I divorziati cattolici: nuove regole in Chiesa

Elvira Serra

Oltre al dolore, l’esclusio­ne. Cose piccole e gran­di: non leggi più dal pul­pito, non fai più il catechista, non puoi più essere padrino o madrina ai battesimi e alle cresime. Testimone di nozze, forse; il «Direttorio di pastorale fami­liare » della Chiesa cattolica non detta un no definitivo, ma qua­si: «Non sussistono ragioni in­trinseche per impedire che un divorziato risposato funga da te­stimone nella celebrazione del matrimonio: tuttavia, saggezza pastorale chiederebbe di evitar­lo ».L’eucarestia, però, soprattut­to. «Mi sento anoressica. Perché quando vado a messa non pos­so fare la comunione. Eppure il sacerdote, durante l’elevazione dell’ostia, non dice forse: pren­dete e mangiatene tutti?».

Così raccontava la sua frustrazione una quarantenne «serenamente separata» e «felicemente convi­vente » durante l’incontro (il pri­mo di una serie) voluto dal ve­scovo di Arezzo Gualtiero Bas­setti per mandare agli «sposi in situazione di separazione, divor­zio e nuova unione» un messag­gio preciso: «La Chiesa non vi abbandona, non sentitevi soli». Divorzi in aumento. Dal 1990 al 2006 ci sono state più di un milione di separazioni (precisamente 1.087.251, dati Istat) e quasi seicentomila divor­zi (598.332): di questi, soltanto nel 2006 ne sono stati concessi 61.153, il doppio rispetto a dieci anni prima. E che si ponga una riflessione sui cattolici, come ha auspicato il cardinale Carlo Ma­ria Martini nel libro appena pub­blicato con don Luigi Verzé Sia­mo tutti nella stessa barca, lo di­mostrano anche i dati dei matri­monialisti. «Ormai in Italia un matrimonio fallito su cinque vie­ne sciolto da un Tribunale eccle­siastico. Le richieste, da tre an­ni, stanno aumentando del 20-25 per cento. E va aggiunto che in molti non divorziano pro­prio per non perdere l’accesso ai sacramenti. Spesso i clienti che vengono a consultarmi la­sciano il mio studio per rivolger­si a un avvocato rotale», fa il punto Gian Ettore Gassani, pre­sidente dell’Associazione matri­monialisti. Del resto, aggiunge, «come spiego alla signora cin­quantenne piantata in asso dal marito per una polacca di 30 an­ni più giovane che se frequenta qualcun altro, dopo il divorzio, non potrà più ricevere l’eucare­stia? ». La Rota Romana, quella sorta di Cassazione mondiale dei tribunali ecclesiastici, al pri­mo gennaio 2008 doveva pro­nunciarsi su 421 annullamenti in Italia, contro i 215 del 1999 e i 331 del 2003. Parroci controcorrente. Ma non è soltanto questo. Per chi è stato battezzato, cresciuto in una famiglia cattolica, sposa­to in Chiesa e magari ha avuto dei figli educati secondo i princi­pi cristiani, è difficile sentirsi la­sciati soli quando c’è più biso­gno di conforto. Don Luigi Gar­bini, giovane e anticonvenziona­le prete di San Marco a Milano, protesta: «Io faccio fare la comu­nione a tutti. A parte il fatto che non ricordo a memoria i loro peccati quando vengono a pren­dere l’ostia: ma cosa dovrei fa­re, fermarmi e dire ‘tu sì’ e ‘tu no?’».E sgrana gli occhi dietro la montatura di Antonio Gramsci quando sbotta: «Gesù è venuto per i malati e non per i sani. È difficile capire come mai una unione non è andata in porto, chi è attore e chi subisce. A vol­te le cose sono semplici, altre do­lorose. Dunque è un paradosso negare il sacramento a chi ne avrebbe più bisogno: la grazia sacramentale non si può ottene­re in nessun altro modo. Pur­troppo la disciplina ecclesiasti­ca non ha ancora trovato