Di seguito, una lista delle disobbedienze civili che hanno avuto luogo dopo l’emanazione della sentenza 242/2019 da parte della Corte costituzionale, sul caso Cappato/Antoniani.
Elena Altamira
Chi è Elena
Elena Altamira (prima nota come “Adelina” nome di fantasia, utilizzato a tutela della privacy) era affetta da microcitoma polmonare, una patologia oncologica molto grave, per la quale, sin dalla sua scoperta, i medici avevano prospettato rare possibilità di sopravvivenza.
Nonostante ciò, Elena si è sottoposta a tutte le cure necessarie per tentare di, almeno, rallentare il decorso della malattia. Tuttavia, una volta ricevuta la notizia di avere davanti a sé pochi mesi di sopravvivenza, caratterizzati da un drastico peggioramento delle sue condizioni e dei sintomi della malattia, aveva deciso di recarsi in Svizzera per accedere al suicidio medicalmente assistito.
Perché la Svizzera?
Diversamente da Federico Carboni, Elena non soddisfava uno dei quattro requisiti individuati dalla Corte costituzionale con la sentenza 242/2019, e cioè non era tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale; per tale motivo non le era possibile fare richiesta di accesso a tale pratica in Italia.
Dopo aver contattato il numero bianco dell’Associazione Luca Coscioni per ricevere le dovute informazioni, ha assolto tutti gli adempimenti burocratici richiesti dalla Svizzera, dove si è recata, accompagnata da Marco Cappato, il 1 agosto 2022.
Dopo aver effettuato gli ultimi controlli presso la clinica svizzera, in osservanza della legge elevetica, Elena ha confermato la sua volontà per poi accedere al suicidio medicalmente assistito il 2 agosto.
L’autodenuncia
Marco Cappato si è autodenunciato presso la Stazione dei Carabinieri – in Via Fosse Ardeatine – di Milano il 4 agosto, esponendo i fatti relativi all’assistenza fornita a Elena. Ancora una volta, il Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni rischia di essere condannato per il reato di istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), punito con la reclusione fino a 12 anni, per aver materialmente accompagnato Elena in Svizzera.
È importante evidenziare che il caso di Elena, come già anticipato, è molto diverso da quello di Dj Fabo e Federico perché a differenza di questi ultimi, Elena non era tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale.
Ne consegue che non rientrando in quelle ipotesi tassativamente previste dalla Corte costituzionale, non poteva accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia e l’averla accompagnata in Svizzera determina l’integrazione di una condotta (ancora) penalmente rilevante nel nostro ordinamento.
Le indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Milano e tese ad accertare se Marco Cappato abbia integrato il reato di aiuto o assistenza al suicidio per aver accompagnato Elena in Svizzera, dove poi ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito, non sono ancora concluse.
In data 19 settembre 2023, è arrivata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano la richiesta di archiviazione ex artt. 408 e seguenti del codice di procedura penale nei confronti di Marco Cappato.
I Pubblici Ministeri, Dott.ssa Tiziana Siciliano e Dott. Luca Gagliò, dopo una scrupolosa e attenta ricostruzione dei fatti e del quadro normativo in materia di fine vita oggi vigente in Italia, si sono concentrati sul requisito dirimente del trattamento di sostegno vitale concludendo che, anche in virtù delle precise consulenze tecniche acquisite, chi – come Marco Cappato – agevoli il suicidio di una persona capace, affetta da una malattia irreversibile e da sofferenze intollerabili, che rifiuti di sottoporsi a trattamenti di sostegno vitale esercitando un diritto costituzionale, non solo non commetta il reato di aiuto al suicidio previsto dall’articolo 580 del codice penale bensì consente il concreto esercizio del diritto all’autodeterminazione della persona malata.
L’interpretazione costituzionalmente orientata suggerita e richiesta dalla Procura di Milano conferma la legittimità dell’intenzione dichiarata e delle azioni di disobbedienza di Marco Cappato, volte a superare un requisito discriminatorio che di fatto impedisce a tante persone malate non ancora dipendenti da trattamenti vitali, di poter rifiutare di sottoporsi a forme di sostegno vitale dolorose per se stesse e per le loro famiglie.
