Sanità privata Una tavola rotonda organizzata dall'università di Bologna e dalla European genetic foundation sui brevetti per i test genetici</i>
<b>11 Settembre 2003</b> – Anche sotto un camice da laboratorio può nascondersi un cuore da no global. Alla vigilia dell'apertura del vertice di Cancun, domenica scorsa a Bertinoro (Forlì), a margine di un seminario sulla genetica del cancro, l'università di Bologna e la European genetic foundation hanno organizzato una tavola rotonda intitolata: «L'opposizione europea ai brevetti per i geni BrCa1 e BrCa2 un anno dopo», condotta vivacemente dalla giornalista Sylvie Coyaud.
I diritti di proprietà intellettuale relative a geni e – in generale – a organismi viventi sono una questione scottante su cui lo scontro feroce è in atto da anni. In questi giorni per esempio scadeva il termine per presentare ricorso contro il secondo brevetto per i test genetici predittivi del tumore al seno e alle ovaie, un brevetto concesso nel 2001 alla Myriad Genetics (circa 500 impiegati nel 2002) di Salt Lake City (Usa) dall'Epo, Ufficio brevetti europeo con sede a Monaco di Baviera. Fino a oggi non c'è stata risposta neppure al primo dei ricorsi, presentato più di un anno fa da medici e genetisti europei e americani, contro la concessione dell'esclusiva all'azienda statunitense anche nell'Unione europea. I geni BrCa1 e 2, scoperti a metà degli anni `90 dall'azienda statunitense (che allora aveva solo una ventina di addetti), segnalano solo una predisposizione ad ammalarsi di cancro. Una maggiore probabilità cioè di contrarre il tumore: uno strumento in mano alla cosiddetta medicina predittiva. I test della Myriad non sono peraltro neppure i migliori disponibili sul mercato: l'Institut Curie di Parigi ne ha messo a punto uno migliore che coinvolge anche altri geni e costa meno di quello americano, ma non può produrlo perché la Myriad rifiuta di cedergli l'uso dei propri brevetti.
Il costo per persona per test del kit della Myriads è – tenetevi forte – di 2900 dollari. Un'enormità. Tanto che, come ha sottolineato uno degli scienziati presenti al convegno, forse tutta questa polemica non sarebbe nata se la Myriad fosse stata meno esosa.
«Scoprire un nuovo gene è come identificare le coordinate di un oggetto sconosciuto in un oceano con un radar», ha spiegato Gianni Romeo, docente di genetica medica dell'università di Bologna e responsabile dell'unità per lo studio della predisposizione genetica ai tumori presso l'Agenzia internazionale per la ricerca contro il cancro (dell'Oms a Lione) nonché promotore del dibattito. «Ma questo non basta: il secondo passo è quello di individuare quale sia la natura dei geni», ha continuato. Non solo: secondo Romeo, «un fattore essenziale dietro alla scoperta di geni come questi è sempre il contributo dei pazienti e delle famiglie che hanno letteralmente dato il proprio sangue per la ricerca».
Lucio Luzzatto, direttore dell'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, ha sottolineato l'insensatezza della possibilità di brevettare un gene: «Sarebbe come se Galileo avesse chiesto di brevettare i satelliti di Giove o Linneo le piante che aveva studiato. E poi non dimentichiamo che se la Myriad ha potuto brevettare il test, è perché l'82% della ricerca biomedica americana viene finanziata con fondi pubblici. È partendo da questi risultati, gratis e disponibili per tutti, che la Myriads ha potuto identificare i geni e predisporre i test».
Alla tavola rotonda prendeva parte Sean Tavtigian, anche lui oggi al centro dell'Oms di Lione, ma che in passato è stato per 3 anni vice presidente e direttore delle ricerche sul cancro proprio della Myriad Genetics: per forza di cose, ha giocato il ruolo del «cattivo».
«I brevetti della Myriad sono di due tipi – ha spiegato – il primo copre il prodotto, e quindi la preparazione di un frammento puro di Dna; il secondo copre un'applicazione specifica, l'individuazione in un paziente cioè della eventuale sequenza di Dna (integra o con mutazioni) che codifica le copie di BrCa1 e 2. Per ottenere questi brevetti, i criteri sono la novità, la non ovvietà e l'utilità commerciale della scoperta». Secondo lui il problema non sono i brevetti in sé, ma solo «fin dove si è spinta la legge sui brevetti e la facilità con cui si ottengono anche per miglioramenti minuscoli». In ogni caso, «le aziende hanno il dovere verso i propri azionisti di ottenere risultati commercialmente remunerativi.»
Hervé Chneiweiss, neurologo e genetista del Collège de France ed ex consulente tecnico per le bioscienze e l'etica del ministro francese della ricerca, ha sottolineato che «per la Myriad dimostrare l'originalità del loro metodo non è stato semplice, perché molti laboratori del mondo sapevano già come ottenere il test. Una delle molte ragioni per cui stiamo conducendo questa battaglia contro l'Epo è che con questi costi per la società, per una sanità pubblica, è impossibile coprire le spese per la prevenzione».
Anche la britannica Diana Eccles, esperta di consulenza genetica sui tumori familiari, fa parte degli scienziati contrari a questo brevetto. «La comunità scientifica inglese è contraria essenzialmente per tre motivi: non capiamo la legittimità della possibilità di brevettare dei geni, riteniamo che ci siano gravi questioni di monopolio e di proprietà privata e temiamo la deriva dei brevetti sui materiali viventi», ha spiegato. Anche se «i test della Myiriad sono efficienti».
Fra gli oncologi che hanno promosso il ricorso contro l'Epo c'è anche Massimo Federico, dell'università di Modena. Il suo laboratorio, che effettuava i test da anni, è stato prima costretto a interromperli. Poi, nonostante le minacce legali della Myriad (ancora mai messe in atto), dopo qualche mese hanno deciso di riprendere i test, modificando il modulo di consenso informato e coinvolgendo anche il Policlinico e l'università di Modena. «Ma in questa battaglia di giustizia abbiamo bisogno del sostengo della Regione e del ministero della salute».
Di motivi per contestare i diritti di proprietà intellettuale nell'era della tecnoscienza ce ne sarebbero abbastanza. Ma Emanuela Carbonara, ricercatrice di economia politica a Bologna, ha fornito anche altre ragioni: «I brevetti erano nati anche per incoraggiare i singoli e le industrie ad investire in ricerca: paradossalmente oggi si è finiti con meno ricerca, perché i brevetti in mano alle aziende di fatto bloccano lo sviluppo di nuovi metodi, costringendo chiunque voglia ricercare nuove soluzioni a pagare enormi royalties. Allo stesso tempo le aziende si adagiano sugli allori dei brevetti ottenuti». La conoscenza dunque non dovrebbe essere brevettabile: secondo la ricercatrice, questo andrebbe contro la stessa logica del libero mercato: «i brevetti impediscono all'informazione di circolare e frenano il mercato. Se pensiamo che siano i privati a dover fare ricerca dovremmo incentivarli diversamente. Forse si dovrebbe immaginare un organismo internazionale legato al Wto o all'Oms che possa individuare i beni pubblici essenziali da proteggere».
<i>di LUCA TANCREDI BARONE</i>