La Cei contro la sentenza di Cagliari che ha detto sì alla diagnosi preimpianto: è contro la legge 40. Radicali e sinistra all’attacco: la normalità di un paese laico è un miraggio.
«I tribunali dovrebbero applicare la legge e giudicare in coerenza con questa… ». Commento secco quello del segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori alla sentenza del tribunale di Cagliari che ha ordinato la diagnosi preimpianto su di un embrione congelato da due anni di una donna portatrice sana di talassemia. Presentando ai giornalisti il documento conclusivo del Consiglio permanente dei vescovi riunitosi a Roma lo scorso 16 e 17 settembre, il numero due della Cei non ha avuto remore a commentare quella sentenza. Il suo è un giudizio durissimo. «E in netto contrasto con la legge 40 sulla fecondazione assistita che proibisce tale forme di controllo» ha scandito. Non solo, sarebbe anche contro una sentenza della Corte Costituzionale «sul medesimo argomento», che stabiliva l’esatto contrario. Quindi monsignor Betori lancia il suo affondo: «Mi sembra molto strano che un giudice possa giudicare a prescindere da una legge e da una sentenza della Corte Costituzionale, ed emettere poi un giudizio che sconfessa sia la legge, sia la sentenza». Si domanda «quale logica ci sia dietro» e pare sottintendere l’azione di lobby e potentati che punterebbero a mettere in discussione la legge sulla fecondazione assistita. E una legge sulla quale la Chiesa fa quadrato. Non deve essere toccata.
Così, nel momento in cui il ministro della Sanità deve presentare una relazione sulla sua applicazione, puntualizza: «L’abbiamo sempre difesa, sia pure con le sue imperfezioni. Non abbiamo nessuna intenzione di ritornarci sopra». Una presa di posizione che suscita reazioni polemiche. La definiscono «un’istigazione all’aborto» i radicali Marco Cappato e Rocco Berardo, dell’associazione Luca Coscioni. «Se il Vaticano pretende di impedire una diagnosi preimpianto dell’embrione – sostengono – va da se che costringe la donna ad una diagnosi prenatale sul feto e di conseguenza l’ultima scelta possibile, l’aborto terapeutico». «La normalità di un paese laico in Italia è un miraggio» commenta Gloria Buffo (SD). «Per fortuna – aggiunge – in Italia i giudici non rispondono ancora ai vescovi. Solo al diritto». Sul tema dei cosiddetti «valori non negoziabili» la Chiesa tiene duro. Sarà sui comportamenti concreti, sulle scelte legislative e sugli orientamenti culturali delle forze politiche piuttosto che sulle «appartenenze» che giudicherà i partiti. E sarà così, assicura Betori, anche per il nascente Partito democratico. Non che se ne sia discusso al Consiglio permanente. «Credo non stia nelle competenze dei vescovi stabilire la natura del partito e chi può starci» spiega. «Su questo – ha osservato – penso che il Pd sarà giudicato come tutti gli altri partiti».
Resta il giudizio preoccupato sulla situazione dell’Italia, paese «disorientato», e sulla credibilità in crisi della politica denunciata nella sua prolusione il presidente della Cei, arcivescovo Bagnasco. Si lamenta la perdita dell’ethos condiviso, ma i vescovi «non sentono di dover cavalcare l’ondata di antipolitica». E un no secco e preoccupato alla linea Grillo. Ai politici, però, inviano un messaggio preciso. Chiedono «sempre maggiore coerenza, all’interno di una vita politica che va rigenerata». Invitano a valorizzare e a non demonizzare o emarginare «la tradizione cattolica». Sugli scandali sessuali che hanno coinvolto ecclesiastici la Chiesa «non ha paura di dimostrare la verità» e soprattutto «non resta inerte». Lo assicura Betori. «Si agisce sia sul versante preventivo, sia su eventuali comportamenti che riguardano i suoi membri». Detto questo la Cei fa muro a difesa di monsignor Claudio Maniago, il vescovo ausiliare di Firenze. E mette in guardia dal «trarre sentenze» all’apertura delle indagini: sarebbe «incauto». «A meno che – sottolinea Betori – non si voglia far passare nell’opinione pubblica una condanna preventiva senza fondamento». «A chi giova non ricercare la verità? – si domanda – Non certo alla Chiesa, visto che l’unica sentenza su don Cantini l’ha emessa la Chiesa fiorentina».