Giuliano Amato ha davanti a sé, denso di annotazioni, il documento di monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, pubblicato martedì scorso sul Corriere.
Che cosa la colpisce?
«Monsignor Sgreccia fornisce tutti gli argomenti che valgono non a difesa della legge 40, ma contro la fecondazione artificiale in assoluto. Ma se si parte dai suoi principi, la legge 40 è il peggiore dei compromessi possibili tra quegli argomenti e la realtà che essa vuole regolare».
Perché?
«Nel documento è scritto che la fecondazione assistita disumanizza il generare. Fa del figlio un mezzo, per soddisfare il desiderio di maternità e paternità, anziché uno scopo. Porta a creare embrioni che si disperdono, e apre spazi a fenomeni degenerativi: l’eugenetica e il mercato degli embrioni».
Una preoccupazione condivisa da molti.
«Ma l’idea per cui la fecondazione naturale darebbe alla nascita di un figlio una nobiltà che la fecondazione artificiale non ha è vera fino a un certo punto. Quanti figli nella storia sono nati al solo scopo di garantire ai genitori da vecchi una fonte di sostentamento, prima che fossero inventate le pensioni? Quanti figli nei paesi poveri vengono messi al mondo con la premessa che molti moriranno facendo mancare le braccia per coltivare la terra? Quanti figli vengono concepiti per caso con l’atto sessuale, e la prima decisione dei genitori è distruggerli? Credo che un figlio voluto, nato con la fecondazione artificiale, sia più amato di tanti figli nati per caso e per ragioni strumentali dalla fecondazione naturale. E poi negare a una coppia l’affetto di figli propri, cioè negarle di diventare famiglia, pone le premesse per l’inaridimento del rapporto; e nega il valore, cui la chiesa dice di ispirarsi, della famiglia come comunità naturale».
Proprio lei, il più aperto tra i laici del centrosinistra alle posizioni della Chiesa, ora le sta confutando.
«Proprio perché sono tra coloro che condividono i timori della Chiesa, preoccupata che nella diga si aprano varchi che portino a degenerazioni, non vedo nei divieti assoluti il modo migliore per chiudere questi varchi. Posso fare un esempio paradossale? La circolazione provoca morti, ma non si impedisce la circolazione per evitarli. Proprio perché mi pongo da un punto di vista per tanti versi simile a quello della Chiesa, dico che la legge 40 mette a repentaglio quell’embrione di cui vorrebbe rappresentare lo scudo morale».
Per quale motivo?
«La legge prevede che per limitare il numero degli embrioni si possano espiantare non più di tre ovociti dalla donna, per produrre non più di tre embrioni, tutti impiantati. Le conseguenze sono quelle che abbiamo letto sul Corriere : una diminuzione dei concepimenti. Se la donna ha meno di trent’anni, andrebbe incontro a un parto trigemino, per cui nessuno le impianta tre embrioni, e due finiscono nel lavandino; oppure vengono siringati con la stessa siringa che in alcuni Stati americani si usa per la pena di morte. Se la donna ha più di trent’anni, può capitare che tre embrioni non bastino. Per cui si deve fare una nuova stimolazione ovarica, un trauma spaventosamente ingiusto cui nessuna donna dev’essere esposta per più di una volta; e vengono creati e distrutti inutilmente tre embrioni. E’ nota poi l’ipocrisia della legge, che impone l’impianto anche in caso di malattie genetiche: se poi le cose non vanno, la madre può sempre usare la legge sull’aborto…».
Una legge da cambiare quindi?
«Una legge destinata a non reggere. Che include anche il capitolo degli embrioni destinati a non nascere in frigorifero, dove muoiono uno a uno negli anni, mentre noi giriamo la testa da un’altra parte».
C’è una via di uscita?
