di Carlo Troilo*
Sul testamento biologico e più in generale sulle scelte di fine vita vedo con preoccupazione rafforzarsi due linee di pensiero che giudico negativamente e che mi rafforzano nell’idea – che porto avanti da anni – che sarebbe stato preferibile affrontare insieme e fin dall’inizio i due temi del testamento biologico e della eutanasia. Era infatti facile prevedere che anche attestandosi su una proposta più riduttiva (solo il testamento biologico) comunque si sarebbe manifestata l’opposizione dei cattolici integralisti e sarebbe giunta l’accusa di avere come vero obiettivo l’eutanasia.
La prima linea di pensiero è quella della “zona grigia”, efficacemente illustrata da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 2 febbraio. La politica ed il diritto “dovrebbero essere tenuti fuori dalla porta al di là della quale sono in gioco le questioni ultime dell’esistenza…..Occorrerebbe coltivare, nella riservatezza e nella discrezione, una zona grigia, protetta da una necessaria ipocrisia, nella quale le decisioni sul caso singolo….restano affidate alla sensibilità e alla pietas del medico che ha in cura il malato e ai sentimenti delle persone che lo amano. Che è quanto si è sempre fatto, checché ne dicano certi sepolcri imbiancati”.
La seconda linea di pensiero è quella di quanti paventano la “deriva eutanasica” cui rischierebbe di portare il testamento biologico: una preoccupazione – ma più spesso una brutale invettiva – delle gerarchie vaticane e delle forze politiche che si richiamano alle direttive del Vaticano. Già due anni or sono il professor D’Agostino, presidente dei giuristi cattolici, aveva dato la linea sul “Corriere della Sera”, affermando che i disegni di legge sulla eutanasia hanno come fine ultimo quello di “liberarsi dei malati terminali oppure dei malati che costano troppo, come i neonati con spina bifida”. Ed è la linea che ha ispirato in questi mesi innumerevoli dichiarazioni di alti prelati e di politici cattolici integralisti.
Ma quel che colpisce di più è che nell’ultimo mese anche personalità della politica e della cultura che sono state dalla parte degli Englaro hanno espresso allarme per il rischio di “deriva euatanasica”. Tre esempi significativi.
Luciano Violante su “Il Riformista” del 29 gennaio: “C’è la preoccupazione che il testamento biologico sia l’anticipazione dell’eutanasia. Se così fosse, sarei il primo ad essere contrario. Ma l’eutanasia è cosa del tutto diversa e va bandita, a mio avviso, non solo per il valore della vita, ma anche perché alla fine potrebbe riguardare soprattutto i malati più poveri o quelli più soli”.
Barbara Spinelli su “La Stampa” del 5 febbraio: “Va ascoltata anche la paura dell’eutanasia….È già accaduto nella storia, e se esiste un tabù sull’eutanasia non è senza ragione. Non se ne può parlare leggermente: è talmente incerto il confine con il crimine. Chi decide infatti se una vita debba considerarsi indegna d’esser vissuta? Il malato o la società, la legge? Se decide il collettivo, il rischio è grande che non avremo la bella morte ma la morte utile alla società, alla razza (sic!), alla nazione, o alle spese sanitarie”.
Antonio Polito su “Il Riformista” del 27 febbraio riporta un suo colloquio, apparso poi in un libro-intervista, con Ralf Dahrendorf poco dopo l’approvazione della legge sull’eutanasia in Olanda: “Appena approvata quella legge pur così prudente – diceva Dahrendorf – immediatamente qualcuno ha proposto la distribuzione di una <pillola per il suicidio> che consenta al malato di decidere da sé quanto ritiene che la sua vita sia finita”.
Eppure, gli autori dei tre articoli sanno benissimo che sia nelle leggi approvate in pochi paesi europei (Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera), sia in quelle in preparazione o in discussione in Gran Bretagna, Francia e Spagna, sia infine in tutti i numerosi ddl giacenti da anni nel Parlamento italiano l’eutanasia è prevista sempre e solo per un malato inguaribile che la richieda per sé, nel pieno delle sue capacità mentali, e mai per una terza persona, magari “povera e sola”. E sanno anche che in tutti questi ddl è prevista una griglia molto stretta di controlli e di garanzie. Va dunque respinto con forza il tentativo di presentare quanti sostengono il testamento biologico – ed anche l’eutanasia – come una setta di assassini intenta ad organizzare una nuova “strage degli innocenti”.
Penso che questo sia uno dei problemi principali da affrontare in questa fase: ribadire e spiegare che l’eutanasia é sempre e solo un fatto attivo e che non c’é eutanasia quando un malato incurabile decide semplicemente di lasciarsi morire. Non a caso il codice penale (articoli 579 sullo “omicidio del consenziente” e 580 sul “suicido assistito”) sanziona come reati due comportamenti “attivi”, quello di chi uccide il malato e quello di chi lo aiuta a suicidarsi, mentre non sanziona la scelta di chi si suicida o tenta il suicidio.
Infine, val la pena di riflettere su cosa si nasconde all’interno della “zona grigia” e su qual’é la vera “deriva”.
Recentemente, il senatore Marino ha ricordato ancora una volta lo studio condotto nell’ottobre del 2007 in 84 reparti di rianimazione e di terapia intensiva di tutta Italia dall’Istituto Mario Negri di Milano. Ne risulta che delle trentamila persone che muoiono ogni anno in questi reparti quasi ventimila, il 62%, lo fanno grazie all’aiuto del medico rianimatore. Nel 48% dei casi le famiglie danno il loro consenso; per gli altri, se non sono presenti i parenti, è il medico a farsi carico interamente della decisione. Ecco cosa avviene nella “zona grigia”: l’eutanasia clandestina di massa.
Infine, penso che la vera “deriva” sia quella dei mille malati terminali, tre al giorno, che ogni anno si tolgono la vita perché non possono chiedere di essere aiutati dalla sanità pubblica a morire rapidamente e senza sofferenze (sono dati ufficiali dell’ ISTAT che per primo ho reso pubblici nel marzo del 2006, dopo che un mio fratello, malato terminale di leucemia, aveva fatto questa tragica scelta)). La deriva sono altresì i molti vecchi gravemente malati e sofferenti che si suicidano, per lo più con una dose massiccia di barbiturici e con l’amichevole silenzio dei medici di famiglia, e che l’ISTAT non potrà mai rilevare. La deriva sono i 90 mila malati di cancro che ogni anno muoiono fra sofferenze indicibili per mancanza di adeguate terapie del dolore. Quanti di loro, se fosse consentito, sceglierebbero la “dolce morte” anziché la “morte atroce”?
E’ questo che si vuole anche per il futuro? Sono questi i connotati della “zona grigia” e i risultati della “necessaria ipocrisia”? E’ questa la pietà dei cattolici?
• Membro della direzione della Associazione Luca Coscioni