La presenza di “trattamenti di sostegno vitale” è uno dei requisiti previsti dalla Corte costituzionale per poter accedere al cosiddetto “suicidio medicalmente assistito” attraverso in Sistema Sanitario Nazionale in Italia.
Quando con la sentenza 242/2019 la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità parziale del reato di aiuto al suicidio in occasione della vicenda Cappato/Antoniani, aprì un varco al diritto di essere aiutate a morire per le persone in certe condizioni di malattia.
In quell’occasione, dovendosi esprimere in relazione al caso specifico di Fabiano Antoniani -cieco e tetraplegico a causa di un incidente stradale e che respirava con l’aiuto di un ventilatore artificiale-, la Corte costituzionale individuò 4 condizioni per la non punibilità dell’aiuto medico alla morte volontaria: la presenza di una malattia irreversibile; che produca sofferenze fisiche o psichiche intollerabili; la presenza di un trattamento di sostegno vitale e la volontà libera e consapevole.
Già a seguito della prima ordinanza della Corte costituzionale del 2018, proprio sul requisito del sostegno vitale, si espresse il Comitato nazionale per la bioetica (CNB). Secondo l’orientamento dominante del CNB, “ritenere necessaria la dipendenza da tecnologie di sostegno vitale creerebbe una discriminazione irragionevole e incostituzionale fra quanti sono mantenuti in vita artificialmente e quanti, pur affetti da patologia anche gravissima e con forti sofferenze, non lo sono o non lo sono ancora”.
Quali trattamenti sono considerati di “sostegno vitale”?
Per rispondere alla domanda su quali trattamenti sono considerabili come di “sostegno vitale”, riportiamo a seguire quanto scritto su Quotidiano Sanità dal dott. Davide Mazzon, già Direttore UOC Anestesia e Rianimazione Belluno, membro del Comitato Etico per la pratica clinica ULSS 1 Regione Veneto e Vicepresidente OMCeO Belluno:
La complessità della moderna prassi clinico-assistenziale rende palese che il “trattamento di sostegno vitale” non possa riferirsi ad uno specifico apparecchio tecnologico, né ad un singolo presidio clinico-assistenziale, né ad una somministrazione farmacologica, né ad una o più pratiche assistenziali che, in modo esclusivo, consentano alla persona malata il prolungamento della sopravvivenza. E’ invece l’uso simultaneo ed integrato di apparecchi, presidi, farmaci, di atti sanitari di competenza medica e infermieristica, che si concretizza in un piano il quale, applicato secondo le specifiche necessità di ciascun caso, consente la ottimizzazione di cure estremamente complesse in persone con malattie gravi, progressive ed a prognosi infausta in tempi più o meno lunghi.
I trattamenti sanitari di supporto al mantenimento in vita della persona gravemente malata possono spaziare da apparecchi esterni per la sostituzione integrale o parziale di funzioni vitali (es. ventilatore, emodialisi, apparecchi di vario tipo per supportare la funzione di pompa cardiaca, ecc), a dispositivi impiantati per “protezione” dalla insorgenza di Eventi Avversi (es. pacemaker cardiaci, defibrillatori automatici, ecc), a dispositivi esterni o impiantati per la erogazione di farmaci o di stimolazioni elettriche per il trattamento di patologie che richiedono particolari infusioni o neurostimolazioni (es. diabete, m. di Parkinson, Dolore Neuropatico, ecc). Ma “trattamenti di sostegno vitale” possono considerarsi anche la semplice Ossigenoterapia, indispensabile per moltissime persone affette da Insufficienza respiratoria da malattie cardiorespiratorie, neurologiche, ecc., nonché i farmaci in grado di mantenere la persona gravemente malata in compenso cardiovascolare, respiratorio, neurologico, metabolico, immunitario, ecc., rallentando l’evoluzione di malattie croniche progressive ad evoluzione fatale e prevenendone le riacutizzazioni che possono implicare pericolo di vita. E ancora nella categoria di “trattamenti di sostegno vitale” vanno fatti rientrare gli strumenti assistenziali di gestione infermieristica necessari per garantire la tracheoaspirazione, lo svuotamento di vescica ed intestino anche attraverso stomie esterne, nonché il trattamento di lesioni cutanee di frequente insorgenza in persone allettate o con problemi cardiocircolatori.
Risulta quindi assolutamente ragionevole qualificare come “trattamenti di sostegno vitale”, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente, l’insieme integrato di trattamenti sanitari medico-infermieristici che mantengono in vita pazienti “cronicamente critici” e non un singolo apparecchio/presidio/farmaco.
A conferma di ciò, il requisito del sostegno vitale è stato in questi anni più volte interpretato dalle Corti e dai Comitati etici in modo estensivo.
Il caso “Davide Trentini” – Nel giudicare la punibilità di Mina Welby e Marco Cappato per l’aiuto fornito a Davide Trentini, la Corte d’Assise di Massa e poi la Corte d’Appello di Genova si sono espresse sul tema. In particolare la Corte d’Appello di Genova, assolvendo in via definitiva Cappato e Welby, estese il significato di “trattamento di sostegno vitale” alle terapie farmacologiche in assenza delle quali la persona -in questo caso Trentini- sarebbe arrivato comunque alla morte.
Il caso di “Gloria” – L’azienda sanitaria veneta, nel valutare la presenza dei requisiti per l’accesso al “suicidio assistito” di “Gloria” (nome di fantasia a tutela della privacy della signora), ha considerato i farmaci antitumorali mirati come trattamento di sostegno vitale e ha quindi fornito riscontro favorevole alla sua richiesta. “Gloria” ha avuto accesso alla morte medicalmente assistita il 23 luglio 2023 e, per la prima volta in Italia, il farmaco letale e gli strumenti per la sua autosomministrazione sono stati forniti dalla competente ASL.