«Monsignor Sgreccia dice che l’embrione c’è già quando l’ovocita viene fecondato, perché è comunque iniziata in quel momento la sua programmazione. Non è così. La fecondazione dell’ovocita non dà ancora luogo all’embrione. Prima i cosiddetti pronuclei maschile e femminile si accostano nell’ovocita fecondato, ma ciascuno conserva il proprio patrimonio genetico. Solo dopo si ha la comparsa di un’entità bicellulare, che è l’embrione. La mia proposta è di estrarre in un’unica volta quanti ovociti potranno servire, facendo sviluppare allo stadio di embrione solo quelli da impiantare subito, e crioconservando gli ovociti fecondati a uno stadio anteriore alla formazione dell’embrione».
Non teme che possa apparire un espediente?
« Davanti alla grandezza della divinità e dell’universo, un milione di anni e tre ore possono rappresentare tempi tra loro assimilabili. Forse, quando quattro miliardi di anni fa le prime cellule eterotrofe cominciarono a generare organi viventi, ciò era il primo stadio della programmazione della vita da parte del creatore. Forse in quelle cellule c’erano già in nuce le specie e gli individui arrivati dopo? E’ una domanda non stravagante per chi parte da premesse religiose. Mi rendo conto che interrompere un processo di formazione di vita è un problema. Ma non è lo stesso che uccidere un individuo già venuto all’esistenza. La chiesa consente l’espianto di organi ancora pulsanti da una persona la cui funzione cerebrale è venuta meno. Il discrimine tra la vita e la morte è questione di minuti. Mi chiedo perché non si leggano allo stesso modo i minuti che separano l’avvio del processo di vita dalla formazione dell’individuo».
E in questa fase si apre uno spazio per la ricerca?
«Questo è l’altro capitolo. Io non considero gli embrioni muffa, né mucchietti di cellule. Li considero i figli di coloro che li hanno prodotti. E come si chiede ai genitori di figli premorti il consenso per l’espianto degli organi, così ai genitori va chiesto il consenso per l’espianto delle cellule staminali dei loro embrioni, prima che questi periscano. Perché farli morire inutilmente?».
Lei è primo firmatario di una proposta di legge che avrebbe consentito di evitare il referendum. Ma ormai è tardi.
«E’ vero, è tardi».
Come voterà allora al referendum?
«Questa è la cosa che conta di meno. Quello che per me conta è che sia possibile cambiare la legge 40 su un terreno che soddisfi meglio – il che paradossalmente è possibile – i principi di chi l’ha voluta e le ragioni di chi l’ha contrastata. Il referendum, per quanto inevitabile, finisce per generare due rischi. Il primo, se non si raggiunge il quorum o vincono i no, è che la legge rimanga immutata e la realtà vada per conto suo, in una direzione non regolata; perché la legge così com’è non funzionerà. Il secondo rischio, se prevarranno i sì, è che i vincitori si attestino su una lettura rigida del responso referendario; per cui si cancelleranno norme senza creare le premesse per norme migliori, e cadremo in una situazione di pericolosa non regolazione».
Come valuta l’invito di Ruini all’astensione?
«Profondamente sbagliato. Non si difendono principi sacri con espedienti di tatticismo legalistico. Ho apprezzato monsignor Sgreccia proprio perché ha esposto i suoi principi dalla a alla zeta».
Ma alla fine il quorum ci sarà?
«E’ una questione in cui molti si sentono coinvolti, quindi lo ritengo possibile».
Lei è stato il primo a sinistra a riaprire la riflessione sull’aborto. Che effetto le fanno ora gli echi del suo grido di anni fa?
«La rivisitazione in corso di quella stagione mi conforta nelle posizioni che ho preso. Fa capire che quel bilanciamento che chiedevo, per cui al fianco del diritto della donna si colloca la vita della creatura che c’è già, è un’esigenza oggi più sentita, che la necessità di questa composizione è adesso nelle coscienze molto più di allora».
Ma non è nell’agenda politica.
«Non ha importanza. Che ci possano essere modifiche legislative non lo pensavo allora e non lo penso adesso. L’importante è che abiti le coscienze».
