Suonano come monito alle Regioni le linee guida per la pillola abortiva da ieri sul tavolo di assessorati e governatori. Il sottosegretario al ministero della Salute, Eugenia Roccella, è stata chiara: «Rispettiamo l’autonomia delle amministrazioni. Noi segnaliamo però che chi dovesse applicare protocolli clinici che ammettono le dimissioni volontarie della donna dopo l’assunzione della prima pillola vanno incontro a irregolarità».
«ABORTO A DOMICILIO» – Il messaggio non può essere interpretato che come un richiamo. Il timore di fondo, infatti, è «lo scivolamento verso l’aborto a domicilio». Dunque l’impegno delle Asl dovrebbe essere quello di seguire le indicazioni del documento dove viene ribadito un principio: la Ru486 ha lo stesso livello di sicurezza dell’aborto chirurgico se viene somministrata in ospedale, in regime di ricovero ordinario (tre giorni) e sotto controllo sanitario, in accordo con la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
TENDENZA AL DAY HOSPITAL – Ancora non sono disponibili dati ufficiali sull’uso del farmaco a base di mifepristone. Da notizie diffuse dai media sembra però che nella maggior parte dei casi, a differenza di quanto è accaduto nei mesi di sperimentazione che hanno preceduto l’approvazione del medicinale in Italia e la distribuzione (da aprile 2010), la donna preferisca essere protetta dopo aver preso la prima pillola. Il protocollo 48 ore dopo prevede una seconda pillola, a base di prostaglandine, necessaria per il completamento dell’aborto. Secondo Roccella «le dimissioni significano una rinuncia al trattamento ma in questo caso non lo è: noi abbiamo comunicato alle Regioni che esiste una criticità amministrativa che potrebbe determinare dei problemi sul piano del rimborso della prestazione da parte del servizio pubblico». Oltretutto, insiste il sottosegretario, consentire alla donna di tornare a casa vuol dire ammorbidire la sorveglianza sull’aborto, garantita finora dalla legge 194. Ai governatori che dovessero sostenere protocolli non compatibili con quelli del ministero si ricorda anche che «potrebbero essere oggetto di contenziosi legislativi». In realtà l’unica Regione che ha esplicitamente indicato il day hospital come forma di assistenza legata alla Ru486 è l’Emilia Romagna. Le altre Asl italiane prevedono il ricovero ordinario ma sulla carta non viene quasi mai praticato perché le pazienti preferiscono tornare a casa.
LE LINEE DI INDIRIZZO – Le «linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza» fanno propria la comunicazione inviata il 6 novembre scorso dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi alla Commissione europea dove si insisteva su un punto fondamentale: il rispetto della legge 194 è prioritario e l’intero percorso abortivo dovrebbe iniziare ed essere completato in ospedale. Il documento contiene una serie di raccomandazioni per favorire l’uso consapevole della pillola attraverso la sottoscrizione di un consenso informato dettagliato e comprensibile specie dalle straniere. Viene ribadito che le minorenni dovrebbero essere autorizzate dai genitori anziché dal giudice del tribunale. Tra i criteri di ammissione al trattamento farmacologico «la disponibilità al ricovero ordinario fino a completamento della procedura. Disponibilità ad effettuare il controllo a distanza entro 14-21 giorni dalla dimissione». Fra i criteri non clinici la capacità della donna ad autogestire «il percorso terapeutico» anche sul piano psicologico e la sua condizione socio-abitativa (è bene che abiti non lontano dal pronto soccorso).
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