<b>16 Dicembre 2003</b> – Se non proprio ai problemi legati alla fecondazione assistita (omologa ed eterologa), Tristram Shandy (protagonista dell'omonimo romanzo di Laurence Sterne) pregava i lettori di fare attenzione a un altro momento critico legato alla procreazione, quello del concepimento: «Avrei voluto che mio padre e mia madre, o in verità entrambi, poiché entrambi erano tenuti a farlo, pensassero a quello che facevano quando mi hanno concepito».
Arrivati al massimo dell'amplesso, infatti, i genitori di Tristram Shandy avevano avuto come un sussulto: si erano dimenticati di caricare, come ogni prima domenica del mese, l'orologio. A causa di questo, il padre non mancò di bestemmiare, la madre non mancò di trafelare e il neoembrione non mancò di risentirne per tutta la vita (desiderando, addirittura, di non essere mai nato).
Nel dibattito sull'approvazione della nuova legge sulla procreazione assistita, l'apologo del Tristram Shandy può essere significativo: un bambino nato in provetta (e magari da fecondazione eterologa) preferirebbe non essere nato? E poi: i rischi legati a un uso meno limitato della fecondazione artificiale sono reali? Davvero assisteremmo a un ritorno di pratiche naziste? Lavorare sul patrimonio genetico di un embrione significa creare una vita completamente determinata? Che ne sarebbe della libertà? E la natura non ne risulterebbe stravolta?
Il filosofo Emanuele Severino interviene da anni sulla questione e, in un articolo per il Corriere della sera del 28 giugno del 2002, scrive: «L'argomento principale dei cattolici contro la fecondazione eterologa è stato che, nascendo in questo modo, il bambino andrebbe incontro a rilevanti disagi mentali e affettivi…E quale sarebbe, per i cattolici, l'alternativa a quei disagi del bambino? Non farlo nascere. Non dargli la vita che la fecondazione eterologa potrebbe dargli. Lasciarlo definitivamente nel nulla…Che direbbero i cattolici se rispondessero che, sì, preferirebbero non esser mai esistiti? Questa preferenza per l'inesistenza (e dunque per l'assenza di ogni rapporto con Dio) non è per niente cristiana». Il punto di vista di Severino rivela quindi un paradosso illuminante: questo tipo di politica si avvita nel nichilismo e difende la morte rispetto alla vita, celebrando la vittoria del nulla sull'essere. E' un paradosso insidioso che si riscontra anche in relazione al divieto di utilizzare a fini terapeutici le cellule staminali embrionali. In questo caso si preferisce, alla speranza di vita di milioni di persone colpite da patologie mortali, che il destino di quegli embrioni, ormai impossibilitati dalla nuova legge ad essere trapiantati in utero, sia quello di una transustanziazione in pattume. José Saramago, nella prefazione alla nuova edizione, pubblicata da Stampa Alternativa, de Il maratoneta di Luca Coscioni (presidente di Radicali italiani e ammalato di sclerosi laterale amiotrofica), lo ha scritto chiaramente: «In tutto il mondo [di embrioni] ce n'è a milioni, congelati, che, in capo a cinque anni, ormai inutilizzabili per un'ipotetica riproduzione, vengono semplicemente eliminati. Contro questa ecatombe nessuno protesta».
Certo, le obiezioni agitate contro la fecondazione assistita sono tante. La più diffusa, estremizzandola, si articola in questo modo: 1) le nuove tecniche prevedono la possibilità di decidere in anticipo buona parte del patrimonio genetico degli embrioni; 2) il patrimonio genetico determina ciò che siamo destinati a diventare; 3) la libertà individuale è quindi a rischio e si sta realizzando quell'eugenetica totale che il nazismo desiderava. Il filosofo americano Daniel Dennett, contro questo quadro apocalittico, ha però risposto con un dato essenziale: il genoma umano, meno ampio di quanto normalmente si pensi, non è in grado di specificare le miliardi di miliardi di connessioni che le cellule cerebrali possono stabilire tra di loro. Queste connessioni sono date innanzitutto da un elemento imprevedibile: il caso. L'educazione, l'ambiente, la storia e le esperienze formano la libertà e l'essenza degli individui modificandone continuamente la struttura neuronale.
Un'altra obiezione contro la fecondazione assistita sembra essere però ancora più radicale. Dice: gli atti di manipolazione della vita sono atti contro natura. E' un'obiezione antica che consiste, retoricamente, al richiamo di un'autorità: s'invoca la natura come ordine normativo superiore; è la natura, dice l'obiezione, che si oppone a certe pratiche. A un'affermazione come questa si può rispondere ricordando come Pico della Mirandola avesse mostrato che fosse propria dell'essenza umana non avere alcuna natura che la determinasse. Ma si può anche fare un passo indietro e giocare una verità indiscutibile: la natura non si può scacciare con il forcone. Il fatto che ci si possa mettere d'accordo su ciò che è naturale non ha senso. La natura infatti è, per definizione, ciò di cui non si può parlare. La natura appartiene alla categoria della necessità, dell'inevitabilità. E il fatto stesso che, rispetto alla questione della fecondazione assistita, esista un dibattito che la tira in ballo dimostra chiaramente il carattere pretestuoso dell'argomento.
Spinoza scriveva che tutto è natura. E' natura qualunque cosa: la provetta, l'embrione, la fecondazione assistita, la tecnica, gli alberi, le galassie, i discorsi sulle galassie, la bomba atomica, il marchese De Sade, Tristram Shandy, eccetera, fino all'enumerazione impossibile dell'infinito. Non esiste che l'Essere. E le cose hanno in sé, per il semplice fatto di essere, la loro ragione. Voler negare questo significa desiderare l'impossibile; significa, come ricorda Severino, preferire alla vita il nulla e la morte.
SE PAPÀ E MAMMA AVESSERO CARICATO L'OROLOGIO (Il Riformista)
<i>LE COSE HANNO IN SÉ, PER IL SEMPLICE FATTO DI ESSERE, LA LORO RAGIONE. L'apologo di Tristram Shandy e la nuova legge: un bimbo in provetta avrebbe preferito non essere nato?</i>