Una culla di parole per chi viene al mondo

Chiara Zamboni

In un articolo che legava la riproduzione artificiale alle forme oggì della guerra, Stefania Giorni affrontava in modo molto fine alcune questioni che riguardano l’immaginario maschile attorno alla procreazione assistita e l’uso delle tecnologie riproduttive all’interno di un conflitto più o meno sotterraneo nei confronti delle donne. Mi riferisco a Nascere all’inferno (il mangi’sto di martedì 8 marzo).

 

Vorrei continuare a riflettere su questo, parlando dell’ossessione fobica di coloro che hanno scritto la legge sulla riproduzione assistita,quando hanno definito l’embrione come un individuo portatore di diritto. L’embrione: un ovulo appena fècondato.Ciò ha creato inconsapevolmente una situazione che ha del grottesco. Un ovulo appena fecondato come soggetto di diritto: sembra di essere catapultati al di là dello specchio di Alice, dove le cose sono viste al contrario.Se ti allontani ti avvicini, se per il formarsi della soggettività occorre stare in un cammino di scambio relazionale che richiede tempo, qui essa è posta a priori. «Era là dagli inizi. In solitudine divina». E come in Alice nel paese delle meraviglie tutto dipende da come si definiscono le cose. Così la legge, con la sua capacità di nominare, modifica fantasticamente il gioco. Paradossi creati dal linguaggio, soprattutto a fronte di un dibattito seriosissimo che ha giustificato questa definizione con le gravi necessità legate alla eredità e ai passaggi di proprietà, che invece, definendo l’ovulo appena fecondato individuo portatore di diritto, sì semplificherebbero. Sembra di essere all’intemo del mondo reso visibile dai quadri di Bosch: pezzi di corpo che si muovono per conto loro accanto a embrioni mostruosi,che cavalcano uomini della legge pretendendo diritti di proprietà su case, vigneti, capannoni. L’io non si è costituito. Siamo in piena psicosi. Dietro al grottesco o attraverso di esso insiste l’ossessione fobica che in questa legge fa dell’ovulo fecondato un portatore di diritto indipendentemente dal legame con la madre. La paura nasce da lì. dall’oscurità di questo legame. forse perciò, del resto, tanto celebrato dagli uomini. Ed è questo legame che la legge taglia di netto. Piera Aulagnier parla in La violence de l’interprétation, in base alla sua esperienza di psicoanalista, di quanto siano fondamentali le parole che le madri trovano per ralilgurarsi la bambina o il bambino che nascerà. Non si immaginano un feto ma una creatura che sarà così e così. Sono fantastiche ne, sogni a occhi aperti, immagini,che le orientano verso chi verrà. Questo crea una culla di parole per chi viene al mondo. Una culla simbolica. La singolarità della piccola o del piccolo è immaginata e protetta da questo tessuto di sogni e parole. Ha così un luogo simbolico che poi nella relazione con la madre potrà essere trasformato,ma a partire dalla ricchezza di averlo. Questo non avviene quando una donna non immagina aiutandosi con le parole la singolarità dell’altro che porta con sé e pensa il feto solo come feto, come grumo di carne in divenire,come appendice del proprio corpo. La legge taglia il legame simbolico tra la madre e chi sta per venire al mondo. Si sostituisce al sistema di significazione materna che fa di chi sta per nascere una singolarità, un io a tutti gli effetti per la mediazione della culla di parole. Vi si sostituisce non casualmente. Perché il legame tra una madre e chi nascerà è un legame in parte velato. Non può essere portato alla visibilità della pura trasparenza. Barbara Duden in Corpo della donna come luogo pubblico ha mostrato come le tecnologie mediche, con le migliori intenzioni, abbiano comunque avuto l’effetto di portare a visibilità il feto nella madre, facendo di questa un oggetto agli occhi di tutti, alla lettera trasparente. E tuttavia questa operazione non può essere applicata a quel legame simbolico che la madre intreccia con chi sta per venire al mondo attraverso parole, sogni, fantasticherie. L’ecografia non può portare a visibiità il desiderio che provoca parole, immagini, legami fortissimi. Non può farlo rispetto al corpo inconscio, inscritto di parole, non riducibile a corpo oggettivabile. In ciò c’è qualcosa di invisibile e già dell’ordine simbolico. E forse questo a risultare tanto intollerabile per un uomo, che ne può essere partecipe solo se una donna lo ammette a condividere questa esperienza con lei? Comunque, nella legge della procreazione assistita, dato che questo oscuro non può essere reso pubblico, e quindi controllabile, viene semplicemente negato. Il diritto può disegnare uno spazio, dove questo non esista. Che qualcosa di oscuro, di non risolvibile nella trasparenza, ci sia nel legame materno è qualcosa di cui sono consapevoli anche le donne. Sia che partecipino di questa esperienza direttamente sia che ne conoscano la possibilità. Ma questo viene avvertito più come una condizione da vivere -con tutta una gamma di sentimenti che va dalla gioia all’angoscia – che come una situazione da controllare. I rapporti tra gli uomini e le donne variano nel tempo. Ci sono patti non detti ma avvertibili che si costituiscono su dei punti chiave e si sciolgono per atti ben precisi. Gli uomini che hanno attribuito all’ovulo appena fecondato la posizione di individuo separato,portatore di diritto, sono entrati in conflitto con il legame simbolico che le donne hanno con chi nasce. lo credo che da parte maschile ci sia soprattutto il bisogno di arginare l’angoscia che l’oscuro di questo legame materno provoca. C’è forse anche la paura di fronte a parti del reale che rimangono segrete e li obbliga in una condizione di passività. È questo che li porta ad agire e controllare? Se proprio i legislatori vogliono regolare questa situazione, potrebbero fare riferimento ad altre forme di diritto, non fondate sull’individuo, ma sulla relazione tra soggetti. In questo caso una relazione asimmetrica, dove è in gioco la dipendenza del nascituro da una madre, che ha iniziato ad essere tale non per natura, ma quando ha incominciato a immaginare il piccolo o la piccola a venire nella sua irripetibile singolarità. Se poi, oltre a tutto questo, il riconoscere l’ovulo appena fecondato come portatore di diritto individuale è stato un atto per ostacolare la manipolazione genetica degli embrioni, allora tutti noi siamo posti di fronte a un altro problema. É la grande questione epocale dei limiti della scienza,che non vanno affrontati con le armi del diritto, ma discussi assieme agli scienziati, che sono coinvolti come gli altri nel vivere comune. Basta ricordare gli esperimenti per l’energia atomica quali effetti disastrosi abbiano avuto alla lunga di fronte ai pochi positivi. E in questo momento la manipolazione genetica sugli embrioni può sfuggire di mano anche ai meglio intenzionati. Conflitto.Gli uomini che attribuiscono per legge all’ovulo fecondato la posizione di individuo separato, portatore di diritto, tagliano il legame e il rapporto di dipendenza con la madre