L’analisi preimpianto e piega eugenetica, per l’Avvenire sono la stessa cosa

Ilaria Nava

Un’ordinanza che ha fatto discutere, perché ha autorizzato l’accesso alla fecondazione artificiale a una coppia senza problemi di sterilità, ma solo al fine di poter selezionare l`embrione sano attraverso la diagnosi preimpianto. Pratiche vietate dalla legge 40, ma autorizzate nel caso specifico da un giudice di Salerno, che in poche pagine di motivazione è riuscito a intaccare molti dei principi garantisti fortemente voluti dal Parlamento in sede di approvazione della legge. Ne abbiamo parlato con Filippo Vari, professore associato di diritto costituzionale all’Università europea di Roma e autore del volume Concepito e procreazione assistita. Profili costituzionali (2008, Cacucci).

Iniziamo dalla diagnosi preimpianto. L’ordinanza afferma che la legge e le linee guida ora la prevedono.
«Chiariamo subito che con l`espressione diagnosi preimpianto si fa riferimento non alla pratica esclusivamente conoscitiva circa lo stato di salute dell’embrione bensì alla selezione degli embrioni "sani" e allo scarto di quelli "non sani". Questa diagnosi oggi non è consentita dalla legge 40, come si ricava, oltre che da tutto l’impianto della legge, dalla norma che prevede l’obbligo di impianto per tutti gli embrioni creati, oltre che da quella sul divieto di selezione eugenetica. Ci sono tante pronunce di giudici in tal senso (Tribunale di Catania, Tar Lazio, Tribunale di Cagliari)».

Un divieto in linea con il resto dell’ordinamento e con la legge 194 sull’aborto?
«Sì. Anche la Cassazione ha costantemente escluso l’esistenza nell’ordinamento italiano di un "principio di eugenesi o di eutanasia prenatale", che per la Suprema Corte è, giustamente, da ritenere in contrasto con "i princìpi di solidarietà" (Cassazione, sez. III civile, sent. 29 luglio 2004, n. 14488; Cassazione, sez. III civile, seni. 14 luglio 2006, n. 16123). Per quanto riguarda la legge 194 sull’aborto, è un errore affermare che consente di abortire in caso di malattia del feto. La normativa esclude le sanzioni per l’interruzione di gravidanza solo per problemi legati alla salute della madre, anche se nella prassi si registrano violazioni del chiaro disposto normativo».

Com’è possibile allora che il giudice abbia autorizzato la selezione?
«Robert George, professore a Princeton, fra i più autorevoli giuristi americani, ha di recente richiamato l’attenzione sull’attivismo giudiziario, un male che affligge le democrazie occidentali. Nelle democrazie il momento del disporre, ossia di porre la norma in via generale e astratta, non spetta al giudice, ma agli organi democratico rappresentativi del popolo, che nel nostro caso hanno già preso una decisione nel 2004 con la legge 40; decisione confermata oltretutto dalla nota vicenda referendaria. E chiaro che si è di fronte a decisioni nelle quali l’opinione dei giudici non trova supporto nelle chiare previsioni di legge, come ad esempio l’articolo 4 della legge 40 che esplicita uno dei cardini della disciplina in materia, e cioè che la procreazione assistita è uno strumento per superare deficienze nella capacità di procreare e, dunque, a disposizione esclusivamente delle persone sterili».

Nell’ordinanza di Salerno si afferma che esiste il diritto inviolabile della donna al figlio sano, e che per le coppie fertili e portatrici di malattie genetiche solo l’accesso alla procreazione assistita può garantire questo diritto. Cosa ne pensa?
«L’espressione "diritto al figlio sano" viene utilizzata non per indicare il diritto – già tutelato nell`ordinamento italiano – a godere di prestazioni mediche che non danneggino il concepito, bensì per introdurre, in forma edulcorata, un diritto a scegliere gli embrioni più sani e a distruggere quelli che siano affetti da qualche malattia o imperfezione. Siamo di fronte a una chiara piega eugenetica, come ha chiarito in un noto scritto Júrgen Habermas. E questa piega contrasta con i principi costituzionali, oltre che con le previsioni della legge 40 del 2004. L’alternativa non è, come si vorrebbe far credere, se si vuole un figlio sano o un figlio malato, ma se i genitori sono disposti a eliminare i figli malati per avere soltanto figli "selezionati" e, dunque, sani. La storia ha dimostrato i drammi prodotti dall’idea secondo la quale ci sono "vite che non vale la pena vivere". Nel 2008, in una prefazione a un mio volume sul tema, che rappresenta credo il suo ultimo articolo scientifico, Giuliano Vassalli – presidente emerito della Corte costituzionale e autore della sentenza con la quale la Corte riconobbe che il diritto alla vita del concepito si colloca tra i "valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana", che "non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale" chiariva come si tratta, al riguardo, di affermare elementari principi di civiltà giuridica».

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