Sulla crisi delle derrate alimentari che ha innescato una vertiginosa impennata dei prezzi dei prodotti agricoli sui mercati mondiali, causa a sua volta, insieme al caro-petrolio, di una pericolosa spirale inflazionistica, l’Europa sta ripetendo lo stesso errore già compiuto in occasione della mancata utilizzazione dell`energia nucleare per produrre elettricità. L` errore consiste nel rifiuto della modernità per paure già poco giustificate nel caso dell`atomo e del tutto ingiustificate nel caso degli ogm. Questi pro- dotti sono stati demonizzati, in Occidente, da persone del tutto sprovvedute di conoscenze scientifiche nel campo della genetica ma, in compenso, specializzate nell`agitazione popolare come, per esempio, l’ex leader sessantottino Mario Capanna.
Questi personaggi pongono all’ opinione pubblica (comprensibilmente, altrettanto sprovveduta in campo scientifico) quesiti come: volete consumare i cibi Frankenstein? Con domande del genere la risposta è scontata. La tensione nei prezzi internazionali dei prodotti agricoli è determinata da una carenza di offerta che, a sua volta, deriva soprattutto da due circostanze. La prima è l`improvviso affacciarsi sul mercato internazionale, come consumatori, di centinaia di milioni di persone che vivono in paesi come la Cina, l`India, le Filippine, il Vietnam e anche in molti paesi africani che, fino a poco tempo fa, non mangiavano a sufficienza e che ora, grazie allo sviluppo economico, possono permetterselo. La seconda è la deviazione dell`utilizzo di alcune derrate (come la soia e il mais) verso la produzione di energia, resa conveniente dal livello iperbolico del prezzo del greggio.
Di fronte a questa esplosione della domanda, l’unica reazione possibile è quella dell`aumento dell`offerta. Questa fortunatamente è a portata di mano, sia pure con alcuni profondi riorientamenti, purtroppo tutt`altro che facili da realizzare. Basta però volerlo. La politica agricola europea, per esempio, è stata presa in pieno contropiede dall`improvvisa impennata dei consumi mondiali. Fino a poco tempo fa infatti l`Europa era terrorizzata dalle eccedenze agricole. Per evitare di essere sommersa dai surplus di latte e di burro, era ricorsa alle cosiddette quote-latte. Aveva cioè fissato, per ogni azienda zootecnica, un livello massimo di produzione, provocando, come si ricorderà, la rivolta degli allevatori italiani che, non volendo subire le multe derivanti dalla loro inosservanza del diktat di Bruxelles, avevano bloccato le principali arterie stradali con migliaia di trattori che rimasero di picchetto per settimane.
Era Bruxelles che aveva provocato le eccedenze tenendo artificialmente alti i prezzi dei prodotti agricoli al fine di sostenere i redditi delle aziende agricole mai inali. In un primo tempo, di fronte all` alluvione di latte che non si sapeva come utilizzare, la Ue aveva deciso di polverizzarlo (solo così era possibile conservare a lungo grandi quantità di prodotto senza farlo irrancidire). Ma, visto che le quantità di latte in polvere non diminuivano, la stessa Ue decise di destinarlo all`alimentazione dei vitelli. Insomma, anziché far bere subìto il latte ai vitelli, questo era inviato in uno stabilimento dove veniva polverizzato e successivamente restituito alle aziende che, aggiungendogli l`acqua, lo davano ai vitelli. Insomma, un circolo kafkiano.
Non potendo proseguire in questa costosissima e delirante pagliacciata, la Ue ripiegò, dopo anni, sulle quote-latte. In pratica, diceva agli allevatori: io posso garantirvi un prezzo (relativamente) alto del latte ma voi non potete approfittare di questi margini di convenienza artificiali (rispetto al mercato internazionale) per produrre più latte di quanto possa assorbirne il mercato europeo. Da qui le quote-latte, le quali però oggi dimostrano che l`agricoltura europea è in grado di dare, se opportunamente stimolata, una vigorosa spinta alla produzione di prodotti agricoli proprio perché è la più avanzata agricoltura del mondo; e quella della pianura padana e la più avanzata d`Europa.