Che cosa la colpisce?
«Monsignor Sgreccia fornisce tutti gli argomenti che valgono non a difesa della legge 40, ma contro la fecondazione artificiale in assoluto. Ma se si parte dai suoi principi, la legge 40 è il peggiore dei compromessi possibili tra quegli argomenti e la realtà che essa vuole regolare».
Perché?
«Nel documento è scritto che la fecondazione assistita disumanizza il generare. Fa del figlio un mezzo, per soddisfare il desiderio di maternità e paternità, anziché uno scopo. Porta a creare embrioni che si disperdono, e apre spazi a fenomeni degenerativi: l’eugenetica e il mercato degli embrioni».
Una preoccupazione condivisa da molti.
«Ma l’idea per cui la fecondazione naturale darebbe alla nascita di un figlio una nobiltà che la fecondazione artificiale non ha è vera fino a un certo punto. Quanti figli nella storia sono nati al solo scopo di garantire ai genitori da vecchi una fonte di sostentamento, prima che fossero inventate le pensioni? Quanti figli nei paesi poveri vengono messi al mondo con la premessa che molti moriranno facendo mancare le braccia per coltivare la terra? Quanti figli vengono concepiti per caso con l’atto sessuale, e la prima decisione dei genitori è distruggerli? Credo che un figlio voluto, nato con la fecondazione artificiale, sia più amato di tanti figli nati per caso e per ragioni strumentali dalla fecondazione naturale. E poi negare a una coppia l’affetto di figli propri, cioè negarle di diventare famiglia, pone le premesse per l’inaridimento del rapporto; e nega il valore, cui la chiesa dice di ispirarsi, della famiglia come comunità naturale».
Proprio lei, il più aperto tra i laici del centrosinistra alle posizioni della Chiesa, ora le sta confutando.
«Proprio perché sono tra coloro che condividono i timori della Chiesa, preoccupata che nella diga si aprano varchi che portino a degenerazioni, non vedo nei divieti assoluti il modo migliore per chiudere questi varchi. Posso fare un esempio paradossale? La circolazione provoca morti, ma non si impedisce la circolazione per evitarli. Proprio perché mi pongo da un punto di vista per tanti versi simile a quello della Chiesa, dico che la legge 40 mette a repentaglio quell’embrione di cui vorrebbe rappresentare lo scudo morale».
Per quale motivo?
«La legge prevede che per limitare il numero degli embrioni si possano espiantare non più di tre ovociti dalla donna, per produrre non più di tre embrioni, tutti impiantati. Le conseguenze sono quelle che abbiamo letto sul Corriere : una diminuzione dei concepimenti. Se la donna ha meno di trent’anni, andrebbe incontro a un parto trigemino, per cui nessuno le impianta tre embrioni, e due finiscono nel lavandino; oppure vengono siringati con la stessa siringa che in alcuni Stati americani si usa per la pena di morte. Se la donna ha più di trent’anni, può capitare che tre embrioni non bastino. Per cui si deve fare una nuova stimolazione ovarica, un trauma spaventosamente ingiusto cui nessuna donna dev’essere esposta per più di una volta; e vengono creati e distrutti inutilmente tre embrioni. E’ nota poi l’ipocrisia della legge, che impone l’impianto anche in caso di malattie genetiche: se poi le cose non vanno, la madre può sempre usare la legge sull’aborto…».
Una legge da cambiare quindi?
«Una legge destinata a non reggere. Che include anche il capitolo degli embrioni destinati a non nascere in frigorifero, dove muoiono uno a uno negli anni, mentre noi giriamo la testa da un’altra parte».
C’è una via di uscita?
