Stefano Rodotà. Il ricordo di Gianfranco Spadaccia

Pubblichiamo il ricordo che Gianfranco Spadaccia, già segretario e parlamentare radicale, ha fatto sul suo profilo Facebook del professore Stefano Rodotà, ripercorrendo la storia che più volte si è incrociata fra il professore e i radicali.

La morte di Stefano Rodotà

di Gianfranco Spadaccia

E’ stato mio compagno alla facoltà di giurisprudenza nel 1954 e nel 1955, quando io ero poco più che matricola e lui invece stava compiendo il terzo anno e si avviava alla laurea per divenire subito assistente di Rosario Niccolò. Insieme a lui, a Marco Pannella e a Tullio De Mauro costituimmo l’Unione Goliardica Romana. Da allora siamo rimasti amici nonostante le diverse scelte politiche. Oltre all’esperienza altamente formativa e davvero autonoma dai partiti dell’UGI, abbiamo condiviso l’esperienza del primo partito radicale di Pannunzio, Ernesto Rossi, Niccolò Carandini, Leo Valiani. Lui veniva dalla Gioventù liberale come Tullio, Marco, Giuliano Ferrara, Giuliano Rendi e molti altri; io dal partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat.
La prima forte divaricazione politica avvenne quando, con Marco, Franco Roccella, Sergio Stanzani, Massimo Teodori, Mauro Mellini, Angiolo Bandinelli ci costituimmo in “Sinistra Radicale” rifiutando il centro sinistra come unico sbocco della crisi dei governi centristi. Lui scelse insieme ad altri (Ferrara, Jannuzzi, Craveri, lo stesso De Mauro) di stare invece con la maggioranza filolamalfiana del partito.
Molto tempo dopo, nel 1979, gli offrimmo la candidatura e l’elezione nelle “liste aperte” che presentammo in quell’anno dopo due anni di opposizione nel parlamento e nel paese alla politica di unità nazionale DC-PCi come conseguenza della strategia berlingueriana del compromesso storico. Il teorico del diritto, l’accademico, il liberale Rodotà scelse invece di essere eletto come indipendente nelle liste del PCI.
Ne nacque un confronto assai polemico e duro fra Marco, che contrapponeva la sua “saggezza” alla nostra “follia”, e lui che rispose punto per punto.
A differenza di Marco io non mi meravigliai di quella scelta, che trovai coerente con quella compiuta all’interno del partito radicale. Come non aveva rotto con noi da posizioni di destra all’inizio degli anni sessanta, quando era favorevole al centro sinistra, così non rompeva a sinistra nel 1979: si muoveva nella stessa logica realistica di unità con la DC rifiutando di operare per la realizzazione di una democrazia compiuta e di ogni possibilità di alternativa politica. Scelse così di portare le sue posizioni critiche, il suo senso del diritto, il suo garantismo, il suo ambientalismo e la sua scelta antinucleare all’interno del mondo comunista dalle posizioni di una sinistra indipendente di cui noi denunciavamo la profonda dipendenza.
Ebbe torto nel non comprendere, durante gli anni di piombo, l’importanza di quanto Marco disse a proposito di Via Rasella o della nostra difesa dei diritti dei fascisti come delle nostre denunce del fascismo che era tuttora presente nelle leggi e nelle istituzioni. Ebbe qualche ragione invece a proposito degli arresti di Baffi e Sarcinelli (decisi da un magistrato di destra, padre di un terrorista di estrema destra), nella mostra polmica contro il compromesso storico di cui, nella Banca d’Italia, vedevamo uno dei contrafforti. Come Marco, correggendo le posizioni di Franco De Cataldo, riconobbe, corremmo invece il rischio di ritrovarci accanto i difensori di Sindona, il cui scandalo fu il primo anello che, attraverso Calvi, il Banco Ambrosiano, ci avrebbe portato allo scandalo dello IOR: tutte materie che affrontammo nelle relazioni di minoranza delle commissioni di inchiesta di cui facemmo parte.
Pannella non fu mai tenero con Stefano Rodotà, che pure all’interno del mondo comunista, rimase un nostro interlocutore, un elemento di contraddizione a cui fare riferimento anche nell’azione parlamentare perché su molti dei contenuti e degli obiettivi di riforma legislativa (diritti civili, garantismo, laicità dello stato, ambientalismo) e anche referendaria le posizioni rimanevano comuni.
E fu proprio Marco, nel 1992, in uno dei momenti più critici della nostra Repubblica a proporne la candidatura come presidente della Camera in alternativa a Giorgio Napolitano. Non era una scelta solo tattica, nasceva dalla consapevolezza anche in Marco di questa contraddizione. Ed era una iniziativa importante quella di Marco dal momento che proprio lui in quei giorni aveva facilitato se non pilotato l’elezione di Scalfaro. Magari avesse avuto successo sulla candidatura di Stefano invece che su quella di Scalfaro.
In quella circostanza Stefano si ritrovò appoggiato dagli amici e compagni di un tempo e rifiutato invece dai suoi compagni comunisti.
Pur non frequentandoci molto, siamo sempre rimasti legati da una amicizia e stima, che ho ragione di ritenere reciproche. Un abbraccio a Carla, compagna di una vita.
Che la terra ti sia lieve, Stefano.