Referendum verso giugno, l’ira dei radicali

Il governo prende tempo sulla data. Il partito di Pannella protesta: «Allora non voteremo Casa delle libertà»

ROMA – Romano Prodi è andato via da una manciata di minuti quando Camillo Ruini arriva al congresso della Coldiretti, la cui terza giornata si era aperta con la celebrazione della messa. Non una parola sul referendum che divide le coscienze, ma quando il presidente della Conferenza episcopale chiude il suo breve intervento tra gli applausi degli agricoltori, lascia cadere un saluto che non suona estraneo alla battaglia sulla legge 40: «La Chiesa ha fiducia in voi, ha bisogno di voi e ha anche delle aspettative su di voi». Chi sperava in un incontro a scena aperta tra il Professore e il Cardinale, dopo che Prodi aveva legittimato l’astensionismo teorizzato da Ruini, resta deluso. E così chi sospettava un chiarimento avvenuto dietro le quinte. «Se ho visto Prodi? Non parlo di questi argomenti» è la secca risposta del capo dei vescovi.

VOTO A GIUGNO – Niente incontro tra Prodi e Ruini e niente data del referendum. Il Consiglio dei ministri prende tempo. «Non abbiamo affrontato il tema» assicura Marco Follini, che però lascia intendere come il governo propenda per rinviare a giugno il voto popolare sulla fecondazione. «Dipende molto anche dal calendario delle amministrative fissato dalle Regioni – spiega il vicepremier – e la prospettiva di avere un maggio tutto elettorale è realistica». Altrettanto realistici, lo interroga un cronista, sono allora i timori dei referendari che il governo abbia in mente una data balneare? E Follini: «Macché timori…».

PANNELLA FURIOSO – Più che timorosi, i radicali sono furiosi. Il segretario Daniele Capezzone avverte la maggioranza: «Non diamo mai indicazioni di voto, ma in caso ci fosse un altro “sfregio” nei nostri confronti sulla data credo che gli elettori radicali dovrebbero essere davvero molto, molto motivati per votare Cdl alle regionali». Nei giorni scorsi Marco Pannella aveva esortato a non offrire «frettolosi regali alla Cei» e ora si scaglia contro la «campagna scatenata dagli attuali gerarchi vaticani» e spera che il governo fissi la consultazione all’ultima domenica di maggio evitando «un atto politicamente indecente, per non dire ignobile». I Ds sospettano che il governo voglia far slittare il voto al 5 o al 12 giugno. Una «vergogna» accusa la coordinatrice donne Barbara Pollastrini, convinta che «il fronte che vuole mantenere questa legge ignobile ha paura, sa che una larga partecipazione e il raggiungimento del quorum farebbero vincere i sì». Francesco Rutelli ritiene sbagliato mescolare i temi referendari con quelli delle Regionali e parlerà solo nel corso della campagna referendaria. Il silenzio strategico del presidente della Margherita, come quello annunciato da Prodi, dicono quanto lacerante sia per l’Ulivo il voto sulla procreazione assistita. Giuliano Amato andrà a votare, Enrico Letta non ci andrà. La Quercia spinge per il quorum, la Margherita sta ben attenta a non appiattirsi sulla linea segnata da diessini e radicali.

CATTOLICI E ASTENSIONE – Il fronte che segue Ruini è compatto, ma la liceità del non-voto divide i cattolici. Dopo la lettera di Prodi a Famiglia Cristiana («è adulto anche chi non va a votare»), Arturo Parisi chiede a chi si astiene di «spiegare questa scelta, per evitare che possa apparire dettata da qualche disciplina ecclesiastica». Nelle parole del presidente federale della Margherita – che era vicepresidente dell’Azione cattolica ai tempi di Vittorio Bachelet – c’è anche il timore, già espresso da Prodi a settembre, che il referendum spacchi il Paese come ai tempi del divorzio e dell’aborto. L’Udc la sua linea l’ha già espressa: astensione. E la consulta etico-religiosa di An ha chiesto al partito di schierarsi per il non voto.