Ma il fronte del no sta facendo di tutto per bloccarne l’adozione: "Troppo pericolosa"
L’ultima battaglia si combatte domani. E potrebbe segnare l’ingresso della pillola della discordia negli ospedali del nostro paese. Il farmaco al centro negli ultimi cinque anni di scontri durissimi, che ne hanno quasi annullato il significato sanitario e lo hanno trasformato nell’arma di una guerra ideologica, sarebbe sul punto di essere ammesso ufficialmente nel sistema sanitario italiano.
Per molti il condizionale è un tempo che detta un’eccessiva cautela: il Cda dell’Aifa che si riunirà domani non potrà che approvare la registrazione della Ru486 nel prontuario dei medicinali del nostro paese, dicono gli addetti ai lavori. Del resto gli organi tecnici dell’Agenzia italiana per il farmaco hanno già dato parere favorevole all’utilizzo della pillola abortiva anche da noi e ne hanno persino già individuato il prezzo. Ma trattandosi della Ru486 non si possono escludere colpi di scena dell’ultimo minuto. "Teoricamente si potrebbero anche chiedere approfondimenti ulteriori. Ci sono nuovi membri nel Cda, non è facile dire quale sarà il metodo di lavoro che vorranno adottare", avverte il direttore generale dell’Aifa, Guido Rasi. Nel frattempo il Movimento per la vita e alcuni senatori Pdl affilano le armi per l’ultimo assalto, e lanciano l’allarme sul presunto aumento del numero di morti tra chi ha preso la Ru486 a livello mondiale. In Italia ci vorranno 14,28 euro per acquistare dalla casa produttrice Exelgyn la confezione da una compressa di Ru486 e 42,80 per quella da tre. A sostenere la spesa saranno le Asl e non i cittadini, la Ru486 potrà infatti essere somministrata soltanto all’interno degli ospedali, nel rispetto della legge 194. Quindi niente farmacie. È stata la commissione prezzi dell’Aifa a stabilire a metà del giugno scorso il costo della pillola. Si è trattato del penultimo passo della lunga procedura necessaria a far entrare un farmaco nel nostro sistema sanitario.
Una procedura che nel caso della Ru486 è stata ancora più dilatata nel tempo, fino a durare quasi due anni, dal novembre 2007 ad oggi. E ancora potrebbe non bastare. Da giorni, in vista della riunione del Cda dell’Aifa, si susseguono nuovi attacchi al farmaco. Ieri il Movimento per la vita ha chiesto di bloccare la procedura di autorizzazione: "Il numero delle donne decedute nel mondo in vent’anni a seguito dell’assunzione della Ru486 sarebbe salito a 29, una cifra che suscita un allarme ancor più intenso rispetto al dato finora accertato di 16 donne decedute", dice il presidente dell’associazione Carlo Casini, citando un articolo uscito a metà giugno sull’Avvenire. Mentre i senatori Pdl Laura Bianconi, Raffaele Calabrò, Stefano De Lillo, Ulisse Di Giacomo, Michele Saccomanno e Antonio Tommassini hanno appena presentato sette interrogazioni al ministro della Salute Maurizio Sacconi: "La pillola abortiva è contro la salute della donna". Tesi respinta dall’Aied, Associazione italiana per l’educazione demografica, dalla quale ricordano che "il farmaco è utilizzato in Francia dal 1988, in gran parte degli ospedali europei e negli Usa dal 2000. Inoltre nel 2003 è stata dichiarato sicuro dall’Oms che ne ha definito le linee guida". Scontri e polemiche hanno come sfondo un paese dove il 70% dei ginecologi del sistema sanitario sono obiettori, così come il 50% degli anestesisti e il 42% del personale non medico. Dati certificati dall’ultima relazione al Parlamento sull’applicazione delle legge 194 e che raccontano anche una crescita, negli ultimi anni, del personale ospedaliero che rifiuta di praticare l’aborto.
