La Turco ai vescovi: questa sinistra non è edonista Ma oltre a chiedere diritti insista sulla solidarietà

di Gian Guido Vecchi
Ministro, secondo l’agenzia dei vescovi la sinistra sta perdendo la sua anima popolare. Vede questo rischio?

«Beh, francamente no». Livia Turco, diessina e cattolica, riflette intorno alla nota del Sir e all’editoriale che Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere di domenica, ha dedicato alla fine del cattocomunismo. «Non vedo neanche la prevalenza di un’ideologia individualista o radicale, ma dove?».

Cominciamo da qui…

«Temi come la procreazione assistita, per dire, appartengono alla dimensione più intima delle persone, la vita e la morte, non mi sembrano certo individualistico-radicali. Del resto la Chiesa stessa se ne occupa. Piuttosto, sul piano politico, c’è una questione che porrei a Galli della Loggia».

Quale?

«Una critica della cultura liberale alla sinistra italiana era proprio di essere poco attenta alla dimensione dell’individuo e della sua libertà. Bene, se c’è una cosa sulla quale siamo cresciuti è proprio questa, grazie alle critiche liberali o a movimenti come quello delle donne. E adesso diventa radicalismo?».

Ma la base popolare perduta?

«Ho trovato di grande interesse gli scenari descritti da Galli della Loggia, molti li condivido. Chiaro, il mondo è cambiato. Ma la base popolare c’è: la componente fondamentale dei Ds è il lavoro dipendente, i giovani, le donne, gli anziani, anche i ceti medi e intellettuali, certo, ma non per questo si è snaturata. Anche qui: ai tempi ci criticavano per avere una base tradizionale e poco aperta ai certi emergenti. Mettiamoci d’accordo…».

Insomma, nessun problema?

«No, c’è la difficoltà italiana ad avere su questi temi un dibattito tranquillo. È tutto troppo ideologizzato. Si fa fatica a trovare uno spazio laico di confronto e contaminazione tra culture, che era proprio il senso del cosiddetto “cattocomunismo”. È un problema della politica italiana. E forse anche la Chiesa dovrebbe interrogarsi se talvolta il suo modo di essere, anziché favorire, non sia un po’ di freno a questo processo. La stessa sinistra deve fare un passo avanti».

In che cosa?

«Curarsi dei diritti individuali non è radicalismo né edonismo ma riconoscimento della dignità della persona. Però i diritti si accompagnano ai doveri. Ecco, la parola chiave della sinistra dovrebbe essere “responsabilità”, un termine che non si contrappone ma è l’altra faccia, la nuova frontiera del diritto: una persona è fatta di relazioni con l’altro, invece dell’individuo che rivendica si sottolinea quello che si prende cura della comunità. Infatti la sinistra che si occupa dei diritti civili è anche quella che pensa alla famiglia, alla solidarietà, alla giustizia sociale».

E la fine del cattocomunismo?

«Se si intende la sfida del dialogo, la contaminazione tra culture, è il progetto dell’Ulivo. Anzi, siamo molto più avanti del “cattocomunismo”, perché ora governiamo insieme: l’esempio di questa sfida sono Barbara Pollastrini e Rosy Bindi che si trovano ad essere insieme ministro e a dover fare insieme la legge che riconosce le convivenze di fatto. I temi etici sono difficili, lo so, ma questo Paese ha più che mai bisogno di costruire un tessuto comune di valori: hic Rhodus, hic salta ».

Sì, ma come si fa a impostare un dialogo su «principi non negoziabili»?

«La Chiesa ha assoluta libertà di esprimersi, è importante che lo faccia. Il problema è l’approccio della politica, che non dev’essere sorda, né strumentale né suddita. È la questione della laicità di cui parlavo. È chiaro che in politica non ci possono essere valori di per sé “non negoziabili”. Valori non negoziabili come il diritto alla vita devono misurarsi con la mediazione culturale che pensa la loro promozione nella realtà. Questo è il riconoscimento reciproco: essere disponibili ad ascoltare le verità dell’altro e anche a farsi cambiare. Un’esperienza di grande bellezza».