La richiesta così argomentata chiede quindi l’archiviazione del procedimento penale a carico di Marco Cappato.
I Pubblici Ministeri hanno però, in via subordinata, richiesto che, nel caso in cui il Giudice per le indagini preliminari non ritenesse accoglibile l’interpretazione proposta – e cioè che alla sottoposizione ai trattamenti di sostegno vitale si debba assimilare il rifiuto di sottoporvisi qualora questi siano futili, espressivi di accanimento terapeutico e fonte di ulteriori sofferenze per il malato e coloro che lo accudiscono – la questione venga rimessa alla Corte costituzionale affinché si pronunci sul contrasto tra il requisito della presenza di un trattamento di sostegno vitale (inteso in senso restrittivo) e il principio di eguaglianza ex art. 3 Costituzione.
La GIP, la dottoressa Sara Cipolla, con ordinanza del 21 giugno 2024 ha rigettato la richiesta di archiviazione formulata dai PM e rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 580 del codice penale “nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di perdona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita per violazione degli art 2, 3, 13, 32, 117 Cost in riferimento agli art. 8 e 14 Cedu”.
La Corte costituzionale quindi, negli stessi giorni in cui è chiamata a decidere la questione di legittimità costituzionale sempre relativa all’art. 580 cp per l’aiuto fornito a Massimiliano, è nuovamente interrogata dalla magistratura sulla legittimità costituzionale del requisito dei trattamenti di sostegno vitale.
Paola
Chi è Paola
Paola, donna 89enne di Bologna, come Romano era affetta da una grave forma di Parkinson che le impediva qualsiasi possibilità di movimento e rendeva quasi impossibile anche la comunicazione verbale.
Paola, come Elena, Romano e Massimiliano, non era tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (intesi come: presidi, farmaci o macchinari sanitari con la funzione di rallentare il progredire della malattia e quindi l’evento morte): e cioè uno dei quattro requisiti tassativi individuati dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale nell’ambito del procedimento che vedeva Marco Cappato imputato per l’aiuto fornito a DJ Fabo.
Paola dipendeva dall’assistenza fornita da terze persone per poter espletare tutte le attività e le funzioni di vita quotidiana.
Perché la Svizzera
Paola non era tenuta in vita da presidi sanitari, ma sopravviveva grazie all’assistenza fornita da terze persone. Tuttavia, solo negli ultimi mesi abbiamo assistito, grazie ad alcune Commissioni mediche multidisciplinari – come nel caso di “Gloria e Anna”, a pareri positivi di sussistenza dei requisiti di cui alla sentenza n. 242/2019 anche nel caso in cui il richiedente sia effettivamente mantenuto in vita dall’assistenza continua di terze persone o sia sottoposto a terapie chemioterapiche.
Quindi, visto il progressivo peggioramento delle sue condizioni, l’aumento delle sofferenze ormai intollerabili e la prospettiva di perdere anche ogni facoltà residua di poter comunicare, Paola si rivolgeva a Marco Cappato per essere accompagnata in Svizzera.
Nel febbraio 2023, Felicetta Maltese e Virginia Fiume, entrambe attiviste iscritte all’associazione Soccorso Civile, hanno accompagnato Paola in Svizzera dove ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito l’8 febbraio.
L’autodenuncia
Il 9 febbraio 2023, presso il Comando dei Carabinieri di Bologna, Felicetta Maltese, Virginia Fiume e Marco Cappato si sono autodenunciati, esponendo i fatti relativi all’aiuto fornito a Paola.
Le prime per aver materialmente accompagnato Paola in Svizzera; Cappato, invece, in qualità di legale rappresentante dell’associazione Soccorso Civile che ha organizzato e finanziato il viaggio verso la Svizzera.
La richiesta di archiviazione
Pochi giorni dopo l’autodenuncia, il 13 febbraio, il Procuratore della Repubblica di Bologna, il PM Giuseppe Amato, chiedeva l’archiviazione delle indagini.
