Processo Cappato: discussione di Filomena Gallo in Corte costituzionale

Note di udienza- Discussione – Avv. Filomena Gallo redatte con la collaborazione degli avvocati Irene Pellizzone e Stefano Bissaro

Questa difesa intende offrire alcune ulteriori riflessioni a sostegno dell’accoglimento della questione. Si intende, prima di tutto, rimarcare che l’accoglimento manipolativo della questione, nei termini proposti dalla parte privata a codesta ecc.ma Corte, non comporterebbe l’individuazione, il riconoscere, che esiste sempre e in ogni caso un diritto a lasciarsi morire, ma solo che, nelle eccezionali situazioni come quella di cui si tratta, coloro che assistono materialmente non devono essere puniti.

Insomma l’espansione della sfera di liceità di una precisa ipotesi di agevolazione materiale al suicidio, posta in essere dall’agente in chiave strettamente esecutiva dell’altrui volontà di accedere ad un farmaco letale.

Vogliamo cioè sottolineare, in via preliminare, che la richiesta rivolta a codesta ecc.ma Corte riguarda una ipotesi del tutto eccezionale, quale è quella del soggetto che si attivi, con finalità di tipo solidaristico, per agevolare la realizzazione del proposito di un malato affetto da una patologia irreversibile in una condizione di dolore senza speranza, che esiste il diritto a non soffrire più. Solo su queste basi, quindi, la condotta agevolativa dell’agente – oggi irragionevolmente attratta nell’orbita dell’art. 580 c.p. – rappresenta un elemento accessorio e strumentale rispetto alla libera ed autonoma decisione del malato di porre fine alle proprie sofferenze.

Una condotta, insomma, che costituisce soltanto un antecedente, un presupposto utile per mettere il soggetto che soffre di una patologia non più reversibile nelle condizioni di potersi determinare secondo le proprie volontà. In definitiva, non si sta chiedendo a codesta ecc.ma Corte di affermare l’esistenza nell’ordinamento dell’obbligo di assicurare un diritto a morire, ma semplicemente di riconoscere una sfera di agere licere per l’ agevolatore, nei circoscritti casi di cui si è detto e che verranno ora più puntualmente indicati.

L’intervento “chirurgico” che si chiede di operare a codesta ecc.ma Corte si innesta nelle sole fattispecie in cui la condotta del soggetto, che intende porre fine alla propria vita, consiste:

  1. nell’accedere ad un “suicidio medicalmente assistito”;
  2. suicidio assistito ritenuto dall’autore della condotta principale l’unica via rispetto ad una condizione patologica irreversibile per porre fine alle proprie sofferenze;
  3. e rispetto al quale la condotta dell’ agevolatore si pone come elemento accessorio e non comprende l’esecuzione dell’ultimo atto di assunzione del farmaco letale.

Quando la rinuncia alle cure è percepita come fonte di gravi sofferenze per sé, l’assunzione medicalmente assistita di un farmaco letale, compiuta dal diretto interessato e previa garanzia della libertà di esprimere la propria volontà fino all’ultimo atto della procedura medica, può rappresentare infatti l’unica via sostenibile dall’interessato per esercitare il suo diritto costituzionale protetto dall’art. 32 Costituzione.

È in questi casi palesemente irragionevole, dunque, ritenere punibile la condotta dell’ agevolatore, tenuto conto che il trattamento penale previsto dall’art. 580 c.p. non riguarda – né potrebbe farlo – le condotte di quanti agevolano materialmente l’attuazione della scelta, posta in essere in via ultimativa da un medico, di rifiutare le cure. In questo secondo ordine di casi, infatti, allo stesso modo che nei casi di agevolazione nell’attuazione della scelta di porre fine alla propria vita mediante assunzione di un farmaco letale, il diretto interessato rinuncia a vivere.

Tuttavia, solo e soltanto in questo secondo ordine di casi la condotta di chi agevola materialmente l’interessato nella scelta di interruzione delle terapie è lecita.

Non si sta qui dibattendo – si badi bene – di una egoistica pretesa del soggetto che ha preso tale scelta, ma di ipotesi in cui le sofferenze derivanti dalla rinuncia alle cure per sé si traducono nell’insopprimibile esigenza di avvalersi di un farmaco letale nella fase finale della propria vita.

La scelta di questa modalità di condotta, per le dolorose condizioni in cui il malato si trova, è strettamente contigua alla sfera più intima e incoercibile dell’esercizio della libertà costituzionale di rifiuto delle cure. L’effetto palesemente incongruo dell’art. 580 c.p. è dunque di relegare l’autore di tale scelta in condizioni di totale solitudine, privandolo della possibilità di essere affiancato dai propri cari, siano essi familiari o soggetti altrimenti a lui legati affettivamente, in questo drammatico momento, a meno di non volerli gravare del rischio di incorrere in una sanzione penale.

Si badi bene, la pronuncia di accoglimento qui proposta consentirebbe alle sole condotte di  agevolazione materiale della volontà liberamente, consapevolmente e autonomamente determinatasi, di diventare non punibile.

Fermo restando tale indefettibile presupposto, la possibilità per l’autore della condotta penalmente rilevante di agevolare, nei limitati modi sopra descritti, il malato in questa tragica fase, potrebbe anche avere effetti dissuasivi, in quanto è connaturato ad una condotta meramente esecutiva dell’altrui volontà, quale si assume dovrebbe essere quella oggetto dell’intervento manipolativo di codesta ecc.ma Corte, il dovere di appurare, mediante tentativi di dissuasione, che tale scelta sia realmente voluta.

Così come è avvenuto con Fabiano dove Marco Cappato ha ripetutamente proposto altre soluzioni, circostanza provata e confermata durante il processo a Marco Cappato.

