Clonare l’umanità?Meglio produrre organi di ricambio

Giordano Stabile

dulbeccoIl campo è aperto. Le prospettive sono infinite. I limiti sono più tecnici che etici, perché in fondo la natura ha già posto confini precisi, come se volesse frenare i sogni di onnipotenza dell’uomo. Il pensiero di Renato Dulbecco, Nobel nel 1975, 95 anni compiuti il 22 febbraio scorso, l’uomo che ha lanciato il «Progetto Genoma» e rivoluzionato la medicina degli ultimi tre decenni, non ha incrinature di pessimismo.

 

Guarda con soddisfazione l`ultimo successo di Craig Venter, che con la manipolazione genetica ha creato un organismo, un batterio, totalmente nuovo, ma non vede mostruosità da clonazione in arrivo. «Spesso sottovalutiamo i nostri limiti tecnici e quelli che ha posto la natura stessa nell’architettura della vita. Lavorare in una cornice etica è importante, ma non credo che ci sia bisogno di imporla. Lo scienziato, nella consapevolezza della sua finitezza, se la crea automaticamente». Dulbecco, nato a Catanzaro, studente e poi partigiano a Torino, trapiantato negli Usa dal 1947 agli Anni 70, è tornato in California, a La Jolla, da 3 anni. Ed è ancora in prima linea nella ricerca, supportato da una collaboratrice storica, Ileana Zucchi. «Stiamo approfondendo la conoscenza sulle cellule tumorali, in particolare sulle staminali tumorali. Quello del Dna è un campo in continua evoluzione, per questo è così eccitante. Ma non bisogna mai fermarsi ai primi risultati. Quando sono state scoperte le cellule staminali tumorali, qualcuno ha pensato: "Distruggiamo quelle, ed è fatta". Ora, assieme alla professoressa Zucchi, abbiamo scoperto che c’è tutta una famiglia di cellule staminali tumorali, con una precisa gerarchia».

Ci sono quindi le «cancer stem cells» (Cscs), con una precisa capacità di riprodursi infinitamente e di provocare metastasi, e cellule progenitrici, non immediatamente identificate come staminali, perché non possono replicarsi, ma che danno un contributo fondamentale dalla diffusione di un tumore nell’organismo. «E` chiaro quindi che non basta attaccare le Cscs, bisogna anche prendere in considerazione le progenitors. Ma ho l’impressione che siamo solo all`inizio delle comprensione dei meccanismi di sviluppo dei tumori. E per capirli dovremo concentrarci sui marcatori del Dna che consentono a queste cellule di vivere e spostarsi nel corpo. Alla fine è sempre al Dna che torniamo». La cosa sorprendente è che queste cellule progenitrici si sviluppano come le cellule della mammella durante la gravidanza. «E` un legame tra vita nuova e tumori, che portano la morte, e può essere inquietante, ma ci dice molto della sofisticata architettura della vita, quasi una verità filosofica». Il Dna, secondo Dulbecco, è la chiave più sofisticata a disposizione per aprire questa architettura. Vita e morte danzano abbracciate, tanto che alcuni ricercatori hanno ipotizzato che malattie degenerative come il diabete siano legati a geni che in passato, in condizioni più difficili, hanno salvato la nostra specie, massimizzando l’assimilazione degli zuccheri, per esempio.

«E` un’idea suggestiva e i ricercatori hanno sempre bisogno di buone idee, e anche di fantasia, accanto alla competenze tecniche». Fantasia che però non si debbono trasformare in incubi. «La donazione umana? Fa paura, ma bisogna vedere se sarà possibile, e conveniente, arrivarci. Credo che una prospettiva più credibile sia la riproduzione di organi compatibili per i trapianti. E` una strada più logica». Ma non c’è solo la medicina. Dulbecco vede importanti vie da battere anche nell’agricoltura, dove le manipolazioni del Dna potrebbero schiudere la possibilità di vincere la battaglia contro la fame. «Siamo una specie in aumento, ma che ha sempre trovato la soluzione ai suoi problemi. Sono fiducioso anche questa volta».