Il riduzionismo dell’Avvenire

di Luigi Manconi

Come sempre, il diavolo si cela nel dettaglio. Per evidenziare  la deriva laicista che  starebbe per travolgere il Partito  democratico, Francesco D`Agostino,  già presidente del Comitato  nazionale di bioetica, nell`editoriale  di ieri di Avvenire, invita  a considerare «quale sia  l`antropologia di Umberto Veronesi»  (capolista per il Senato  in Lombardia).  da un po’ di tempo, l’antropologia  viene strapazzata e richiamata a  sproposito, ma qui colpisce l’uso  "riduzionistico" che ne fa D’Agostino,  che pure del riduzionismo  si dichiara fiero avversario.

Dunque,  l’antropologia di Umberto  Veronesi viene ridotta da Avvenire  ad alcune posizioni e dichiarazioni  pubbliche in contrasto con il  magistero della chiesa; dell’antropologia  di Veronesi, invece, non  farebbe parte ciò che è fondativo  della sua identità, del suo ruolo  professionale, del suo statuto di ricercatore  e, infine, della sua qualità  morale: ovvero il fatto che, da  oncologo, ha dedicato mezzo secolo  di vita e di scienza, di terapia  e di sperimentazione alla cura delle  patologie tumorali; e che in questo  campo ha ottenuto straordinari  successi, restituendo salute e – alla  lettera – vita a migliaia di donne  e di uomini.

Quale vertigine politicante  e faziosa può avere indotto  l’editorialista del quotidiano dei  vescovi a ignorare tutto ciò per  screditare quello che assume come  un avversario politico? E ancora  l’antropologia: essa viene nuovamente  evocata a proposito dei  radicali, ma è possibile che – dopo  cinquanta anni di loro presenza  nello scenario nazionale e sovranazionale  – si vogliano tuttora  ignorare le tracce "cristiane" (magari  eretiche, ma non per questo  meno cristiane sotto il profilo culturale)  nell’azione di quel partito?  A ben vedere, è forse possibile ipotizzare  che l’impegno contro la pena di morte sia risultato, negli ultimi  decenni, più tematica radicale  che cristiana per il fatto che il Catechismo  della Chiesa cattolica  conservasse, in materia, esitazioni  e reticenze sino ad appena qualche  tempo fa.

E non solo: quel "riduzionismo"  sembra condizionare  in profondità la lettura complessiva  delle scelte politiche e della  politica stessa come funzione  pubblica da parte di settori delle  gerarchie ecclesiastiche: l’intera  politica viene ridotta alle scelte  sulle questioni definite sciaguratamente  "eticamente sensibili" (che  corrispondono, in realtà, alla corposa  concretezza di diritti civili e  garanzie sociali): e queste ultime,  a loro volta, vengono tradotte in  precettistica morale, in manualistica  sessuale, in prontuario di stili  di vita e di relazione. Ciò ottiene  l`effetto – invero disastroso – di banalizzare  quelle che sono, sì, grandi  questioni etiche in un causidico  codice di comportamento: e di  disciplinarle in un sistema di veti  e divieti.

I grandi temi della contemporaneità,  e quello terribile  dello sviluppo scientifico e delle  sue potenzialità e dei suoi limiti, e  le "questioni di vita e di morte" nascere,  crescere, ammalarsi, curarsi,  procreare, soffrire, decadere,  invecchiare, deperire, morire … esigono  libertà di mente e passione  per la verità; e incontro e scambio  tra antropologie diverse (e qui  il termine va inteso nel suo proprio  significato).

Come possono i  cristiani non comprendere che  l’amore per la vita e la cura per la  sofferenza dell’oncologo Veronesi  e di molti come lui è parte di  una cultura condivisa? E che, su  un altro piano, la testimonianza  di vita e di morte di Piergiorgio  Welby appartiene loro ed è, per loro,  "segno di contraddizione", nonostante  tutti i tentativi fatti per  sottrarvisi? Analogamente, per  me e per tanti come me, la folla  dolente e colma di speranza che si  ritrova a Lourdes o i familiari che  assistono da venti anni la donna  in stato vegetativo permanente e  non vogliono saperne in alcun  modo di interrompere le cure,  non esprimono affatto una "antropologia  diversa" e tanto meno  disprezzabile.

Appartengono alla  mia stessa condizione umana (e,  se volete, antropologica): e al `dolore  del mondo". Se si volesse assumere  un tale punto di vista, anche  la questione dell’aborto – sul  quale sempre Avvenire inventa un  falso che non c’è a proposito di  un documento firmato dagli ordini  dei medici – potrebbe essere affrontata con intelligenza.

Nessuno,  proprio nessuno, nega che  l’interruzione volontaria della gravidanza  sia un disvalore: e la sua  regolamentazione per legge non  traduce un disvalore in valore. La  normativa intende ridurre le conseguenze  individuali e sociali di  una pratica clandestina, attraverso  politiche pubbliche ispirate a  quella concezione giuridica, sanitaria  e culturale, ma che ha un suo  fondamento anche teologico,  che è la riduzione del danno.

Ovvero  secondo la dottrina cattolica,  il perseguimento del `male minore":  è ciò che indusse, all’epoca, la  Sacra Congregazione per la Dottrina  della Fede a prendere in considerazione  la liceità morale di una  legislazione perla depenalizzazione  dell’aborto: ipotesi infine respinta,  ma seriamente analizzata.  Ecco, forse è quel documento di  oltre trenta anni fa che sarebbe utile  rileggere oggi: c’era più sapienza  antropologica in quelle righe  che in tanti articoli di queste ore.