Tutti avanti, disordinatamente. Tre regioni di qua, tre di là, le altre in fervida attesa. Mentre in Francia stanno impacchettando le confezioni di Ru486 destinate all’Italia e fregandosi le mani per il business, Il Messaggero così sintetizza la situazione: «Pillola abortiva, regioni spaccate: in alcune si può rifiutare il ricovero. La direttiva del governo: niente day ospital per chi prende il farmaco, ma in molte Asl la decisione sarà presa dopo le elezioni». Le regioni sono «spaccate» per il Messaggero e «impreparate» per il Mattino. Più sobrio il Corriere della Sera: «Ru486, richiamo alle Regioni. Lettera del ministero: no al ricovero di un solo giorno».
Il quotidiano di via Solferino concede ampio spazio ad Eugenia Roccella: «E in gioco la tutela della salute. Consentire che l’aborto si consumi al di fuori delle strutture pubbliche significa riconoscere quello domiciliare. Questo crea una slabbratura nel nostro ordinamento». Ovvio, va contro la 194, ritenuta intoccabile. Davvero? Quando fa comodo ai propri obiettivi ideologici, si può toccare eccome. Illuminante l’interpretazione del Manifesto: «Ru486, sul ricovero coatto le Regioni sfidano il governo». Titolo errato: solo due regioni (Piemonte ed Emilia) e una provincia autonoma (Trento) lanciano la sfida; Lombardia, Toscana e Veneto sono per il ricovero; le altre attendono. E quel «coatto» sa tanto di reclusione. Scrive Giusi Marcante: «È opinione di molti professionisti che il ricovero sia un`inutile vessazione».
Peccato che per molti professionisti l’aborto a domicilio sia un grave pericolo. Sensate le considerazioni di monsignor Rino Fisichella intervistato da Giacomo Galeazzi sulla Stampa: «Questa condizione di incertezza è senz’altro dannosa. Se si fa un ragionamento solo economico, è ovvio che per il sistema sanitario dare una pillola è una via più economica e sbrigativa rispetto a quella di dover educare». E l’aborto a casa propria? «Oltre ai gravi pericoli per la salute, preoccupa che con la Ru486 si rinchiudano le donne, soprattutto giovani, nella solitudine della loro tragedia».
Dalla pillolona alla pillolina. Durante la settimana le minorenni milanesi che chiedono la pillola del giorno dopo sono 2-6. Nei weekend balzano a 15-18. Le pagine milanesi del Corriere della Sera del 26 febbraio titolano: «Paura di essere incinte, ragazzine in ospedale. Tra loro molte quattordicenni. Gli ospedali: in un anno distribuiti mille farmaci antigravidanza. L’Asl: somministrazione solo alle giovani con più di 14 anni». Alessandra Graziottin invita a cambiare terminologia: «Non bisogna parlare di pillola del giorno dopo, ma di contraccezione d’emergenza». Tre giorni dopo, pagine torinesi di Repubblica: «Mercedes Bresso ha firmato la petizione dell’associazione radicale Luca Coscioni che chiede l’abolizione della ricetta per la cosiddetta pillola del giorno dopo. Lo ha fatto durante una sosta a un banchetto organizzato dalla lista Bonino-Pannella». In alte parole, da «d’emergenza» la contraccezione «day after» diventerebbe ordinaria. Commento di Alessandra Graziottin: «E il segnale di una superficialità diffusa sulla contraccezione». Era il commento sul Corriere, ma funziona anche su Repubblica.
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