Nell’ottobre del 1998 si tenne a Roma, organizzato dal Partito radicale e da Radio radicale, un convegno dal titolo "Pedofilia e Internet". Obiettivo del convegno era dare una risposta corretta ed esauriente alle accuse che in quegli anni venivano rivolte al nuovo mezzo telematico, di essere veicolo di corruzione, di turpitudini e, in particolare, di una inedita e pericolosissima dimensione della pedofilia. Le critiche provenivano, ìn buona misura, dal mondo cattolico e con particolare aggressività da un religioso, padre Fortunato Di Noto. Il convegno smantellò quelle accuse. "Basta esaminare i dati Istat sulle violenze sessuali contro i minori – riferì Roberto Cicciomessere – e si vedrà che il novanta per cento degli abusi avviene in famiglia, l’otto per cento è commesso da persone conosciute dal minore – e spesso si tratta di "figure di riferimento" in ambito ecclesiastico, scolastico o sportivo mentre solo il due per cento avviene per opera di sconosciuti".
Il prof. De Rita stigmatizzò l’allarme sociale "veicolato dai media" sulla pedofilia: "Un mostro sembra essere sempre necessario, la pedofilia oggi è la personalizzazione del mostro… Ma la pedofilia è un problema morale, dunque di rapporti tra le persone…". Su quel convegno sono piovute le più aspre e malevole critiche anche da parte di organi auto- revolissimi del giornalismo cattolico, che lo hanno spacciato come una giustificazione, se non addirittura come un incentivo a commettere l’odioso crimine. Se i suoi puntuali rilievi fossero stati letti e compresi con spirito sorvegliato e oggettivo forse oggi la chiesa avrebbe un strumento in più per replicare alle accuse che le si rovesciano addosso. Vogliamo con questo giustificare-o sminuire gli abusi sessuali compiuti da religiosi su ragazzi e ragazze? Ovviamente no. Come già avemmo occasione di scrivere su queste colonne, chiediamo che la giustizia laica sia messa in condizione di giudicare – di punire o assolvere – liberamente e senza riguardi per chicchessia. Ed anzi, se la violenza viene commessa da persona avente un ruolo di "figura di riferimento", dunque capace di ridurre in soggezione la vittima, questo va considerato come aggravante di cui un religioso deve rendere particolarmente conto.
Troviamo anche grave che si sia pensato di chiedere l’immunità diplomatica per esimere la chiesa dal dover rispondere in un tribunale americano. Ci pare intollerabile che si consideri tutt’uno la chiesa fondata sulla croce, il martirio e la fede in Cristo e lo stato della Città del Vaticano. Come si possano separare e distinguere le due entità non è affar nostro suggerire, sicuramente è operazione da farsi con urgenza chirurgica, nell’interesse prioritario della chiesa. Ma proprio da qui, da questa abnormità istituzionale si deve partire per cercare di dare una risposta alle tesi esposte da Vito Mancuso nell’articolo sulla Repubblica. Il noto e brillante teologo denuncia con virulenza la chiesa cattolica perla "teologia elaborata lungo i secoli, che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa". L’inizio di questa degenerazione istituzionale va visto, per Mancuso, nella stesura, "da parte della cancelleria papale", del "falso documento conosciuto come’donazione di Costantino". A nostro (modesto) avviso questa apodittica enunciazione rivela, già nella forma, una inquietante incapacità di pensare storicamente gli eventi, compresi quelli della chiesa. Anche qui, non intendiamo affatto prendere le difese dél Pontefice rispetto alla sua iniziativa di sollecitare un chiarimento tra il cardinale Schànborn e il cardinale Sodano. Ma occorre essere un po’ addentro alla fattispecie, e anche alla problematica del governare le istituzioni, per poter giudicare correttamente. Mancuso di queste prudenze o cautele, di questa capacità di sospensione del giudizio non vuole sentire, e spara bordate contro la chiesa e la commistione con il potere della sua cricca romana: nessun dubbio, Sch6nborn è stato umiliato.
