La laicità di questo gruppo politico-giornalistico deve essere intesa in un senso assai lato. Non tratta solo di rapporti Stato-Chiesa, evidentemente, ma di molto altro ancora. Nel corso del libro si parla a lungo di giustizia e Stato di diritto, di libertà sessuale e di omofobia, di diritti della donna e di razzismo. Una laicità intesa dunque come impegno civile, cultura democratica, libero pensiero, spirito critico: concetti declinati in tante sfumature diverse, per lo più a commento di specifici episodi di cronaca.
L’introduzione di Calamani attacca proprio così: “Ma questo cosa c’entra con la laicità?” è infatti un’obiezione che capita di sentirsi eccepire spesso, da parte di chi è rimasto ancorato a una visione strettamente istituzionale della questione. A chi distingue fra una laicità positiva e una negativa, la curatrice risponde che “la laicità non è aggettivabile”; anche Carlo Flamigni intitola la sua prefazione “Laicità senza aggettivi”. Non esiste alcuna laicità malata, ingiusta e chiusa, sostiene Calamani. Personalmente, non condivido affatto questa affermazione. Tutta la storia contemporanea, dalla rivoluzione francese alla guerra civile spagnola, dal nazionalismo al comunismo, è costellata dalle violenze e sopraffazioni da parte di culture laiche sì, ma del tutto illiberali. Dunque una laicità illiberale esiste eccome, anche se non si tratta affatto di quella impropriamente definita “laicista” dal Vaticano e dai clericali. Di conseguenza, esiste una laicità liberale, incentrata sulla rigorosa neutralità dello Stato nei confronti di tutte le confessioni e in generale del fenomeno religioso, che deve essere libero di manifestarsi nella società, senza penetrare nella statualità. Se lo Stato è “positivo” verso la religione certo non può dirsi laico, se viceversa è “negativo” cessa di essere liberale. Liberale o illiberale, ecco due buoni aggettivi volti a qualificare in modo decisivo la laicità, termini che tuttavia sfuggono completamente a Calamani e Flamigni, tanto da non comparire né nell’introduzione della prima, né nella prefazione del secondo. La discussione sulla laicità resta perciò apertissima, anche in campo laico. Ed è un bene che sia così, altrimenti che laicità sarebbe?
Tornando al libro, la raccolta costituisce un vasto e utile promemoria, in un’epoca in cui l’informazione arriva e fugge velocissima, al ritmo di un clic, al punto che a tutti capita di dimenticare episodi anche importanti della vita politica e culturale del paese (almeno: a me succede). E’ anche uno strumento efficace, perché i 22 co-autori si rivelano tutti, senza eccezione, ottimi giornalisti e penne brillanti, in possesso di un notevole background, mettendo a disposizione dei sostenitori della cultura laica un’ampia gamma di argomenti e di “pezze d’appoggio” che tornano comodi nel dibattito pubblico.
Pur senza schierarsi, la pubblicazione manifesta una spiccata simpatia per i Radicali, come dimostrano fra l’altro le interviste a Mario Staderini e Filomena Gallo, segretari rispettivamente di Radicali Italiani e dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Da un punto di vista radicale, si può dire che il contenuto di “Un anno di Cronache Laiche” è condivisibile ben oltre il 90% (infatti il libro è stato presentato nella sede del partito a Roma, poche settimane fa). Ma per concludere con una nota critica, è da notare che l’articolo di Alessandro Chiometti “Tollerare o non tollerare, questo è il dilemma”, a pagina 115, rappresenta l’esatto contrario di quanto sostenuto e praticato dal Partito radicale in oltre 60 anni di lotta politica. La democrazia non può permettersi di tollerare gli intolleranti, sembra dire Chiometti, che non a caso cita, a sostegno, la XII disposizione transitoria finale della Costituzione, che vieta la ricostituzione del Partito nazionale fascista. La democrazia “deve” tollerare l’esistenza di forze antisistema, invece, se non vuole mettere nelle mani del governo strumenti illiberali che prima o poi, inevitabilmente, finirebbero per ritorcersi contro la democrazia stessa.