destinazione più vicina dell’otto per mille. Sarebbe inoltre una scelta consapevole e non un prelievo forzato a favore della Chiesa». Monti si augura che qualche parlamentare raccolga la proposta di riforma che, regolando solo la suddivisione dei finanziamenti, richiederebbe semplicemente una modifica delle norme attuative senza andare a toccare leggi concordatarie, come invece presupporrebbero riforme più radicali. A partire da quella auspicata dallo Uaar, che guarda al modello tedesco, per cui solo i fedeli finanziano le Chiese di appartenenza con un prelievo ben più massiccio dell’8 per mille. I non credenti, che non usufruiscono dei servizi di nessuna confessione, non pagano nulla. «Più si parla dell’otto per mille, più non ha senso – rincara Poretti – ma in Italia si sa che Vaticano e Chiesa hanno un peso sproporzionato».
C’è poi il capitolo delle confessioni non ancora riconosciute e di quelle che, dopo aver chiesto di essere tolte dalla redistribuzione della quota inespressa, hanno poi cambiato idea e da anni attendono la ratifica. «Da anni dovrebbero essere ammesse anche altre confessioni religiose – ricorda Carcano – dai buddisti ai testimoni di Geova. Anche gli islamici non sono ancora inclusi. A giovarsi di questi ritardi è la Chiesa, che si prende quasi tutti i soldi senza veri concorrenti». A indignare i critici dell’otto per mille è anche il silenzio dello Stato: «Siamo all’omissione di un atto d’ufficio – denuncia Monti -. Del resto non mi pare che i conti pubblici siano in condizioni così floride. Forse non si vuole informare perché i soldi vadano alla Chiesa senza che i cittadini lo sappiano». Comunque anche se il governo accettasse di destinare tutto o parte del suo otto per mille ai terremotati, gli abruzzesi dovranno aspettare anni. A differenza della Chiesa cattolica che, unica tra tutti i partecipanti, riceve i soldi in anticipo. Come a dire, nel regno dei cieli gli ultimi saranno pure i primi, ma quando si tratta di raccogliere i soldi i primi rimangono primi.