Francesco Ognibene scrive su Avvenire (10 novembre): “Va peraltro ricordato agli smemorati che il Codice penale sanziona con chiarezza l’omicidio del consenziente, la fattispecie sotto la quale ricadono eutanasia e suicidio assistito”. Vi sono azioni che violano la legge morale ma non la legge civile, e azioni che violano la legge civile ma non la legge morale. Tra queste ultime a mio parere è da annoverare l’eutanasia, qualora ovviamente risponda solo e unicamente al desiderio disinteressato di fare del bene a colui che invoca disperatamente la morte non riuscendo a sopportare una malattia dolorosissima e inguaribile. In questo caso l’eutanasia, per quanto possa sembrare strano alle persone religiose, risponde al comandamento dell’amore per il prossimo. Si potrebbe obiettare che va contro il principio dell’inviolabilità della vita, op pure, secondo un cristiano, contro il quinto comandamento. Ma il principio dell’inviolabilità della vita non ha valore assoluto. Viene meno, a esempio, nel caso della legittima difesa. E non si vede perché non possa venir meno nel caso dell’eutanasia, giacché questa non solo è la scelta necessaria del male minore (per il malato), ma anche, a differenza della legittima difesa, non va contro la volontà della persona cui viene procuratala morte. E bene tener presente che un’azione è buona qualora buono sia il fine e buono il mezzo per raggiungere il fine stesso. Accade però a volte che per raggiungere un fine buono sia necessario ricorrere a un mezzo oggettivamente cattivo. Ovviamente non deve esistere altra via percorribile. Il fine nel caso della legittima difesa è buono (salvare la persona aggredita) e il mezzo è cattivo (uccisione dell’aggressore). Nel caso dell’eutanasia, il fine è buono (liberare il malato da una vita insopportabile) e il mezzo (mezzo, non fine) è porre termine alla vita. Le persone religiose devono anche considerare che è contraddittorio concepire un Dio che amale sue creature e allo stesso tempo non voglia che una sua creatura soffra qualche giorno, qualche settimana o qualche mese di meno…
Renato Pierri (e-mail)
Caro Pierri, pur consapevole del fatto che con ogni probabilità i lettori del Giornale sono in maggioranza contro l’eutanasia -il che potrebbe valere anche per gli italiani in generale – io mi pronuncio a favore. Il tema è di quelli che suscitano polemiche intense per l’intrecciarsi di problemi medici, legali, etici, religiosi. Il caso di Englaro ci ha fatto capire la complessità del dibattito che dall’eutanasia deriva (a essa può essere associato, come lei accenna, il suicidio assistito). Io mi schierai allora dalla parte del padre di Eluana, anche se non approvavo la sua eccessiva esposizione mediatica e certe strumentalizzazioni dei suoi tifosi. L’eutanasia nasconde molte insidie. Non l’insidia – per restare a situazioni come quella di Eluana – di aver reso impossibile un miracoloso ritorno dal coma dopo anni di vita vegetativa. I provvedimenti e le iniziative assistenziali e ospedaliere non possono a mio avviso essere rapportati a eventi rarissimi e quasi miracolosi. Ma l’insidia di abusi di familiari o altri, magari dettati da convenienza economica e da avidità successoria, va tenuta ben presente. La prudenza, che deve essere grandissima, è cosa diversa dal divieto.
Non voglio seguirla, caro Pierri, nei suoi ragionamenti su fini e mezzi perché rischiano di portarci troppo lontano. Mi limito a dire, attenendomi alla sensatezza, che non mi sembra sia un gran male se un figlio o genitore o amico, di fronte alla tragedia di un corpo inerte affidato alle macchine, o implorato d’intervenire da chi vicino alla fine, soffre terribilmente, si presta a staccare la spina.
Tutt’altro discorso è quello religioso. L’eutanasia è contraria agli insegnamenti della Chiesa. Mi pare logico, e onesto, che medici credenti e familiari credenti rifiutino di prestarsi all’eutanasia per non violare i principi della fede. L’eutanasia, è bene ripeterlo anche se non dovrebbe essere necessario, rappresenta una scelta drammatica, dolorosa, personale, privatissima, non un obbligo. Mi piacciono poco le sortite con cui personaggi noti – prevalentemente dello spettacolo – rivelano ciò che mai dovrebbe essere rivelato, ossia d’avere aiutato a morire un congiunto. Il sospetto che quando così agiscono non vogliano liberarsi la coscienza ma apparire sui quotidiani o in televisione è fondato. La morte va rispettata. Credo che in forma nascosta l’eutanasia sia praticata anche in Italia, a dispetto dei codici e degli anatemi, piùdi quanto lascerebbero supporre le cifre ufficiali…Eutanasia significa letteralmente buona morte, e buona la morte non lo è mai. Ma può essere molto cattiva.
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