La vicenda è sicuramente rivelatrice di un serio problema -spesso evitato o aggirato, anche in questi giorni, con difese fasulle, goffe o arroganti però il nostro teologo sbaglia nell’individuarne l’eziologia e dunque la prognosi di cura. Laicamente, ma con enorme maggior profondità storica, Benedetto Croce osservò che il messaggio cristiano, il più "rivoluzionario" messaggio della storia, aveva plasmato fin nelle midolla -nel suo, impastarsi con il pensiero greco e l’universalismo politico romano – la storia dell’occidente. E una avveduta critica storica oggi riconosce che questo messaggio ha avuto come suo promotore Costantino, il più grande degli imperatori dopo Augusto per la sua capacità di dare un’impronta secolare agli avvenimenti a venire. E dunque, si, il cristianesimo, anzi il cristianesimo nella sua versione cattolica, ha sempre avuto un possente dialogo con il potere (visibile, forse – già ben prima dell’intervento di Costantino -nel rapporto del tutto diverso, nei confronti dell’autorità imperiale romana, dei cristiani – con la loro politica di conversione dei cittadini romani -rispetto agli ebrei, chiusi nella loro preoccupazione identitaria). Questa commistione ha le sue radici culturali nello sforzo dell’istituzione ecclesiale di sostituire in qualche modo quella imperiale in decadenza offrendo al suo posto certezze, strutture di governo, valori etici e civili da condividere. Una operazione colossale, che ha trovato la sua teoria nella "Città di Dio" di sant’Agostino, e la sua prassi nel tentativo di san Benedetto di organizzare una forma di società capace di fare da diga contro la crisi delle istituzioni civili e dei valori.
In questo sforzo, sempre più il cristianesimo è venuto approfondendo quella che è stata l’intuizione prima e più dinamica del suo messaggio: la storia dell’uomo è e deve essere pervasa da un soffio di giustificazione, di provvidenzialismo di origine divina che coinvolga non solo il singolo ma l’intera società, Questa concezione, alla quale si deve l’unità cristiana del mondo medievale, va in crisi e crolla con il nascere del mondo moderno, ma questo è un altro problema. Siamo però lontani dalla "struttura di potere idolatra di se stessa e che.., dai tempi di Costantino si regge imponendo l’obbedienza ai suoi adepti a discapito delle vittime del clero", secondo la lettura che dà il Foglio delle affermazioni di Mancuso. Mancuso ha pronta la sua arringa di risposta e contrattacco, la sua solleticante proposta: è la tensione, che egli ci offre a modello, verso l’autenticità dell’esistenza, un modello che si contrappone, per i suoi intrinseci valori di genuinità, spontaneità, schiettezza, all’inautentico di chi quei valori non rispetta e non professa.
A noi pare di trovarci qui dinanzi a una riproposizione, un po’ edulcorata, dell’heideggeriano dilemma tra la vita "autentica" e quella "inautentica" tutta immersa nel chiacchiericcio mondano. L’uomo che, ascoltando la voce della coscienza, compie la scelta della vita autentica, si sprofonda nel proprio destino e drammaticamente vive "per la morte", punto fermo di divisione e dì paragone tra le due modalità esistenziali. Da mediterranei – o da laici – noi non abbiamo mai molto apprezzato questa endiadi, o dilemma, cui l’uomo sarebbe votato o destinato a priori. Per noi, il senso dell’esistere viene dato più compiutamente dal realismo di Machiavelli, dall’etica dialettica di Shakespeare, dal magmatico mondo sociale di Balzac, tre situazioni nelle quali l’autentico e l’inautentico si fondono e confondono tumultuosamente nel concreto delle scelte, del cammino dell’individuo. E’ possibile peraltro che il mondo della chiesa, o delle chiese, sia per andare incontro ad una gigantesca esplosione, o implosione. Gli eventi di questi giorni potrebbero anche essere una premonizione, non lo escluderei. Se il termine "diritto" ha un senso, il primo dei diritti umani e civili è la laicità della giurisdizione: la legge è uguale per tutti, e tutti siamo, dinanzi alla legge, uguali, senza esenzioni o privilegi, salvo quello della correttezza procedurale. La "sacralità", la separatezza ecclesiale viene sconfitta, ed è un significativo segno, forse irreversibile, dei nuovi tempi. Ma questo avviene non per le considerazioni di Mancuso, degne de "L’Asino" di Podrecca e Galantara. Avviene piuttosto perché la sintonia, o convergenza, tra l’istituzione- chiesa e la sua pretesa di interpretare, più o meno agostinianamente, il cammino provvidenziale della storia, si è spezzata o comunque non viene più riconosciuta.
E’ un tema di epocale importanza che coinvolge, per dire, l’interpretazione del Vaticano II e il senso di una possibile rottura tra la chiesa costantiniana e quella del futuro. Questa nostra è una pura ipotesi, non siamo affatto in grado di gestirla e di scioglierne le trame: ma non lo è in grado neanche Mancuso, con la sua mediocre intelligenza storica. E se non c’è intelligenza storica, come potrà reggere la pretesa di esprimere una teologia qualsivoglia? Da Agostino in poi, teologia significa anche, se non soprattutto, "teleologia". Roba da far tremare i polsi, da non spacciare con un articolo giornalistico. Questioni così vanno affrontate, se si può, con l’occhio della civetta di Minerva, quella che si innalza in volo al tramonto, quando si spenge perfino l’eco delle faccende degli uomini e giunge il tempo della riflessione distaccata. Le nostre ali sono impari, ma anche quelle di Mancuso ci appaiono un tantino inadeguate.
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