Il pubblico ministero, richiamando anche il processo Trentini, riteneva che la signora Paola era in realtà tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, facendovi rientrare anche i “trattamenti farmacologici la cui riduzione potrebbe determinare un peggioramento delle condizioni e portare poi alla morte”.
L’udienza davanti al GIP
Il 29 marzo 2023 si è svolta l’udienza davanti al GIP di Bologna per decidere sulla richiesta di archiviazione proposta dalla Procura della Repubblica.
Gli avvocati Filomena Gallo, Francesca Re, Francesco Di Paola e Rocco Berardo, per il collegio legale di studio e difesa (a cui partecipano anche Marilisa D’Amico, Benedetta Liberali, Irene Pellizzone, Iole Benetello, Stefano Bissaro e Massimo Clara), che assistono gli indagati Marco Cappato, Felicetta Maltese e Virginia Fiume, hanno insistito per l’accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dalla Procura della Repubblica e in subordine richiesto di rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Consulta per un suo nuovo intervento relativamente al requisito del trattamento di sostegno vitale.
Ad oggi il Tribunale di Bologna non ha ancora deciso sulla richiesta di archiviazione.
Romano
Chi è Romano
Romano un signore di 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, affetto da una grave malattia neurodegenerativa: una forma di Parkinsonismo atipico, che dal 2020 gli impediva di svolgere in autonomia anche le più semplici attività di vita quotidiana e lo costringeva a letto, tra forti dolori muscolari, in una condizione irreversibile.
Dopo aver maturato la scelta di voler porre fine alle sue sofferenze ed essersi reso conto dell’impossibilità di procedere in Italia, ha chiesto aiuto a Marco Cappato per raggiungere la Svizzera ed evitare conseguenze legali per i suoi familiari.
Perché la Svizzera
Romano, come Elena, non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (intesi come: presidi, farmaci o macchinari sanitari con la funzione di rallentare il progredire della malattia e quindi l’evento morte) e cioè uno dei quattro requisiti individuati dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale nell’ambito del procedimento che vedeva Marco Cappato imputato per l’aiuto fornito a Dj Fabo.
Romano aveva però dipendeva da una assoluta e completa assistenza da parte di terzi.
Romano è morto il 25 novembre 2022, in Svizzera perché nel nostro Paese non esiste ancora una legge in materia di fine vita e la fonte di riferimento, la sentenza “Cappato”, prevede che possa accedere al suicidio medicalmente assistito solo chi sia anche tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Ma Romano, le cui condizioni di salute peggioravano velocemente, non voleva e poteva più attendere i lunghi tempi per le verifiche del SSN.
Solo negli ultimi mesi abbiamo assistito, grazie ad alcune Commissioni mediche multidisciplinari – come nel caso di “Gloria”, a pareri positivi di sussistenza dei requisiti di cui alla sentenza n. 242/2019 anche nel caso in cui il richiedente sia effettivamente mantenuto in vita dall’assistenza continua di terze persone o sia sottoposto a terapie chemioterapiche.
L’autodenuncia
Il 26 novembre 2022 Marco Cappato si è autodenunciato esponendo i fatti relativi all’aiuto fornito a Romano presso il Comando dei Carabinieri di Milano per l’aiuto fornito a Romano nel raggiungere la clinica svizzera dove ha avuto accesso alla morte medicalmente assistita.
In data 19 settembre 2023, è arrivata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano la richiesta di archiviazione ex artt. 408 e seguenti del codice di procedura penale nei confronti di Marco Cappato.
I Pubblici Ministeri, Dott.ssa Tiziana Siciliano e Dott. Luca Gagliò, dopo una scrupolosa e attenta ricostruzione dei fatti e del quadro normativo in materia di fine vita oggi vigente in Italia, si sono concentrati sul requisito dirimente del trattamento di sostegno vitale concludendo che, anche in virtù delle precise consulenze tecniche acquisite, chi – come Marco Cappato – agevoli il suicidio di una persona capace, affetta da una malattia irreversibile e da sofferenze intollerabili, che rifiuti di sottoporsi a trattamenti di sostegno vitale esercitando un diritto costituzionale, non solo non commetta il reato di aiuto al suicidio previsto dall’articolo 580 del codice penale bensì consente il concreto esercizio del diritto all’autodeterminazione della persona malata.