La storia della pillola abortiva basata sul principio attivo mifepristone è iniziata quasi due anni prima che entrasse in partita l’Agenzia italiana per il farmaco. Tra polemiche, esposti in procura, e ricorsi amministrativi. Nel settembre del 2005 il ginecologo Silvio Viale, esponente dei Radicali, avviò all’ospedale Sant’Anna di Torino una sperimentazione del farmaco. L’allora ministro alla sanità Francesco Storace mandò gli ispettori da Roma e riuscì a bloccare tutto, ma solo per alcune settimane. Lo studio riprese a novembre e si concluse nell’agosto 2006. Viale venne anche indagato con i vertici dell’ospedale dalla procura per violazione della 194 perché, dopo aver somministrato la pillola, rimandava le donne a casa, facendole tornare dopo due giorni per concludere l’aborto. Nel gennaio del 2009 è arrivata l’archiviazione per la tranche più importante dell’inchiesta. Alla fine del 2005 si mosse anche la Regione Toscana, trainata dal ginecologo di Pontedera Massimo Srebot. In questo caso si decise di adottare una procedura diversa, cioè di seguire la legge per i farmaci registrati negli altri paesi ma non nel nostro. È permesso acquistarli direttamente dalla casa produttrice se si prova che sono necessari per un determinato paziente. Il sistema è scomodo perché obbliga a singole ordinazioni e altrettante spedizioni, con il rischio di far saltare la somministrazione a causa di ritardi. Anche in questa occasione il ministro Storace si mosse per ostacolare la procedura, senza grande successo. E infatti la strada dell’acquisto all’estero è stata successivamente intrapresa da strutture di altre Regioni, come l’Emilia, il Trentino, le Marche, la Puglia. "Dal 2005 al 2008 sono stati 26 gli ospedali italiani che hanno importato la Ru486 – spiega Silvio Viale – Fino ad oggi è stata somministrata a 4.000 donne. Io ho fatto uno studio su 1.800 casi in 7 ospedali, confermando l’efficacia e la sicurezza del farmaco. Abbiamo avuto gli stessi risultati che si trovano in letteratura nazionale.
Ma il sistema dell’importazione è scomodo e non può rispondere a tutte le richieste. E infatti sappiamo che alcune donne vanno in Francia e in Svizzera per fare l’aborto farmacologico". Massimo Srebot sottolinea come la Ru486 non faccia aumentare il numero delle interruzioni di gravidanza: "Nel mio reparto gli aborti farmacologici hanno sostituito una quota degli quelli chirurgici, non si sono sommati". Mentre riceveva le ordinazioni dagli ospedali italiani, la casa farmaceutica francese Exelgyn ha avviato le procedure per la registrazione della pillola nel nostro paese. Nel novembre del 2007 ha presentato richiesta formale di mutuo riconoscimento in Italia dell’autorizzazione francese all’utilizzazione del farmaco. Sono iniziate le valutazioni di varie commissioni e soprattutto è arrivato il giudizio favorevole del Comitato tecnico scientifico dell’Agenzia, datato 27 febbraio 2008. Nel maggio scorso il ministero del Welfare ha chiesto ulteriori chiarimenti sul farmaco alla Exelgyn, per poi girare ai tecnici dell’Aifa i nuovi dati in attesa di una valutazione. Il Comitato tecnico scientifico dell’Aifa ha stilato una relazione in cui si spiega che "in base alla procedura del mutuo riconoscimento, l’autorizzazione già rilasciata da un altro Paese deve essere riconosciuta in Italia a meno che non si ravvisino rischi potenziali gravi per la salute pubblica".
Questi rischi sono stati esclusi dagli organismi europei che si occupano di medicinali, "e la Commissione europea ha emanato una decisione con la quale si autorizzano le indicazioni e il regime posologico proposti anche per la procedura di autorizzazione in Italia". Un nuovo via libera, seguito dalla fissazione del prezzo del medicinale del mese scorso. Adesso manca l’ultimo atto: la ratifica del Consiglio di amministrazione. "Il Cda può fare valutazioni tecniche, economiche o di entrambi gli aspetti insieme", spiega Guido Rasi, che non dà per scontata l’approvazione del protocollo sulla Ru486. "Io non faccio parte del Consiglio di amministrazione e non sono in grado di dire cosa voteranno i membri – aggiunge – Diciamo che ci sono il 50% delle possibilità che il farmaco venga approvato". Il Cda è nuovo e si è insediato il 16 luglio scorso. I membri sono cinque: Sergio Pecorelli, il presidente, Gloria Saccani Jotti, Giovanni Bissoni, assessore alla salute dell’Emilia Romagna, Claudio De Vincenti e Romano Colozzi, coordinatore degli assessori al bilancio e membro della giunta regionale della Lombardia. Tocca a loro dire come finirà la battaglia.