“Mussi, dove sei?”

La rivolta degli accademici: immobilismo e promesse non mantenute. "Senza la meritocrazia i finanziamenti finiscono sprecati"

E’ una scena che in Italia non si vedrà mai: il prof è stato giudicato inadeguato e quindi bocciato e lui, che scarseggia in bravura ma non in dignità, si dimissiona da solo. Come potrebbe continuare a lavorare con i colleghi promossi e pretendere di insegnare agli studenti? In Gran Bretagna succede. Lì funziona un meccanismo semplice e perfetto, il RAE, acronimo di Research Assessment Exercise: valuta ogni cinque anni i professori e dà i voti. Da 5 con asterisco fino al vergognoso minimo di I. E i soldi arrivano di conseguenza. Così i dipartimenti, se vogliono fare ricerca e prosperare, devono cercare i cervelli migliori, alimentando il mercato dell’intelligenza. Un mondo alieno La perfezione è sempre spietata. A svelare questo mondo a noi alieno (anche se è a un paio d’ore d’aereo) è Piergiorgio Strata, neuroscienziato all’Università di Torino, direttore del Centro Levi Montalcini per il «brain repair» e copresidente dell’Associazione Luca Coscioni. Al contestato ministro Fabio Mussi, incline a farsi. i complimenti da solo lei ricercatori italiani non sono affatto male», è il suo mantra), spiega la formula da adottare senza perdere altro tempo.

E` drastica, come quella che trionfa nel mondo anglosassone e produce Nobel in serie (l’incensato italiano Mario Capecchi, Premio per la .Medicina 2007, è italiano soltanto di nome: lavora da sempre negli Usa e ha dimenticato la lingua madre). «Abolire le facoltà, rendere autonomi i dipartimenti e introdurre criteri ferrei di valutazione».  In Italia – è noto – molti prof hanno una paura folle degli esami (su se stessi). La maggioranza si oppone a una delle poche iniziative di Mussi, quella che passa sotto l’oscura sigla ANVUR, vale a dire l’Agenzia che dovrebbe giudicar; la qualità delle università. «Purtroppo è stata di nuovo posticipata, stavolta per il 2008 – aggiunge Strata Ma il progetto è inutilmente complicato. Invece dell`ennesi1ra:o burocrazia pseudoministeriale abbiamo bisogno di una struttura snella che giudichi in mode, indipendente, come in Gran Bretagna e negli Usa, e distribuisca i fondi secondo i meriti». Allo stesso tempo c’è da migliorare l’altro meccanismo, già esistente, noto agli addetti come PRIN: finanzia gli studi dei singoli ricercatori, ma non è sempre casi immacolato come dovrebbe.

«Anche in questo caso sono indispensabili le commissioni indipendenti, con accademici stranieri che affianchino gli italiani, sul modello della Fondazione Telethon che si occupa delle malattie genetiche». Mussi non può accampare scuse. Sono innovazioni – com’è di moda dire – «a costo quasi zero» e di rapida applicazione. E invece il ministero è immobile. «E’ perfino imbarazzante, ormai», commenta Salvatore Settis, professore di storia dell’arte e archeologia classica e direttore della celebre Scuola Normale Sup€e. riore di Pisa. Al ministro dà anche lui due consigli, da realizzare subito, «Primo: fermare l`emorragia di giovani. Pensiamo al Cnrs, il Cnr francese, in cui il 30% dei ricercatori sotto i 30 anni è italiano. Noi li formiamo e loro se ne vanno. Si deve quindi levare l’assurdo blocco dei concorsi. La Riforma Moratti c’è, ma mancano i decreti attuativi. Eppure basterebbe una settimana per rimediare». II secondo è riattivare il bando (anche quello ideato dal predecessore di Mussi) per il rientro dei cervelli. «Aveva prodotto buoni risultati, ma da un anno e mezzo non sì è più fatto. Sembra che il ministro voglia bloccare e ibernare la ricerca. E una realtà insopportabile».

Se la perfezione anglossassone è giustamente spietata, spietata in forme caricaturali è l’ignavia italica. Stefano Fantoni, fisico, direttore della SISSA, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, la riassume così: «Sento anche idee buone provenire dal ministero dell’Università e della Ricerca, ma non sì realizzano mai!». Conseguenza- «Mancai uria politica credibile che leghi i finanziamenti alla logica dell’efficienza, e assistiamo quindi nelle università a sprechi inammissibili, e inoltre la mobilità dei ricercatori è inesistente, con esempi in serie di inammissibile provincialismo». il potere dei baroni Di nuovo, la soluzione è evidente come un teorema matematico: il rigore della selezione. Strata pensa che è ora di rompere il potere dei baroni con concorsi veri («invece di quelli confezionati su misura per il raccomandato di turno»), Fantoni crede nella strategia, anche questa anglosassone, del «tenure track»: «Il ricercatore segue un apprendistato graduale, sotto controllo nel tempo. Peccato che in Italia sia comunque impensabile». A Mussi – imputato del peggior reato per un politico, il «non fare» il drappello dei prof illuminati intima il dinamismo del merito. «Copiate gli Usa: chi è così stupido da scegliere in laboratorio gli amici stupidi?». Se lo dice Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista, professore a Stanford, California, c’è da credergli. «Il campus fornisce l’ambiente di lavoro, il migliore possibile, mentre il professore va a caccia dei finanziamenti. E’ un cortocircuito positivo». Al momento impensabile, anche questo. E talmente evidente che sotto processo non è solo il ministro. E’ l’intera università italiana.