L’interpretazione costituzionalmente orientata suggerita e richiesta dalla Procura di Milano conferma la legittimità dell’intenzione dichiarata e delle azioni di disobbedienza di Marco Cappato, volte a superare un requisito discriminatorio che di fatto impedisce a tante persone malate non ancora dipendenti da trattamenti vitali, di poter rifiutare di sottoporsi a forme di sostegno vitale dolorose per se stesse e per le loro famiglie.
La richiesta così argomentata chiede quindi l’archiviazione del procedimento penale a carico di Marco Cappato.
I Pubblici Ministeri hanno però, in via subordinata, richiesto che, nel caso in cui il Giudice per le indagini preliminari non ritenesse accoglibile l’interpretazione proposta – e cioè che alla sottoposizione ai trattamenti di sostegno vitale si debba assimilare il rifiuto di sottoporvisi qualora questi siano futili, espressivi di accanimento terapeutico e fonte di ulteriori sofferenze per il malato e coloro che lo accudiscono – la questione venga rimessa alla Corte costituzionale affinché si pronunci sul contrasto tra il requisito della presenza di un trattamento di sostegno vitale (inteso in senso restrittivo) e il principio di eguaglianza ex art. 3 Costituzione.
La GIP, la dottoressa Sara Cipolla, con ordinanza del 21 giugno 2024 ha rigettato la richiesta di archiviazione formulata dai PM e rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 580 del codice penale “nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di perdona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita per violazione degli art 2, 3, 13, 32, 117 Cost in riferimento agli art. 8 e 14 Cedu”.
La Corte costituzionale quindi, negli stessi giorni in cui è chiamata a decidere la questione di legittimità costituzionale sempre relativa all’art. 580 cp per l’aiuto fornito a Massimiliano, è nuovamente interrogata dalla magistratura sulla legittimità costituzionale del requisito dei trattamenti di sostegno vitale.
Massimiliano
Chi è Massimiliano
Massimiliano, toscano 44enne, era affetto da sclerosi multipla che lo aveva quasi completamente paralizzato e reso faticoso parlare. Negli ultimi anni di vita il dolore era diventato insopportabile e l’impossibilità di muoversi e di compiere qualsiasi attività in modo autonomo faceva sentire Massimiliano in gabbia, senza alcuna prospettiva. Così ha contattato Marco Cappato, per ricevere il suo aiuto a raggiungere la Svizzera dove porre fine alle sofferenze ormai diventate insopportabili e senza alcuna possibilità di regressione, vista l’irreversibilità della sua patologia.
Perché la Svizzera
Massimiliano non dipendeva ancora da trattamenti di sostegno vitale intesi in senso restrittivo o meccanico o classico (come: presidi, farmaci o macchinari sanitari con la funzione di rallentare il progredire della malattia e quindi l’evento morte) come previsto dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale nell’ambito del procedimento che vedeva Marco Cappato imputato per l’aiuto fornito a Dj Fabo.
Massimiliano era affetto da patologia irreversibile fonte di sofferenza per lui intollerabile, era pienamente capace di autodeterminarsi.
Massimiliano dipendeva da una assoluta e completa assistenza da parte di terzi.
Ma il veloce progredire della malattia, le sofferenze sempre più insopportabili e i dolori sempre più acuti, lo avevano fatto arrivare alla conclusione di non voler attendere oltre.
Massimiliano, infatti, non voleva e non poteva attendere di essere tenuto in vita da un presidio sanitario così come non voleva e non poteva attendere le verifiche da parte del SSN.
Nel dicembre 2022 è stato quindi accompagnato in Svizzera da Felicetta Maltese e Chiara Lalli, entrambe iscritte all’associazione Soccorso Civile.
Massimiliano è morto lontano da casa sua l’8 dicembre 2022.
