Una cosa è certa: gli embrioni non servono
Anche tra alcuni addetti ai lavori, c’è la convinzione – profondamente errata – che le staminali in terapia servano esclusivamente al trapianto. Da qui la necessità di farle fungere, in sostanza, da fucine, da fabbriche per la produzione di cellule da trapiantare. Su questo verte l’intera discussione pubblica, eppure è una visione superficiale e riduttiva come passo, almeno spero, a dimostrare. Una cellula staminale che funga da sorgente ottimale di cellule per trapianto deve innanzitutto possedere un buon potenziale proliferativo, cioè moltiplicarsi molto bene in coltura, in condizioni controllate e facilmente manipolabili, producendo un numero enorme di cellule in maniera prevedibile e riproducibile. Alcuni sostengono che le staminali embrionali sono ottime, mentre le staminali tessuto specifiche non sempre lo sono. Non è proprio così. Per esempio, le staminali dell’epidermide – tessuto specifiche per eccellenza, come si ricorderà – sono in grado di produrre le cellule sufficienti a ricoprire l’intera superficie di un essere umano per ben tre volte, partendo da un minuscolo lembo di pelle. Proliferano bene anche quelle dello stroma del midollo osseo, che possono poi essere utilizzate per protesi ossee e cartilaginee.
Ma al di fuori di questi due settori, è ancora difficile che le staminali prelevate da un tessuto umano adulto possano essere facilmente moltiplicate fuori dall’organismo e poi trapiantate. E questo spiega in gran parte la posizione dei fautori delle embrionali. Va però ricordato che la difficoltà nel coltivare le staminali adulte viene ampiamente ripagata dal fatto che le cellule così ottenute sono derivate dal paziente stesso (“autologhe”) e quindi non soggette a rigetto perché un loro trapianto è in pratica un autotrapianto. Per un autotrapianto di cellule ottenute a partire da staminali embrionali, bisogna creare un apposito embrione per clonazione, cioè per trasferimento del nucleo di una cellula adulta del paziente in un ovulo. Si potrebbe pensare di usare staminali tratte da embrioni in soprannumero, crioconservati nelle cliniche per la fecondazione assistita, di cui i genitori non hanno più bisogno, ma esprimerebbero le caratteristiche immunologiche dell’embrione da cui derivano, geneticamente diverso dal paziente al quale sarebbero destinate. Il suo organismo non le riconoscerebbe, perciò sarebbero attaccate dal sistema immunitario e rigettate. In secondo luogo, si possono ottenere quantità enormi di staminali tessuto specifiche senza prelevarle da un tessuto adulto.
Compaiono già negli stadi più tardivi della vita dell’embrione e del feto (mentre gli organi vengono abbozzati), parecchio tempo dopo il periodo in cui si trovano le staminali embrionali. Così, i vari tessuti dell’embrione prima e del feto poi (nella specie umana la classificazione embrione si usa fino alla dodicesima settimana, dopo di che si parla, appunto, di feto) contengono staminali specifiche del sistema sanguigno, dei muscoli, del cervello e così via. Sono un po’ diverse da quelle adulte. Se, durante la vita adulta, si occupano del “mantenimento” dell’integrità dei tessuti, durante lo sviluppo in utero lo fanno se è necessario ma, in primis, sono deputate a formare e accrescere l’organo e il tessuto a cui appartengono. Questa funzione di “accrescimento” significa che possiedono caratteristiche simili alla loro controparte adulta, per esempio la capacità selettiva di produrre le cellule mature del tessuto di residenza, ma con una capacità di moltiplicazione molto alta, a volte comparabile a quella delle staminali embrionali. In altre parole, le staminali tessuto specifiche fetali sono, in un certo qual modo, un’entità biologica ibrida che unisce gli aspetti positivi delle staminali embrionali (proliferazione elevata) e di quelle adulte (predisposizione a produrre cellule mature senza necessità di interventi dall’esterno). Ma non hanno i “difetti” di entrambe, vale a dire l’incapacità a differenziare spontaneamente in cellul e mature del tipo desiderato, oltre alla tumorigenicità da un lato e la scarsa capacità proliferativa dall’altro. E, cosa in assoluto importantissima, le staminali fetali possono venire da feti abortiti spontaneamente, per incidenti, malformazioni o semplice casualità. Si tratta, in tutto e per tutto di cadaveri da cui, previa autorizzazione dei genitori, si possono ottenere cellule per donazione da cadavere, seguendo norme etiche ormai collaudate e socialmente condivise. (…)
E se fosse disponibile una sorgente di cellule adulte in possesso di tutte le caratteristiche delle staminali embrionali, vale a dire capacità di crescita e di dare origine a tutti o quasi i tipi di cellule mature di un organismo? Sarebbe un passo avanti enorme, senza problemi di rigetto e questioni etiche di alcun genere. Queste cellule esistono, sono le Macps, una sigla che sta per «Multipotent Adult Progenitor Cells», cellule progenitrici adulte e multipotenti. Queste cellule, molto rare, risiedono nel midollo osseo, assieme alle staminali del sangue, e possono essere estratte e moltiplicate in coltura per tempi anche lunghissimi. Non solo proliferano attivamente, ma sono pluripotenti come le staminali embrionali e possono generare tutti i tessuti, cartilagine, pelle, intestino, cervello ecc. Purtroppo, al momento, sono state isolate solo nei topi e bisogna attendere che siano scovate anche nel midollo osseo umano. La scoperta di queste cellule da parte di Catherine Verfaillie è stata la ciliegia (e che gran ciliegia!) su una torta che cuoceva da tempo e che in molti hanno cercato di far bruciare. Vedete, il dogma generale prevede che le staminali di un tessuto producano solo cellule che in quel tessuto