E’ stato licenziato dalla Commissione Sanità del Senato il ddl Calabrò sul biotestamento. Il Pd però si è diviso: con Vita e Poretti che hanno votato contro e la capogruppo Bianchi che si è astenuta, generando malumore tra i democrats. Ora la parola passa all’Aula, dove l’opposizione spera (anche se senza ottimismo) di strappare qualche miglioramento che attenui l’illiberalità di un testo condizionato dall’ideologismo di Oltretevere
Un primo traguardo il centrodestra lo ha raggiunto, con la Commissione Sanità del Senato che oggi licenzia il ddl Calabrò sul biotestamento. Esultano dal governo e dalla maggioranza e, molto probabilmente, anche dal Vaticano, perché è Oltretevere che vanno cercate le linee ispiratrici di questo disegno di legge, che quasi certamente diverrà norma dello Stato (pontificio più che italiano). La schiacciante forza numerica della coalizione guidata da Berlusconi e l’oltranzismo dimostrato non fanno sperare in miglioramenti del testo da parte dell’Aula di Palazzo Madama, dove il ddl Calabrò arriverà il 18 marzo per esser votato entro il 24. Molto meno gioioso il clima dalle parti dell’opposizione e in particolare del Pd, che anche oggi ha dato dimostrazione di quanto il tema più che dividere, dilani il partito. Un boccone amaro da digerire per le anime laiche democratiche e un primo scoglio da superare per il neosegretario Franceschini.
In Commissione, dove si votata definitivamente il ddl e il mandato al relatore (Calabrò) a riferire in Aula, il testo passa con 11 voti favorevoli da parte del Pdl, Lega e Udc. Il partito democratico, invece, si divide: Poretti (radicale) e Vita (che sostituiva Marino in missione esterna) votano contro, la capogruppo cattolica Bianchi, insieme ai colleghi Bosone e Gustavino, invece si astengono, mentre Chiaromonte, Cosentino e Bassoli non partecipano.
Ma la linea del partito, stabilita poco prima della votazione, era di esprimersi in senso contrario: "la prassi vuole -ci spiega Vita- che quando si partecipa al voto conclusivo di un documento base, con connesso affidamento al suo relatore in Aula, le opposizioni, soprattutto se contrarie al principio ispiratore del documento, votino contro".
Nel caso c’era poi una condotta che era stata indicata ufficialmente dal partito. Una linea, pare, messa in discussione dalla stessa capogruppo Bianchi nel momento in cui ha scelto l’astensione, generando il meccanismo del liberi tutti. Con i tre senatori che non hanno partecipato per paura di fratturare un partito già diviso, tra coloro che rispettavano la linea stabilita di contrarietà e quanti invece preferivano astenersi. Tra gli affossatori anche l’Idv con Astorre e Bianconi, dissidente del Pdl.
"Non e’ un voto di merito" ha cercato di sminuire una evidentemente contrariata Finocchiaro. La stessa presidente dei senatori democratici, in presenza del vice Zanda, ha incontrato i membri democrats in Commissione alla fine del voto. La scelta della capogruppo Bianchi di astenersi, dopo che in mattinata la stessa Finocchiaro aveva ribadito che la linea era "votare contro", non deve esser stata apprezzata. A rendere il comportamento della teodem ancora più discutibile anche una mancanza burocratica: mentre Marino si è fatto sostituire dal collega Vita, Di Girolamo, altro senatore assente e considerato vicino alle posizioni laiche e critiche verso il ddl, non è stato sostituito dalla capogruppo, a cui spettava pure il compito.
"Se c’e’ stato un errore, e forse è stato un mio errore, è stato quello di una mancanza di dialogo e di questo me ne dispiaccio molto", si è giustificata la diretta interessata. Che ha anche difeso la sua astensione e quella dei colleghi affermando che la votazione di oggi non "non è un voto di merito ma un voto tecnico. Il relatore di maggioranza in genere lo sceglie la maggioranza, in commissione Sanità – sottolinea- su questo ci siamo sempre astenuti. Il voto di astensione era un tentativo per mantenere aperto uno spiraglio di dialogo". Ma la spiegazione del suo comportamento forse risiede nelle parole pronunciate successivamente, niente di nuovo ma in questo contesto ancora più emblematiche: "Ricordiamoci che parliamo di questioni delicate su cui ognuno alla fine deve potersi esprimere con libertà di coscienza". La stessa che in più occasioni l’ha spinta a slanci di disponibilità verso il centrodestra che nel partito non sono passati inosservati. E per tentare di placare il clima, ha poi aggiunto: "L’orientamento del Pd ci sarà quando il ddl arriverà in aula". Forse troppo tardi.
