E’ quanto è accaduto recentemente a Pisa dove la guardia medica e il pronto soccorso hanno rifiutato a due ragazze l’anticoncezionale di cui avevano bisogno.
"Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione": così recita l’articolo 9 della legge 194. E’ in questo caso e solo in questo caso, esplicitamente previsto dalla legge, che un medico può rifiutarsi di dare assistenza a una paziente. E’ impensabile che questa facoltà venga estesa, quale che ne sia la giustificazione, alla prescrizione e alla vendita di un anticoncezionale.
Ma a Pisa, nei giorni scorsi, questo è accaduto. Può darsi, naturalmente, che si tratti di un caso isolato. Di un medico o di un farmacista che forse immagina di vivere nello Stato Pontificio anziché nella nostra Repubblica. Qualcuno, spero, lo convincerà che si è sbagliato e che anche in quel di Pisa valgono le nostre leggi.
Ma non vorremmo, invece, che questo episodio fosse il segnale, da parte cattolica, di qualcosa di diverso, di una nuova campagna (culturale? politica? ideologica?) contro le donne e il loro pieno diritto di servirsi di tutti gli anticoncezionali autorizzati dalla legge (dalla spirale alle pillola del giorno prima a quella del giorno dopo). Il cui uso, tra l’altro, andrebbe largamente promosso, quale che sia in materia la posizione della Chiesa, anche per evitare gravidanze indesiderate e l’eventuale ricorso all’aborto.
Un caso analogo a quello di Pisa si verificò, a quanto ricordiamo, nell’ormai lontanissimo 1994 quando un farmacista e una dottoressa cattolica si rifiutarono di prescrivere e di vendere contraccettivi appellandosi alle proprie convinzioni religiose. All’epoca il ministro della Sanità, la democristiana Maria Pia Garavaglia, richiamò immediatamente il farmacista e la dottoressa al rispetto delle leggi dello Stato italiano che consentivano la vendita dei contraccettivi (e ne ebbe per questo un duro richiamo dell’Osservatore Romano).
Nessun dubbio che un analogo richiamo alle leggi dello Stato italiano verrà espresso dall’attuale ministro della Sanità, dall’Azienda Sanitaria da cui dipendono il medico e il farmacista di Pisa, e dal Consiglio Regionale della Toscana che aveva già avvertito che sarebbero stati responsabili di interruzione di pubblico servizio i medici che avessero rifiutato di prescrivere la "pillola del giorno dopo".
E tuttavia non possiamo fare a meno di valutare l’episodio di Pisa come allarmante non solo per quanto si riferisce alla condizione delle donne, alla loro libertà e al loro diritto alla contraccezione, ma anche per quanto si riferisce al principio di laicità del nostro paese. In particolare quando, come oggi accade, la Chiesa cattolica rivendica una maggiore presenza nello spazio pubblico. Ma questa maggiore presenza nello spazio pubblico non può comportare la imposizione di una serie di scelte etiche di matrice cattolica a tutta la nostra società, ormai largamente secolarizzata. Né, tantomeno, la possibilità o il diritto per i cattolici, di sottrarsi alle leggi dello Stato quando queste sembrino loro in contrasto con le proprie convinzioni religiose.
Nella sfera privata questa possibilità è certamente garantita. Il cattolico potrà certamente non fare ricorso né al divorzio né all’aborto (per citare due leggi dello Stato nei confronti delle quali la Chiesa conferma legittimamente la sua intransigenza), ma una analoga scelta non è possibile né pensabile quando il cattolico opera nella sfera pubblica (come nel caso del farmacista o del medico di Pisa). Nella sfera pubblica infatti valgono per tutti, quali che siano le scelte etiche o religiose, le leggi dello Stato.
Ed è bene che sia così. A nessuno di noi, penso piacerebbe vivere in una società nella quale dovessimo chiedere al medico o al farmacista cui ci rivolgiamo quotidianamente quali sono le sue profonde convinzioni religiose. Faccio un esempio classico a proposito della necessaria neutralità di coloro che operano nello spazio pubblico, I Testimoni di Geova, come noto, sono contrari alle trasfusioni di sangue e la loro richiesta, per quello che so, viene rispettata nei nostri ospedali quando avanzata da un adulto cosciente. Ma un medico testimone di Geova che operi in un ospedale non potrà rifiutare, per quello che so, una trasfusione di sangue a un paziente che ne abbia bisogno. O dovrò chiedere al medico che mi opera, prima di entrare in sala operatoria, quali sono le sue convinzioni religiose?