L’autodenuncia
Il 9 dicembre 2022, presso la Stazione dei Carabinieri di Santa Maria Novella a Firenze, Felicetta Maltese e Chiara Lalli insieme a Marco Cappato si sono autodenunciati, esponendo i fatti relativi all’aiuto fornito a Massimiliano e consistito nell’averlo accompagnato presso la clinica Svizzera dove ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito e nell’aver provveduto con il pagamento dell’auto attrezzata per trasporto disabili al trasporto.
In data 19 ottobre 2023, dunque dopo circa 10 mesi di indagini,
Verificando la possibilità di applicazione della causa di non punibilità, così come delineata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 242/2019, il Pubblico Ministero ha effettuato una disamina delle quattro condizioni previste per la persona malata, ritenendo non sussistente quella di cui alla lettera c), ovvero il trattamento di sostegno vitale, ritenendo anche però, che la condotta posta in essere Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese sia da ritenersi rientrante negli atti preparatori e quindi non penalmente rilevante, così motivando la richiesta di archiviazione.
Infine, in subordine scrive che qualora ‘il giudice [per le indagini preliminari] ritenesse integrata nel caso di specie la tipicità di aiuto al suicidio, al momento di valutare l’applicazione agli indigati della causa di non punibilità dell’articolo 580 codice penale dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, come modificata dalla sentenza della Corte costruzione 242/19, nella parte in cui prevede tra i requisiti di liceità della condotta di aiuto al suicidio la circostanza che l’aiuto sia prestato a favore di “persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, per contrasto con gli articoli 3, 13 e 32 della Costituzione.
In data 23 novembre 2023, si celebrava davanti al Giudice per le indagini preliminari (GIP), dottoressa Agnese Di Girolamo, una udienza in camera di consiglio per verificare la sussistenza dei presupposti per la richiesta di archiviazione così come prospettata dal Pubblico Ministero e, con motivazioni diverse, richiesta anche dai difensori degli indagati che in subordine chiedevano fosse sollevata la questione di legittimità costituzionale sul requisito della presenza dei trattamenti di sostegno vitale.
La GIP ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero e dai difensori degli indagati perché la condotta degli indagati non ricade nelle ipotesi di non punibilità introdotte dalla sentenza Cappato-Antoniani della Corte costituzionale, poiché Massimiliano non aveva un trattamento di sostegno vitale, strettamente inteso. Quindi risulterebbero soddisfatte tre condizioni su quattro del giudicato costituzionale.
La Giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 17 gennaio 2023, ha quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale “dell’art. 580 del codice penale, come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale», per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
La Corte costituzionale
L’udienza davanti alla Corte costituzionale si è tenuta il 19 giugno 2024 e la Corte si è riservata. Ora, quindi, i Giudici delle leggi dovranno stabilire se l’articolo 580 del codice penale, così come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019, sia costituzionalmente illegittimo là dove prevede tra i requisiti per accedere al suicidio medicalmente assistito la presenza di “trattamenti di sostegno vitale”.
Con sentenza n. 135/2024, depositata il 18 luglio 2024, la Corte costituzionale pur affermando la legittimità del requisito di “trattamento di sostegno vitale” ne ha dato una più ampia interpretazione.
Ha difatti affermato che devono intendersi come “trattamenti di sostegno vitale” anche quelle procedure – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario appositamente formato, ma che possono essere apprese anche da familiari o “caregivers” che assistono il paziente, e sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo.
Ha inoltre affermato che, ai fini della sussistenza dei requisiti indicati dalla sentenza n. 242/2019, può dirsi soddisfatto il criterio del “trattamento di sostegno vitale” anche nel caso in cui la persona malata, nell’esercizio della propria autodeterminazione terapeutica, abbia rifiutato un simile trattamento.
Sibilla
Chi è Sibilla
Sibilla era una paziente oncologica, consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni, che da oltre 10 anni combatteva contro una patologia oncologica.
Nel luglio 2023 i medici accertavano l’irreversibilità e la fase terminale della patologia oncologica: Sibilla aveva un’aspettativa di vita inferiore ai tre mesi.