«Monsignor Sgreccia dice che l’embrione c’è già quando l’ovocita viene fecondato, perché è comunque iniziata in quel momento la sua programmazione. Non è così. La fecondazione dell’ovocita non dà ancora luogo all’embrione. Prima i cosiddetti pronuclei maschile e femminile si accostano nell’ovocita fecondato, ma ciascuno conserva il proprio patrimonio genetico. Solo dopo si ha la comparsa di un’entità bicellulare, che è l’embrione. La mia proposta è di estrarre in un’unica volta quanti ovociti potranno servire, facendo sviluppare allo stadio di embrione solo quelli da impiantare subito, e crioconservando gli ovociti fecondati a uno stadio anteriore alla formazione dell’embrione».
Non teme che possa apparire un espediente?
« Davanti alla grandezza della divinità e dell’universo, un milione di anni e tre ore possono rappresentare tempi tra loro assimilabili. Forse, quando quattro miliardi di anni fa le prime cellule eterotrofe cominciarono a generare organi viventi, ciò era il primo stadio della programmazione della vita da parte del creatore. Forse in quelle cellule c’erano già in nuce le specie e gli individui arrivati dopo? E’ una domanda non stravagante per chi parte da premesse religiose. Mi rendo conto che interrompere un processo di formazione di vita è un problema. Ma non è lo stesso che uccidere un individuo già venuto all’esistenza. La chiesa consente l’espianto di organi ancora pulsanti da una persona la cui funzione cerebrale è venuta meno. Il discrimine tra la vita e la morte è questione di minuti. Mi chiedo perché non si leggano allo stesso modo i minuti che separano l’avvio del processo di vita dalla formazione dell’individuo».
E in questa fase si apre uno spazio per la ricerca?
«Questo è l’altro capitolo. Io non considero gli embrioni muffa, né mucchietti di cellule. Li considero i figli di coloro che li hanno prodotti. E come si chiede ai genitori di figli premorti il consenso per l’espianto degli organi, così ai genitori va chiesto il consenso per l’espianto delle cellule staminali dei loro embrioni, prima che questi periscano. Perché farli morire inutilmente?».
Lei è primo firmatario di una proposta di legge che avrebbe consentito di evitare il referendum. Ma ormai è tardi.
«E’ vero, è tardi».
Come voterà allora al referendum?
«Questa è la cosa che conta di meno. Quello che per me conta è che sia possibile cambiare la legge 40 su un terreno che soddisfi meglio – il che paradossalmente è possibile – i principi di chi l’ha voluta e le ragioni di chi l’ha contrastata. Il referendum, per quanto inevitabile, finisce per generare due rischi. Il primo, se non si raggiunge il quorum o vincono i no, è che la legge rimanga immutata e la realtà vada per conto suo, in una direzione non regolata; perché la legge così com’è non funzionerà. Il secondo rischio, se prevarranno i sì, è che i vincitori si attestino su una lettura rigida del responso referendario; per cui si cancelleranno norme senza creare le premesse per norme migliori, e cadremo in una situazione di pericolosa non regolazione».
Come valuta l’invito di Ruini all’astensione?
«Profondamente sbagliato. Non si difendono principi sacri con espedienti di tatticismo legalistico. Ho apprezzato monsignor Sgreccia proprio perché ha esposto i suoi principi dalla a alla zeta».
Ma alla fine il quorum ci sarà?
«E’ una questione in cui molti si sentono coinvolti, quindi lo ritengo possibile».
Lei è stato il primo a sinistra a riaprire la riflessione sull’aborto. Che effetto le fanno ora gli echi del suo grido di anni fa?
«La rivisitazione in corso di quella stagione mi conforta nelle posizioni che ho preso. Fa capire che quel bilanciamento che chiedevo, per cui al fianco del diritto della donna si colloca la vita della creatura che c’è già, è un’esigenza oggi più sentita, che la necessità di questa composizione è adesso nelle coscienze molto più di allora».
Ma non è nell’agenda politica.
«Non ha importanza. Che ci possano essere modifiche legislative non lo pensavo allora e non lo penso adesso. L’importante è che abiti le coscienze».