Il parlamento ha votato una legge che svuota di significato il biotestamento.
Che la votazione avesse carattere strumentale lo si sospetta legittimamente e, tuttavia, è l’atteggiamento dei Vaticano, nei confronti dei quale è stato compiuto un atto di compiacenza, che desta la più grande preoccupazione. Per tre ragioni di eguale gravità. L’evidente intenzione di imporre a tutti la condizione di limitazione della libertà che caratterizza l’atto di fede, peraltro interpretato in modo molto restrittivo; la pesante intromissione nel rapporto del soggetto con il proprio corpo; l’altrettanto pesante intromissione nell’elaborazione del proprio lutto da parte dei cittadini.
Per cominciare, il corpo non è il ricettacolo insignificante dell’anima che dobbiamo (noi o altri al posto nostro) tenere artificialmente in vita ad ogni costo il più a lungo possibile. II corpo è indissociabile dalla nostra psiche (i nostri desideri, le nostre rappresentazioni della realtà, le nostre emozioni). Desideriamo con il nostro corpo, amiamo odiamo, pensiamo e ci esprimiamo con esso. Se è gravemente e irrimediabilmente danneggiato, si altera in modo rilevante anche il nostro rapporto con noi stessi e la realtà e in condizioni estreme la sofferenza psichica e il venir meno del senso della nostra esistenza possono diventare insostenibili. Essere costretti per legge a vivere in condizioni di non vita, costretti a vivere oggettivamente al posto di viver soggettivamente, è un arbitrio che viola il diritto alla gestione soggettiva della propria esistenza e di conseguenza ignora l’etica. Ma i cittadini visti nell’ottica del Vaticano (un potere, di fatto, politico non regolamentato dai principi politici costituzionali validi per tutti) risultano privi della libertà non solo d gestire la loro invalidità in modo personale ma anche di elaborare il senso di perdita, quando un loro caro si ammala al punto di vivere in stato vegetativo e la sua presenza diventa l’assenza più drammatica e intollerabile.
La cosa più sconcertante nel caso di Eluana Englaro è stata la pretesa di costringere i suoi genitori a vivere in presenza di una figlia assente per sempre, nei perenne effetto perturbante di lei diventata un "morto vivente". Portare a termine un’esperienza di lutto, richiede una linea di separazione tra presenza e assenza, tra vita e morte, senza la quale il graduale sofferto distacco dalla persona perduta diventa impossibile. Inoltre, l’altrettanto graduale interiorizzazione del morto come oggetto che vive nel nostro mondo interno, e di conseguenza può essere ritrovato in altre persone nel mondo esterno, subisce un impedimento se lo spazio onirico, lo spazio percettivo interiore in cui lo facciamo rivivere, è invaso dalla percezione esteriore di un corpo artificialmente vivo, quasi allucinatorio.
L’accanimento terapeutico (che contiene sempre un elemento di necrofilia) sospende il processo del lutto. Come nessuno ci può impedire di sospendere il lutto, nessuno ci può costringere a sospenderlo. La fede, di qualsiasi natura sia il suo oggetto, ha le sue radici nel senso di mancanza di compiutezza che accompagna l’essere umano fin dalla sua nascita. Se si stacca dal senso di fiducia che nasce dall’apertura nei confronti di altri, diversi modi di vivere (che trasforma il senso di mancanza in relazione creativa con il mondo in cui viviamo) diventa arroganza, sopraffazione inaccettabile.