Le cure palliative come risposta ferma e decisa all`eutanasia. Ne è convinto Augusto Caraceni, direttore della struttura complessa di cure palliative dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. A una settimana dall’approvazione della legge che prevede tra l’altro l’istituzione di due reti distinte una per le cure palliative e una in terapia del dolore -, il medico rassicura su eventuali rischi che qualcuno, nascondendosi dietro il cavallo di Troia della nuova normativa, ne faccia un uso distorto e lontano dai principi di questo tipo di medicina. «Le cure palliative praticate correttamente – spiega Caraceni sono il miglior antidoto all’eutanasia. E questo essere contro ogni pratica di morte, perché le cure palliative rispettano la vita fino alla sua fine naturale, è un dato di fatto riconosciuto anche con studi a livello internazionale».
Nessun dubbio allora, ma come si fa a distinguere le cure palliative da qualsiasi altra pratica che è lontana dai principi fondanti di questo genere di medicina? «Le cure palliative hanno una loro base ed autorevolezza scientifica, conquistata in anni di rigorosa pratica da decine di studiosi in tutto il mondo, a partire dalla fondatrice, la dottoressa inglese Cicely Saunders. La somministrazione dei farmaci antidolore a intervalli regolari, l’approccio multidisciplinare che include anche l’assistenza infermieristica, psicologica e spirituale sono principi fondamentali dai quale non si può prescindere». Attenzione, quindi, a non confondere le cure palliative con un’assistenza degli ultimi giorni che non sia qualificata: «Perché le cure palliative devono affiancarsi alle cure oncologiche, anche quando la malattia è ancora controllabile con la chemioterapia, seppur non guaribile, e quindi nessun paziente, che ha una diagnosi sfavorevole può essere definito terminale, solo perché è seguito da un servizio di cure palliative».
Una delle battaglie più grosse che è stata fatta sulla legge ha riguardato l’articolo 10, che ha implementato l’ordinanza emessa dal ministro della Salute Fazio e che prevedeva la semplificazione della prescrizione dei farmaci oppioidi, per i quali non è più necessario il ricettario ministeriale. In aula al Senato, durante la discussione, i radicali hanno fatto molti interventi per rimarcare la necessità di potenziare l`uso dei cannabinoidi nella cura antidolore. Ma anche qui non e è il rischio di una deriva verso pratiche eutanasiche? «L’uso corretto dei farmaci antidolore, per cui è necessario, come rimarcato anche dalla Società di cure palliative in più occasioni, che i medici siano adeguatamente formati, è universalmente dimostrato che non porta a una correlazione tra questi e l’abbreviamento della vita. Questo è un falso mito che va smentito proprio come argomento forte in opposizione alle tentazioni eutanasiche, perché, lo ripeto, non è vero».
Questa difesa delle cure palliative da parte del medico milanese porta a una definizione chiara e precisa di che cosa significa morire con dignità: «Vuol dire – afferma Caraceni morire senza dolore, con sintomi controllati, con un supporto complessivo da parte di medici, infermieri, assistenti sociali e spirituali che facciano sentire al malato e alla sua famiglia l`importanza di una vita che ha senso fino alla fine». Per questo la legge è «un passo importante per riconoscere la preparazione di chi esercita la professione medica in questo campo, senza poter fare una specializzazione post laurea, in Italia ancora non introdotta, perché la legge stabilisce che ci siano dei master professionalizzanti, un primo passo verso il riconoscimento di chi lavora da anni in questo campo».
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