risiedono, da cui il nome dato alle staminali somatiche, per quanto tecnicamente non preciso, di staminali tessuto specifiche. Nel 1998, Fulvio Mavilio, Giulio Cossu e Giuliana Ferrari hanno pubblicato il primo articolo, tutto italiano, mostrando che, nei topi, le cellule sanguigne poss ono produrre cellule muscolari. Per quanto i due tessuti abbiano una comune origine embrionale, questo lavoro fu il primo a dimostrare come cellule di un dato tessuto possono, in realtà, generare cellule di un altro. Quando ho letto l’articolo su Science, mi è preso un colpo. Ero in Canada, e con i canadesi avevamo pronto per la pubblicazione un articolo che dimostrava che le staminali del cervello adulto potevano produrre cellule sanguigne. Il lavoro è uscito nel 1999 e, a dispetto delle critiche che ricevemmo, è stato confermato con cellule umane nel 2001, da un nostro lavoro in cui le stesse cellule (anche umane) producevano muscolo, e poi da un lavoro recentissimo che mostra come i vasi sanguigni possono prendere origine da staminali cerebrali adulte. Da allora sono state pubblicate decine di ricerche che dimostrano l’inter-convertibilità delle staminali di un tessuto in cellule di un altro, sebbene molti cerchino di smentire queste scoperte. Lo scontro su questo fronte è grande tanto quanto quello su staminali embrionali e adulte. Il punto dolente è questo. Se esistono cellule come quelle di Catherine Verfaillie e fenomeni di trans-differenziamento come quelli che ho appena descritto, allora una parte del nostro corpo potrebbe essere in grado di curarne un’altra, e la necessità di embrioni umani non sarebbe più così pressante. (…)
Non intendo affatto sminuire il potenziale terapeutico delle staminali embrionali, ma solo chiarire che, oggi, non offrono terapie praticabili. Non è giusto discutere dell’eticità dell’utilizzo di embrioni umani (da cui queste cellule si isolano) come se le terapie fossero dietro l’angolo. Pur di convincere il grande pubblico e il legislatore a decidere nel senso da loro desiderato, spesso i fautori della clonazione di embrioni o quelli che vantano i risultati ottenuti con le staminali embrionali si affrettano a precisare che da queste cellule dipende, in modo imprescindibile, la cura del morbo di Alzheimer, della sclerosi later ale amiotrofica, del morbo di Parkinson e di altre malattie ancora. Curiose affermazioni se si considera che se esiste un tessuto per cui è possibile generare miliardi di miliardi di cellule utilizzando staminali tessuto specifiche, senza alcuna necessità di far uso di embrioni, questo è proprio il cervello con le sue staminali cerebrali.
Siamo ormai di fronte a una vera e propria gara, i cui aspetti economici hanno pessimi effetti sul comportamento di molti i quali hanno spesso grossi conflitti d’interesse. Spesso ci si dimentica che la cura dei malati più disperati deve avvenire nel rispetto di valori morali condivisi, e innanzitutto nel rispetto della vita umana. Mi auguro che qualcuno vinca presto la gara a chi sconfiggerà per primo una di queste malattie perché ne ho paura anch’io, per me e per i miei cari, come tutti. Ma mi fa arrabbiare il fatto che nel dibattito non si tenga conto di tutte le ricerche e di tutte le evidenze disponibili, citandone solo una parte, spesso a sproposito. E non ho ancora finito di protestare. Il trapianto di staminali – embrionali o meno – domina il dibattito. Non dovrebbe. È una possibilità fra le altre. Esistono tecniche che utilizzano il potenziale rigenerativo intrinseco delle staminali somatiche senza doverle per forza coltivare e trapiantare. Si può, inoltre, utilizzare quella che viene definita «mobilizzazione delle cellule staminali», sia ai fini terapeutici (è già utilizzata in clinica) sia per lo sviluppo di terapie (in fase di sperimentazione di base o preclinica). Queste tecniche non richiedono la moltiplicazione delle cellule staminali una volta estratte dall’organismo e isolate: la ottengono in vivo, nell’organismo stesso grazie alla semplice iniezione di fattori di crescita e di citochine. Somministrandoli in particolari combinazioni è possibile stimolare la proliferazione delle staminali di un organo ben preciso direttamente là dove risiedono nel loro tessuto. Questa proliferazione aumenta il numero di stamina li e, insieme, quello delle cellule mature che esse producono all’interno dell’organo bersaglio. Ha già applicazioni cliniche: una riguarda un miglioramento della tecnica descritta prima per la cura dei tumori del sangue.
Al paziente vengono fatte semplici iniezioni di fattori di crescita e le staminali sanguigne si moltiplicano e si riversano nel sangue. Questo viene prelevato dal paziente, se ne raccolgono le staminali e si mettono da parte mentre proseguono i cicli di cure radioterapiche o chemioterapiche, dopo di che le staminali “mobilizzate” vengono trapiantate a ricostruire il sistema ematopoietico. La stessa tecnica si sta ora sperimentando su altri organi. (…) Il trapianto di cellule è uno degli aspetti alla base della terapia cellulare, importante ma non il solo. La focalizzazione su questo aspetto e non su altri, già utilizzati in clinica, rischia di depredarci della promessa più entusiasmante della medicina rigenerativa che scaturisce dalle ricerche sulle staminali, vale a dire della possibilità di turbare l’organismo solo quel tanto che basta a innescarne i meccanismi di autoriparazione locali, limitati, non violenti; naturali è la parola che viene subito in mente. Il trapianto è ancora una pratica grossolana, invasiva, inevitabile finché non si conoscono a fondo i segnali più sottili che la società delle cellule si scambia per scegliere strategie di recupero e di ricrescita che non vadano a discapito delle cellule vicine.