Così Sibilla, consapevole delle sue condizioni e non volendo arrivare ad uno stato di incoscienza totale, decideva di accedere all’aiuto alla morte volontaria e ad agosto inviava la richiesta di verifica delle condizioni di cui alla sentenza n. 242 del 2019 alla propria ASL e inoltre prendeva contatti con una clinica Svizzera, a cui inviava tutta la documentazione necessaria per ottenere la cosiddetta “luce verde”.
Perché la Svizzera
A fine agosto si riuniva il comitato etico territorialmente competente che, acquisita la documentazione medica aggiornata, confermava la presenza di tutti i requisiti indicati dalla Consulta per accedere all’aiuto alla morte volontaria e inviava apposita comunicazione interna all’Azienda Sanitaria.
Successivamente, e solo a seguito di una diffida dei legali di Sibilla, a metà settembre, la competente ASL procedeva alle opportune verifiche delle sue condizioni di salute. Secondo la commissione aziendale con i medici che hanno visitato la paziente e altri membri con altre competenze, Sibilla non possedeva tutti i requisiti per accedere all’aiuto alla morte volontaria in Italia: la ASL opponeva il proprio diniego perché dagli esami condotti non riteneva sussistente il requisito del trattamento di sostegno vitale.
In realtà Sibilla era dipendente da ossigenoterapia e da farmaci per il dolore che, se interrotti, avrebbero portato velocemente a una morte dolorosa. Inoltre, al diniego non erano neppure allegati la relazione medica della commissione multidisciplinare e neanche il parere del Comitato etico competente, documenti che erano stati richiesti dai legali.
Per questi motivi Sibilla, tramite i suoi legali, si opponeva al diniego della ASL. Opposizione che però non trovava alcun riscontro da parte dell’Azienda Sanitaria.
Sibilla, che nel frattempo aveva ottenuto la “luce verde” dalla Svizzera e visto il progressivo peggioramento delle sue condizioni, dato anche il parere negativo della competente ASL e non volendosi trovare in una situazione di incapacità, ha quindi deciso di autosomministrarsi il farmaco letale lontana da casa sua, dalla sua famiglia, e andarsene quindi in Svizzera.
In quest’ultimo viaggio Sibilla è stata accompagnata dal figlio, Vittorio, e da Marco Perduca già senatore radicale, dell’Associazione Luca Coscioni e iscritto all’Associazione Soccorso Civile.
Sibilla moriva il 31 ottobre 2023 come non avrebbe voluto, lontana dai suoi affetti, perché nonostante avesse dei trattamenti di sostegno vitale, in Italia le è stato negato in modo illegittimo e ingiustificato il diritto di autodeterminarsi nel suo fine vita.
Solamente in data 3 novembre (quando Sibilla era già morta), i suoi legali hanno ricevuto il parere del Comitato Etico che confermava la sussistenza per Sibilla dei requisiti indicati dalla Corte costituzionale mentre apprendevano dal verbale della Commissione Aziendale che questa non abbia potuto aderire al parere positivo del Comitato Etico in quanto riteneva che non vi fosse il trattamento di sostegno vitale e, addirittura, ‘che le condizioni attuali non sono coerenti con sofferenze fisiche intollerabili’.
L’autodenuncia
Il 7 novembre 2023 Vittorio, Marco Perduca e Marco Cappato si autodenunciavano presso il Comando dei Carabinieri di Roma, “Vittorio Veneto”, per l’aiuto fornito a Sibilla.
I primi due per averla accompagnata fino alla clinica svizzera, fornendole tutto l’aiuto necessario anche dal punto di vista fisico, viste le aumentate difficoltà a deambulare autonomamente e le difficoltà respiratorie di Sibilla; l’ultimo, in qualità di rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile che ha organizzato e sostenuto il viaggio di Sibilla.