una formula per dirimere la questio­ne. L’ultimo del cardinale Marti­ni mi sembra l’ennesimo inter­vento che dimostra la sua gran­dissima intelligenza e la sordità dell’episcopato italiano».Iniziative individuali come quella di don Garbini sono più frequenti di quanto si pensi. Ma ci sono anche altre formule, scel­te dai sacerdoti per non far senti­re soli i fedeli. Come quella di don Pigi Perini, parroco dal 1977 nella basilica milanese di Sant’Eustorgio, che al momento dell’eucarestia non dà l’ostia consacrata ai divorziati o ai sepa­rati conviventi, però parla con loro, le mani sulle spalle, due battute, una benedizione. E li ri­conosce perché quelli si metto­no in fila tenendo una mano sul petto. Separati cristiani. Al telefono di Sos separati (02.6554736) arrivano le testi­monianze più sconcertanti. «Ti sei diviso? Allora non canti più nel coro», racconta Ernesto Emanuele, presidente dell’Asso­ciazione famiglie separate cri­stiane, un migliaio di iscritti in dodici diocesi e sedici città, per­lopiù al Centronord (Trieste, Udine, Venezia, Verona, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firen­ze, Roma, Latina, Siena, Lecco, Varese, Lodi e Monza).Le segnalazioni sono tante: «Quella del giornale cattolico di Alba che ha scritto più o meno: educare un figlio da padre sepa­rato è come mettere sale nella tazzina del caffè. Oppure quella del parroco di Maserada sul Pia­ve, che i figli dei separati li bat­tezza il sabato, anziché la dome­nica, perché li considera ‘di se­conda categoria’. C’è poi il pre­te che alla sua parrocchiana ha concesso: ‘Se vuoi vieni anche tu alla festa della famiglia, però se ti chiedono dov’è tuo marito rispondi che è via per lavoro’». Abbastanza da far dire a Ema­nuele: «Per noi non è priorita­rio il discorso della comunione. Semmai è fondamentale che nei nostri confronti ci sia accoglien­za, scritta con lettere maiusco­le ».Ed è questo uno dei punti principali del documento che i separati cattolici hanno scritto su invito della Diocesi di Mila­no, dopo un incontro del marzo scorso con l’arcivescovo Dioni­gi Tettamanzi. Il testo, dal titolo programmatico We have a dre­am, puntualizza qual è il sogno dei separati cristiani.Dieci pagine per chiedere di far sentire la propria voce nella Chiesa, «che non può avere per interlocutori soltanto le fami­glie da Mulino Bianco». E poi «dialogo con i preti, vogliamo che sentano le problematiche della separazione». Ancora, «norme precise. Crea confusio­ne un sacerdote che fa fare a tut­ti la comunione e un altro no». Soprattutto, però, «essere consi­derati, ascoltati e amati. Lo ave­va invocato Giovanni Paolo II: possano le persone che conosco­no la prova trovare lungo la lo­ro strada testimoni della tene­rezza e della misericordia di Dio».La società cambia. E non si può pretendere che la Chiesa si adegui. Ma sono fuori dai sacra­menti pure i conviventi, che in certi casi non trovano neppure un prete disposto a battezzare i loro figli. Come loro, le coppie sposate solo civilmente, che per il Direttorio di pastorale familia­re vivono «una situazione inac­cettabile per la Chiesa».Nell’ultimo sondaggio Euri­spes «Gli italiani e la Chiesa: tra fedeltà e disobbedienza», una domanda riguardava esplicita­mente i divorziati e i risposati ci­vilmente: «Sei d’accordo che non possano essere ammessi al­la comunione?». Il 61,7% ha ri­sposto «per niente», il 17,6% «poco», l’11,1% «abbastanza», il 5,8% «molto» e il 3,8 «non lo so». E il Vaticano, oggi, cosa ri­sponde?