Pillola abortiva, Italia a due velocità. La dichiarazione di Mirella Parachini, ginecologa dell’ associazione Luca Coscioni

In alcune regioni l’ aborto farmacologico è negato alle donne. E anche in quelle dove si può fare, spesso è praticato solo in pochi ospedali. La Ru486 ha spaccato, una volta di più, la sanità italiana. In questo caso non è solo un problema di qualità dell’ assistenza ma anche di scelte politiche. In certe realtà la pillola non è gradita. In Calabria e in Abruzzo, ad esempio. Oppure nel Lazio, dove fino a ora sono state ordinate 15 confezioni, cioè 5 ciascuna in tre strutture: l’ ospedale di 0stia e il Pertini e il Forlanini di Roma.

Probabilmente   non sono nemmeno state usate tutte visto che il distributore, la Nordic Pharma, non ha ricevuto altre richieste. Sono passati sei mesi da quando è stata avviata la commercializzazione del medicinale più discusso della storia del nostro Paese. Un primo bilancio racconta che il sistema non viaggia ancora a pieno regime. Fino a oggi sono state ordinate 3.304 confezioni dagli ospedali italiani, e ovviamente non sono ancora state usate tutte.

Difficile che il numero raddoppi nei prossimi sei mesi. In molti infatti hanno fatto un solo ordine, segno che l’ utilizzo non ha preso il via. E’ il caso della Sardegna (52 confezioni), dell’ Abruzzo (15), dell’ Umbria (11), della Calabria e delle Marche (5). Ma anche le 120 confezioni della Sicilia sono poche, come le 129 del Veneto. In Italia ogni anno si fanno circa 30mila interruzioni di gravidanza prima della settima settimana, cioè il tempo massimo entro cui può essere somministrata la Ru486. A questi ritmi difficilmente l’ aborto farmacologico sostituirà quello chirurgico in buona parte del Paese, come ad esempio è avvenuto in Francia. Dove la Ru486 si usa, la maggior parte delle donne dopo averla presa non resta in ospedale, disattendendo le indicazioni di ministero e Consiglio superiore di sanità che hanno chiesto il ricovero ordinario. In Emilia e in Toscana perché queste regioni hanno previsto il day hospital; in Piemonte, Liguria, Lombardia, Puglia perché le pazienti firmano e tornano a casa. «Abbiamo usato 400 pillole – spiega Silvio Viale, ginecologo radicale del Sant’ Anna di Torino -Solo 16 pazienti, il 14%, sono rimaste in ospedale tra somministrazione e espulsione. Abbiamo fatto in tutto 24 revisioni chirurgiche perché la Ru486 non è bastata. Siamo in linea coni dati francesi». Nicola Blasi, primario al policlinico di Bari, resta praticamente l’ unico al sud a usare la pillola abitualmente: «Su 200 donne trattate, ne sono rimaste qui una o due». A spiegare quello che sta succedendo nel Lazio è Mirella Parachini, ginecologa dell’ associazione Luca Coscioni e del San Filippo Neri di Roma. «La Regione ha previsto un percorso complesso, tra ricovero e letti particolari. Si tratta di un ostracismo. Alle tante donne che ci chiedono di usare la Ru486 consigliamo Bologna. Si nega un farmaco che potrebbe essere utile anche per gli aborti terapeutici dopo il terzo trimestre. Quelli di chi ha fortemente voluto un figlio ma ha scoperto malformazioni gravissime». Quirino Di Nisio è il responsabile della ginecologia di Pescara. In Abruzzo sono state ordinate solo 15 confezioni. «Userei molto volentieri la pillola ma non abbiamo strutture per fare il ricovero e la Asl non ce le mette a disposizione – spiega – Il fatto che altrove le donne firmino per andarsene è un’ irregolarità. La nostra Regione, poi, non ha le linee guida, c’ è un boicottaggio del farmaco. Del resto qui l’ istituzione è piuttosto latitante».