L`altra sferzata viene dalla ricerca genetica, che può costruire delle varietà (vegetali o animali) più resistenti agli attacchi parassitari o alle malattie, meno sensibili alla siccità e più produttive anche in ambienti non favorevoli o addirittura ostili. L`applicazione della ricerca genetica al miglioramento dei raccolti non è una tecnica di oggi ma risale ai primordi dell`agricoltura, quando gli agricoltori semi-nomadi destinavano ai raccolti successivi i semi prelevati dalle piante più produttive o utilizzavano come riproduttori gli animali più robusti. Era una selezione genetica scientifica anche quella, ma su basi intuitive. In Italia, tra le due ultime guerre, ci fu una straordinaria scuola di genetica vegetale che produsse alcune varietà di frumento di bassa taglia (che, non piegandosi, non marcivano più a terra) e nelle quali l`energia vitale, anziché disperdersi nello stelo inutile, perché si trasforma poi in paglia, veniva concentrata nel- la spiga, quindi nel numero di grani di frumento prodotti. Il genetista che produsse queste nuove varietà poi utilizzate in tutto il mondo era Nicola Strambelli (uno che, se non avesse operato durante il fascismo, avrebbe sicuramente meritato il Nobel).
Questo agronomo incrociò delle varietà giapponesi nane dì frumento (tipo Akagomuki e Mikado) con le spilungone varietà italiane, dando luogo a delle nuove varietà (come il San Pastore) che triplicarono i rendimenti.
Oggi, con il livello di conoscenze genetiche acquisite e potendo intervenire sui singoli geni, i possibili incrementi produttivi sono enormi. Senonché l’esito di queste ricerche dà luogo ai cosiddetti ogm che, grazie a una campagna di demonizzazione, sono rifiutati da molti consumatori e, di fatto, impediti agli agricoltori. Si arriva al paradosso che gli statunitensi, all`avanguardia anche in questo settore, e che credono ai loro istituti di garanzia scientifica (come la Food and Drug Administration) consumano in abbondanza gli ogm da loro prodotti ma quando mandano gli aiuti alimentari ai paesi che muoiono di fame, questi ultimi li rifiutano sdegnosamente perché, essendo ogm, sono ritenuti dannosi per la salute, cosa, questa, esclusa scientificamente.
Non a caso, tutti i prodotti agricoli che arrivano sulle nostre tavole sono geneticamente modificati, nel senso che tutti sono frutto di una lunga selezione genetica che era intuitiva anziché scientifica. L`unico danno prodotto dagli ogm è la semplificazione delle specie vegetali e animali allevate. Ma questo inconveniente si verificava anche con la selezione genetica intuitiva. Non a caso, in Italia, invece di un centinaio di varietà bovine adesso nelle stalle ce n`è in pratica una sola, la frisona (le vacche a grandi macchie bianco-nere). Questo perché la produttività di questa razza è molto superiore a quella delle razze autoctone.
Così come i cavalli da corsa che vediamo, gareggiare negli ippodromi di tutto il mondo sono tutti derivati dalla razza inglese. La conclusione è che la tensione in atto sui prezzi dei prodotti agricoli può essere contrastata ridando fiato alla produttività degli agricoltori delle nazioni più sviluppate, rivedendo alcune convinzioni economiche e antropologiche ormai arrugginite. Le opinioni pubbliche di questi paesi infatti erano state sinora indotte a considerare l`agricoltura come un settore marginale, destinato a ridursi progressivamente fino a sparire del tutto (in Italia, negli ultimi 40 anni, la percentuale degli addetti all`agricoltura sul totale della popolazione attiva è passata dal 30 al 4%).
La seconda leva è la ricerca genetica. Non dimentichiamo che la cosiddetta «rivoluzione verde» che ai tempi di John Kennedy gli Stati Uniti esportarono in India (dove, allora, era ambasciatore Usa un illustre economista: John Kenneth Galbraith) e che portò il sub-continente, per la prima volta nella sua storia, all`autosufficienza alimentare nel giro di pochi anni, si basava su varietà di riso e di mais appositamente selezionate. Erano degli ogm, ma allora non si chiamavano ancora così.
La terza leva è un grande forzo di diffusione, fra i paesi in via di sviluppo, delle conoscenze relative alle più moderne tecniche di coltivazione, allevamento e stoccaggio dei prodotti, che implica il coinvolgimento diretto dei grandi paesi e, in primo luogo, degli Usa e della Ue, entrambi in anticipo di due generazioni sul resto del mondo. Non si può invece far conto sulla Fao, l`agenzia dell` Onu distaccata a Roma che, nei suoi propositi istituzionali, dovrebbe contribuire ad alleviare la fame nel mondo e che invece è diventata una fabbrica di parole e di soggiorni in hotel a cinque stelle per una nomenclatura politico-amministrativa che spende il grosso del suo bilancio solo a beneficio di se stessa. (riproduzione riservata)