A tre anni dall’approvazione della legge, ad un anno dal cambio di guardia a Palazzo Chigi, rimane intatta una legge che ferisce il corpo delle donne. Intanto si ricerca l’araba fenice dell’etica condivisa
di Filomena Gallo (membro di giunta Associazione Coscioni e Presidente dell’Associazione Amica Cicogna)
Se c’è qualcosa che disorienta oggi chi ai tempi del referendum ha lottato perché questa Legge non ci fosse o perché fosse una Legge diversa è che tutto è cambiato senza che nulla sia veramente cambiato, per parafrasare la celebre frase di Tomasi di Lampedusa.
Se il precedente Governo aveva approvato questa Legge che limita le nascite e ferisce le donne, nella loro dignità e nel loro corpo, il nuovo Governo la mantiene radicata nei suoi punti più paradossali e dannosi senza neanche metterli in discussione.
A nulla valgono i dati del primo monitoraggio sugli esiti delle gravidanze dopo l’applicazione della Legge 40, a nulla vale la possibilità minima d’appello offerta da una revisione delle Linee Guida che pare si vogliano riformare senza toccare il cuore della ferita e cioè il congelamento degli embrioni, la diagnosi preimpianto e il limite di fecondazione dei tre ovociti. Per non parlare, a questo punto, del divieto di fecondazione eterologa connesso a un turismo procreativo di cui nessuno si vuole occupare e che per il momento pesa solo sulle tasche di chi non ha altra chance che approdare all’estero, una soluzione scelta comunque anche da chi, pur non avendo bisogno di gameti esterni, la preferisce per avere terapie migliori e meno aggressive.
Ma questi non sono problemi di un Governo di sinistra. Non se ne parla in nessun Consiglio. E non se ne parla neanche nella maggioranza di sinistra, tutta tesa a non urtare le suscettibilità di nessuno. D’altra parte, si dice, la modifica della Legge 40 non è nel programma dell’Unione.
Come dire: problemi vostri. Come dire: la libertà riproduttiva, la tutela della salute della donna, i protocolli terapeutici dettati dalla legge, il paradosso tra la libertà di abortire in seguito all’esito di un’amniocentesi e il divieto di effettuare una diagnosi preimpianto per evitare di trasferire embrioni malati, la discriminazione tra coppie sterili e coppie infertili nella libertà riproduttiva, la discriminazione economica tra chi può espatriare per le cure e chi è limitato in patria dalla Legge, non è affare di questo Governo.
Come non è affare di questo Governo neanche la filosofia che la sottende: e cioè la negazione di tutte le battaglie di difesa della libertà dell’autodeterminazione femminile finora, almeno nell’immaginario collettivo, appannaggio e vanto della sinistra intera.
E invece no. La Legge 40 è scomoda da toccare e non vale la pena per questa sinistra alzare adesso il vessillo della difesa delle donne. Poco importa se ogni anno nascono mille bambini in meno e sulle donne si fanno tante stimolazioni in più.
Il Parlamento, dicono, dovrà legiferare dopo un cambiamento culturale determinato dal confronto. Così recitano tutti. Una frase per rimandare, per dire poco, per non prendere posizioni, per non dire niente. Un cambiamento culturale, poi, si sa, è lento da venire. Soprattutto difficile da delimitare nel tempo. E’ un giudizio storico, di solito a decretare che la cultura è cambiata. E quindi sembra che si debba attendere questo giudizio.
Attenderemo il giorno in cui tutti saranno d’accordo a lasciare le persone libere di decidere il destino dei propri gameti. Liberi i medici di decidere quanti ovociti fecondare e quanti embrioni impiantare.
Tra questo giorno e oggi ci sta di mezzo il mare. Ci sta un’etica condivisa che condivisa non sarà mai. Perché mai ci sarà accordo su dove comincia e finisce la vita. Nell’attesa ci si può mettere d’accordo su altro, ci si possono scambiare le poltrone, fare altre battaglie più comode, discutere, magari, di sterilità di come elaborarla, magari sul lettino dello psicoanalista, magari nei salotti della sinistra radical chic, dove, magari, chi ha un problema reale, può curarsi meglio altrove in attesa di tornare in Italia a ridiscutere del lutto della sterilità.
Intanto fuori dal Parlamento ci si dovrà rassegnare ad aspettare che la cultura cambi, che i tempi evolvano che ci si metta d’accordo tutti sul fatto che chi ha pochi spermatozoi, oppure chi ha le tube chiuse, sia legittimato a scegliere la cura migliore e meno aggressiva per la propria salute per cercare di superare o di combattere la patologia che rende sterili.