L’effetto palesemente sproporzionato dell’attuale perimetro dell’art. 580 c.p., d’altra parte, è messo in evidenza dall’attrito con la legge n. 219 del 2017, che tutela a livello legislativo, come noto, il diritto del malato capace di intendere e di volere di rifiutare i trattamenti sanitari e impone al medico di alleviarne le sofferenze, nel rispetto delle tutele costituzionali del necessario rispetto della persona umana.

Infatti, in un ordinamento in cui tale diritto è assicurato, è palesemente irragionevole la perdurante previsione di una pena per chi assiste, nei termini circoscritti di cui si è detto, colui che si è determinato a porre fine alla propria vita in un dato momento, mediante un suicidio medicalmente assistito, poiché percepisce la dolorosa prosecuzione della sua esistenza o la drammatica e potenzialmente lunga agonia derivante dalla rinuncia alle cure.

A questo proposito, ci si limita ad osservare che, benché l’art. 32 Costituzione non compaia tra i parametri costituzionali evocati nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, illumina l’orizzonte della questione di legittimità costituzionale, fungendone da presupposto logico. Ciò si evince indubbiamente dalla lettura dell’ordinanza di rimessione, permeata in più punti dal dettato di questa norma costituzionale, parametro implicito che codesta ecc.ma Corte, in ossequio alla sua consolidata giurisprudenza, può ampiamente valorizzare nell’esaminare il merito della questione.

D’altra parte, il riconoscimento costituzionale della libertà di scelta di rinunciare alle cure, che consente al malato di circondarsi del sostegno dei propri cari, rende manifestamente irragionevole questa previsione. Proprio per questo, l’espansione della sfera di liceità della condotta dell’ agevolatore è l’unico modo per rendere il perimetro dell’art. 580 c.p. conforme al principio di ragionevolezza.

D’altra parte, non sarebbe certo il primo caso di dichiarazione di incostituzionalità̀ di norme penali contrastanti con diritti costituzionali inviolabili e fondamentali mediante decisioni additive che riducono l’area di applicazione della sanzione penale, dunque in bonam partem, ma senza per questo porre nel nulla il presidio della sanzione penale a favore della protezione di soggetti fragili.

Si pensi al riguardo alla sentenza n. 27 del 1975, in cui l’art. 546 c.p. è stato dichiarato illegittimo “nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre”.

La storica decisione è particolarmente utile nel caso di specie, perché́ la Corte costituzionale, nel dispositivo della sentenza, ha rinviato alla motivazione delle decisione quanto all’oggetto dell’accertamento medico, posto a condizione della liceità̀ dell’aborto, sfruttando abilmente quanto distesamente affermato nel considerato in diritto per evitare una vanificazione dei confini comunque posti dalla Costituzione a tutela dell’interesse alla vita del nascituro e per contenere il rischio di una indiscriminata pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza.  A questo proposito, la sentenza n. 229 del 2015 costituisce un più recente – fondamentale – precedente, che dimostra come rientri pacificamente tra i poteri di codesta ecc.ma Corte quello di intervenire con dispositivi manipolativi in bonam partem in materia penale, adeguando scelte di politica criminale non più legittime all’evoluzione dell’ordinamento.

Diversamente, il mancato riconoscimento di un attrito tra l’attuale contorno dell’art. 580 c.p. e gli artt. 2, 3, 13, 32 Costituzione porta ad una compressione di tali diritti irragionevole, non essendo essa giustificata dalla esigenze di bilanciamento con altri diritti o interessi costituzionali, dato che il bene vita delle persone circuite non guadagna un surplus di tutela per il fatto che le maglie della norma penale sono capaci di includere anche i casi come quello di Fabiano Antoniani. Sul punto, può̀ essere utile richiamare la sentenza n. 162 del 2014, che ha rinvenuto nell’assolutezza del divieto di fecondazione eterologa una violazione del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 della Costituzione, tale da determinare il sacrificio o la compressione di diritti fondamentali in misura incompatibile con il dettato  costituzionale”. Sacrificio che invece indubbiamente, alla luce di quanto detto, il caso Cappato dimostra essere assolutamente sproporzionato ed eccessivo nell’art. 580 del codice penale.

Tra i precedenti costituzionali di rilievo, vi è poi la sentenza n. 96 del 2015, in tema di accesso delle coppie fertili, portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, alla diagnosi genetica preimpianto.

Pure in assenza di una procedimentalizzazione prevista in via legislativa, codesta ecc.ma Corte non si è sottratta dall’adottare una pronuncia di incostituzionalità al fine di tutelare diritti costituzionalmente rilevanti.

Dinanzi alle comprensibili preoccupazioni del giudice costituzionale, è doveroso peraltro sottolineare che tutte le condizioni sopra enucleate, in presenza delle quali la previsione della pena risulta manifestamente irragionevole, sono tassativamente elencate e accertabili.

In conclusione, la rigidità dell’art. 580 c.p., che tratta indistintamente una serie di condotte del tutto eterogenee, impone a codesta ecc.ma Corte di intervenire. A questo proposito, vale la pena sottolineare, nonostante sia stato già menzionato nelle memorie da questa parte, il caso Pretty contro Regno Unito, deciso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2002. Se allora la Corte di Strasburgo ha potuto valorizzare degli elementi di flessibilità nella normativa inglese che punisce l’assistenza al suicidio, così non sarebbe per l’art. 580 c.p., meccanicamente esteso ai drammatici eventi di cui si sta discutendo. Ad avviso di questa parte, allora, la Costituzione non solo afferma, ma richiede un intervento manipolativo di codesta ecc.ma Corte.

Chiedo l’accoglimento della questione nei termini proposti nelle memorie di questa parte.