Trapianti del futuro: nella “fabbrica delle cellule” capaci di aggiustare gli organi

staminali fegatoDa grande l’Ismett vorrebbe smettere di lavorare. Sogna che i suoi pazienti non abbiano più bisogno di trapianti di organi e che i suoi medici possano concentrarsi sul laboratorio di ricerca e terapie avanzate che si trova nel cuore dell’Istituto, un edificio di dieci anni che lambisce il centro storico di Palermo. Nel laboratorio di terapia e trapianti cellulari sperimentali, a differenza degli altri locali dell’Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione, non ci si occupa di curare i malati che hanno subito un trapianto. Si cercano piuttosto tecniche alternative per far si che di trapianti in futuro non ci sia più bisogno.

Nella "fabbrica delle cellule" al piano interrato dell’Ismett si può entrare solo con camice, cuffia, calzari e mascherina. Eppure questo è un luogo tutt’altro che chiuso. Mentre Fabio Triolo osserva al microscopio il vetrino con le cellule di fegato messe in coltura, infatti, la stessa cosa stanno facendo i suoi colleghi del centro trapianti di Pittsburgh, in Pennsylvania. Con il direttore del Laboratorio di terapia e trapianti cellulari sperimentali ("fabbrica delle cellule" è il nome-scorciatoia) i medici americani possono parlare in viva voce. O possono intervenire direttamente da oltreoceano spostando il vetrino sotto l’obiettivo dei microscopio per mettere a fuoco i dettagli che più gli interessano.

Dopo il processo di coltivazione, le cellule epatiche che Triolo sta osservando verranno inserite in una sorta di scatola inzeppata di minuscoli filamenti con un foro d’entrata e uno d’uscita. «Il nome tecnico è bioreattore – spiega Triolo rigirandolo fra le mani – ma possiamo chiamarlo fegato artificiale. Non è abbastanza efficiente per sostituire un organo naturale. Ma funge da "ponte" e può aiutare un paziente in condizioni critiche a raggiungere il momento in cui un organo si renderà disponibile». Il bioreattore viene riempito di cellule del fegato che sono state estratte e coltivate nell’ambiente completamente sterile della "fabbrica delle cellule". Gli epatociti si annidano fra i filamenti, con il foro d’entrata che fa arrivare le sostanze nutritive e quello di uscita che drena gli scarti del metabolismo.

Sia pure con funzioni limitate, il fegato artificiale viene collegato all’esterno dell’addome del paziente e lo mantiene in vita in attesa di un trapianto. «La carenza di donatori è un collo di bottiglia che probabilmente non verrà mai superato», spiega Bruno Gridelli, direttore dell’Ismett. «La prospettiva della ricerca oggi è riparare e rigenerare i tessuti malati attraverso cellule staminali per non arrivare ad avere più bisogno della sostituzione dell’organo intero». Il trapianto di isole pancreatiche perla cura del diabete è un esempio, invece, di quel tipo di terapia cellulare che Gridelli e i suoi colleghi stanno avviando. Anziché sostituire l’intero organo, nel paziente vengono infuse singole cellule sane, capaci di ripristinare la funzione del metabolismo del glucosio nel sangue. Nel caso di questa malattia, non sempre il gioco vale la candela, e spesso il sollievo di abbandonare l’iniezione di insulina è sovrastato dal prezzo di una terapia antirigetto vita natural durante.

«Questo tipo di intervento – spiega Gridelli – dimostra che il trapianto di cellule è una tecnica che funziona. Il problema resta trovarne delle fonti abbondanti e ridurre o eliminare la necessità di terapie antirigetto. Su questo fronte, stiamo lavorando insieme a dei colleghi americani a un progetto di terapia genica per indurre la tolleranza che è finanziato dai National institutes of health». ti in questo tipo di interventi per la rigenerazione dei tessuti malati (anziché la loro sostituzione) che la "fabbrica delle cellule" trova la sua ragione di esistere. In ognuno dei laboratori in cui è divisa – nei quali è strettamente vietato l’ingresso a ogni essere vivente che non indossi camice e mascherina per evitare contaminazioni con i microbi -vengono estratte e coltivate cellule di pelle, pancreas o fegato prelevate da organi inadatti alla donazione o staminali dai feti frutto di aborti terapeutici. «Ma l’asso nella manica per la rigenerazione degli organi saranno le cellule staminali» spiega Camillo Ricordi, direttore scientifico dell’Ismett, specializzatosi nell’uso delle cellule bambine per la cura del diabete. «Dei depositi di staminali sono stati trovati nell’adipe e nel sangue mestruale. In Svizzera esistono banche che conservano il tessuto estratto dal corpo con una liposuzione».

Il problema dell’uso delle staminali per i trapianti riguarda la loro quantità. Per il momento non sono stati ancora trovati dei metodi per coltivarle facendole espandere, e raggiungere così numeri sufficienti per rigenerare un organo intero. Ricordi però, nell’ospedale universitario di Miami in cui lavora, ha provato a seguire una strada nuova e indiretta. A una sua paziente (italiana) malata di diabete nel 2005 ha iniettato prima cellule pancreatiche prelevate da un donatore, come in un normale trapianto, poi anche cellule staminali del midollo del donatore, per "ingannare" il sistema immunitario e insegnargli a riconoscere le cellule estranee come proprie.

A chi le chiede quale filo del destino abbia unito due città così lontane come Palermo e Pittsburgh, Serena Pizzo, che è responsabile delle relazioni esterne dell’Ismett, racconta di un vecchio sfogo di Ugo Palazzo, uno dei padri della prestigiosa scuola di epatologia dei capoluogo siciliano e oggi direttore sanitario dell’Istituto. Stanco di diagnosticare malattie del fegato per poi spedire i pazienti negli ospedali del Nord per il trapianto, nel 1996 sbottò: «Non siamo un’agenzia viaggi per malati e organi di ricambio». Insieme al suo collega Luigi Pagliaro contattò il chirurgo di Pittsburgh Ignazio Marino, che in Sicilia a quell’epoca trascorreva le ferie estive. Fu Marino a mettere in contatto le due sponde dell’oceano, ma ci volle un altro aiuto del destino per consentire all’Ismett di vedere la luce. «Proprio a quell’epoca- prosegue la Pizzo – il ministro della Sanità Rosy Bindi aveva deciso di ritirare i 100 miliardi di lire stanziati per ammodernare le strutture sanitarie siciliane e mai spesi dalle giunte regionali. Palazzo e Pagliaro la convinsero piuttosto a utilizzare quei soldi per costruire a Palermo un centro trapianti che servisse tutto il Sud Italia e fosse collegato con Pittsburgh per l’ambito della ricerca. Così nacque l’Ismett: nel 1999 fu posta la prima pietra dell’edificio attuale. Ma nel frattempo le attività di trapianto partirono nei locali dell’Ospedale Civico».

Oltre che del Sud Italia, l’ospedale di Palermo è diventato polo dei trapianti anche per il resto del Mediterraneo. Alessio Picarella si occupa dei rapporti internazionali e parla fra le altre lingue perfettamente l’arabo. «A volte arrivano qui dei bambini da curare, insieme alle loro famiglie. Hanno bisogno di tutto, e devono affrontare permanenze molto lunghe. Portano con sé i risparmi di una vita, senza sapere che in ltalia non basterebbero neanche per pochi giorni di alloggio modesto. Allora bisogna davvero rimboccarsi le mani e trovare delle strade per aiutarli».

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