Non solo, ma il giorno successivo – l’8 novembre 2023 – presso la Polizia giudiziaria di Montecitorio, a Roma, si autodenunciavano anche il Sen. Ivan Scalfarotto, l’On. Riccardo Magi e Luigi Manconi, già senatore e Presidente della Commissione Diritti umani, e con loro nuovamente Marco Cappato in qualità di rappresentante legale di Soccorso Civile, per l’aiuto fornito nell’organizzazione dell’ultimo viaggio di Sibilla, tutti nella qualità di associati all’Associazione Soccorso Civile.
L’esposto contro la ASL Roma 1
Il 7 novembre, inoltre, sempre presso il Comando dei Carabinieri “Vittorio Veneto” a Roma la famiglia di Sibilla depositava un esposto contro la ASL Roma 1, per i reati di rifiuto d’atti d’ufficio e tortura e, solamente il figlio Vittorio, anche per il reato di violenza privata essendo stato costretto, a causa del diniego illegittimo della ASL, ad accompagnare la madre in Svizzera ed esponendosi, in tal modo, al rischio di essere condannato per l’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) che è punito con la reclusione da 5 a 12 anni.
Margherita
Chi è Margherita
Margherita Botto aveva 74 anni ed era una professoressa universitaria di lingua e letteratura francese e stimata traduttrice letteraria.
A settembre 2023, Margherita riceveva la diagnosi di adenocarcinoma al terzo stadio, non operabile e con metastasi diffuse e ulteriori formazioni.
Margherita iniziava così un protocollo di cura, definito dagli stessi medici come “di contenimento” del tumore: non aveva quindi alcuna speranza di guarigione.
Margherita, preso atto della sua condizione clinica, aveva espresso consapevolmente, al fratello e agli amici, la sua volontà di porre fine alla propria vita in modo dignitoso, senza ulteriori sofferenze fisiche e psicologiche.
Pur riluttante, per amore del fratello e degli amici che la incoraggiavano a tentare la cura proposta, intraprendeva comunque il percorso chemioterapico di contenimento ma a causa dei gravi effetti collaterali decideva, insieme ai medici curanti e al medico responsabile del protocollo di cure, di sospendere la terapia.
Margherita, quindi, decideva di accedere all’aiuto alla morte volontaria non avendo possibilità di cura e non volendo continuare a soffrire.
Perché la Svizzera
Margherita non poteva, e non voleva, attendere che la propria ASL completasse le procedura di verifica delle condizioni di cui alla sentenza n. 242/2019 per poter accedere all’aiuto alla morte volontaria in Italia, consapevole che data la fase avanzata e terminale del tumore la risposta avrebbe potuto tardare, costringendola così a morire come non avrebbe voluto.
Margherita temeva anche una lettura restrittiva del requisito dei trattamenti di sostegno vitale da parte della propria ASL che avrebbe potuto determinare un diniego alla sua richiesta, sebbene la terapia cui era sottoposta aveva lo scopo di “contenimento” del tumore e quindi di posticipare l’evento morte.
Margherita, lo scorso ottobre, con l’aiuto del fratello Paolo contattava la Dignitas e otteneva la cosiddetta “luce verde” e contestualmente prendeva, sempre con l’aiuto di Paolo, anche contatti con Marco Cappato per avere assistenza durante il viaggio, che non avrebbe potuto affrontare da sola.
Marco Cappato metteva in contatto Margherita e il fratello Paolo con Cinzia Fornero, iscritta a Soccorso Civile e disponibile ad accompagnare Margherita in Svizzera.
Veniva così organizzato il viaggio per il 27 novembre. Dopo essere arrivata presso la clinica svizzera e aver completato la procedura, il giorno successivo Margherita si autosomministrava il farmaco letale ponendo così fine alle sue sofferenze.
L’autodenuncia
Il 29 novembre presso il Comando dei Carabinieri “Duomo Principale” di Milano si autodenunciavano per l’aiuto fornito a Margherita Botto il fratello Paolo, per aver aiutato la sorella a prendere contatti con la clinica svizzera e averla accompagnata, Cinzia Fornero, in qualità di iscritta a Soccorso Civile che aveva accompagnato Margherita in Svizzera, e Marco Cappato, in qualità di rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile.
— Ultimo aggiornamento pagina: 19 luglio 2024 —