Rimane il dato di fatto: il Pd anche oggi non ha serrato i ranghi, non ha lanciato un messaggio chiaro e unico di contrarietà verso un testo che la Finocchiaro definisce "orrendo e inutile" oltre che capace di "sfasciare la Costituzione (…) dando la primazia allo Stato sull’individuo". ”Il cuore della partita – ha aggiunto indicando il primo elemento di critica- e’ li’, sulla tenuta del patto costituzionale nell’assicurare le liberta’ e la possibilita’ di farle valere”. Il riferimento a quell’art.1 che sintetizza i principi guida, alla vita "come bene indisponibile" appare evidente.
Altrettanto amareggiato Marino che fa sapere come il ddl diventerà una legge "che toglie libertà ai cittadini".
A questo punto la parola passa all’Aula dove il Pd annuncia battaglia, come del resto fanno anche i radicali paventando una cascata di emendamenti, raccolti anche attraverso l’iniziativa web lanciata dal sito dell’associazione Luca Coscioni, dove i cittadini sono invitati ad inviare le loro richieste di modifica al ddl di cui i radicali si faranno portavoce al Senato.
Ma anche nell’approdo all’Aula non c’è da sperare molto. Lo hanno detto congiuntamente sia Finocchiaro che Marino. La prima infatti ha dichiarato: "Non mi faccio molte illusioni. Non credo che con il voto segreto si otterrebbero strabilianti modifiche del ddl Calabrò, che sarà approvato così com’è: un testo orribile". In ogni caso il Pd tenterà di contenere il danno di una norma illiberale e anticostituzionale lavorando anche per piccoli miglioramenti: "almeno entrerà in vigore una legge meno dannosa", è l’amara consolazione della presidente dei senatori democratici, consapevole che "non sono tempi radiosi".
Pessimista anche Marino: "Nessuna speranza di arrivare a un testo migliore", il quale prevede come "noi saremo l’unico paese al mondo che indica in una legge a quali terapie una persona può essere sottoposta e a quali non puo’ sottrarsi". "La nutrizione artificiale – è il suo esempio – è indicata come obbligatoria, e quindi nessuno, se si trovasse un giorno in stato vegetativo, potrà dire ‘non la voglio’". Mentre per quanto riguarda le altre terapie, un cittadino potrà lasciare un suo orientamento, "ma nella legge è scritto che potrà essere disatteso in ogni momento dal medico, e quindi non conta nulla". In sostanza solo "chi può parlare potrà opporsi a una terapia": per altro, questa libertà non è stata riconosciuta in origine dal centrodestra, ma strappata dopo un logorante braccio di ferro dall’opposizione. Per Marino la speranza risiede nei cittadini e nella magistratura. Ed è l’unica che ancora lo anima: "Non so se arriveremo al referendum, ci saranno nuovi conflitti, passando attraverso il dolore di altre famiglie, che dovranno essere risolti dal tribunale. E il tribunale, rivolgendosi alla Corte costituzionale risolverà la questione se si arriverà ad affermare che la legge è contro la Costituzione".
Pur con tutte le sue articolazioni, per il Pd la sfida di rendere il ddl Calabrò meno lesivo della libertà individuale era impossibile. Lo ha ricordato anche la Finocchiaro: "Abbiamo tentato tutto il possibile (…) ma dopo ieri, e ancora di più dopo stamattina, mi sembra che la chiusura da parte della maggioranza sia totale". Il riferimento è alla votazione odierna in Commissione Sanità quando la maggioranza ha costretto ad una ripetizione perché rischiava di essere affondata, tanto che al secondo tentativo il presidente Tomassini ha votato (solitamente non accade) mente il collega De Lillo ha mutato posizione. Alla fine, sul fil di lana, il centrodestra porta a casa 11 voto a proprio vantaggio contro 10. Lo ha denunciato anche la capogruppo democratica Bianchi, a cui tutto sommato il testo Calabrò non è mai sembrato tanto male.