La COP24 che si è da poco conclusa a Katowice, in Polonia è stata la seconda conferenza sul clima per partecipazioni dopo gli accordi di Parigi nel 2015. Il recente rapporto speciale del panel internazionale sul clima IPCC SR15 sul riscaldamento globale di 1,5 ° C ha chiarito, se mai ce ne fosse stato bisogno, che sono necessarie misure urgenti e “aggressive” per evitare le conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici. Ma per poterle mettere in atto è necessaria una collaborazione tra tutti gli Stati senza la quale non si può sperare di essere efficaci.
Ecco cosa serve COP24:
1. Carbone vs. Cooperazione
Nonostante la necessità di un’azione decisa, alcuni Stati membri dell’ONU, che sono parte degli accordi di Parigi, hanno manifestato la loro contrarietà a a eliminare progressivamente i combustibili fossili che rappresentano la causa principale dei cambiamenti climatici.
Clamorose le dichiarazioni del governo polacco che, malgrado ospitasse la conferenza, si è detto del tutto contrario ad abbandonare il carbone,il combustibile fossile tra i più inquinanti. Occorre quindi insistere affinché la collaborazione non sia solo una questione terminologica ma una pratica con delle ripercussioni strutturali.
2. Partecipazione civica
Le autorità polacche hanno negato l’ingresso ad alcuni gruppi della società civile che tentavano di partecipare alla conferenza. La partecipazione di attivisti e “normali cittadini” è una parte cruciale dello sforzo per pretendere che i governi siano responsabili circa le loro azioni in merito ai mutamenti climatici.
Molti partecipanti provenienti da paesi in via di sviluppo hanno perfino avuto difficoltà a ottenere visti per partecipare alla COP24; questi problemi burocratici hanno escluso un gruppo significativo di parti interessate che rappresentano le persone maggiormente colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici. I partecipanti alla Marcia per il Clima si sono trovati di fronte a spiegament di poliziotti, a volte con gas lacrimogeni e equipaggiamenti antisommossa e veicoli simili a carri armati dotati di cannoni ad acqua!
3. Continuare con l’inclusività e apertura alla partecipazione
La condotta, a di poco, contraddittoria del paese ospitante della COP24 è stata radicalmente diversa da quella della COP23, dove lo spirito di solidarietà e del cosiddetto dialogo talanoico, cioè condivisione e partecipazione promossa dal paese ospite dell’incontro del 2017 le isole Fiji, era ancora presente.
Lo sforzo collettivo del dialogo offre agli Stati membri delle Nazioni Unite l’opportunità di riunirsi per valutare e discutere misure specifiche per limitare l’aumento della temperatura globale. Si tratta di un dialogo che vuole incoraggiare le persone a rivedere le proprie posizioni e a esplorare nuove idee all’interno di una cornice di obiettivi comuni, un’esperienza umana condivisa.
Pare puro “trainig autogeno” ma, l’esperienza diplomatica insegna che, là dove le conversazioni coinvolgono realmente più parti su questioni specifiche, come fa il dialogo talanoico, si riesce a focalizzare l’attenzione sui punti in comune nella ricerca di soluzioni. Certo poi i governi cambiano, ma almeno l’approcci laico può preparare il terreno per decisioni di buon senso ampiamente condivise.
4. Una transizione giusta
Problematiche comuni, oltre che l’impatto pratico della mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, sono fattori molto critici quando si cercano soluzioni che possano essere condivise da tutti per raggiungere obiettivi a livello globale. Le energie rinnovabili e le tecnologie sostenibili offrono numerose opportunità per la creazione di nuovi segmenti di business e per generare molti posti di lavoro.
Le competenze richieste per questi nuovi sviluppi non sono necessariamente compatibili con le competenze richieste per il lavoro nel settore dei combustibili fossili. Per quanto, molti governi e lavoratori, temono di non esser in grado di trovare un impiego se le loro industrie diventeranno obsolete. Molti studi dimostrano che l’energia rinnovabile può offrire un enorme potenziale di occupazione con posti di lavoro meglio retribuiti e più sicuri, anche perché più sostenibili. Durante la COP24 è stata adottata la Dichiarazione di Solidarietà e Giusta Transizione della Slesia. Il documento prevede la realizzazione di iniziative “volte alla protezione del clima in correlazione con lo sviluppo economico di vari Paesi preservando i posti di lavoro” con richiami alla tradizione del movimento di Solidarnosc.
La dichiarazione sta a significare l’impegno per la sicurezza sociale ed economica della forza lavoro durante le fasi di transizione verso economie resilienti al clima. L’impegno a far partecipare i lavoratori dell’industria agli sforzi per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni rappresenta un approccio equilibrato per affrontare le preoccupazioni umane per l’oggi e il domani. Nel momento in cui tutti i paesi hanno bisogno di muoversi verso un’economia energetica più pulita, i lavoratori non devono essere lasciati indietro affinché l’obiettivo possa esser perseguito.
5. ‘Notato’, non ‘Accolto’
Mentre la Dichiarazione della Slesia è stata adottata senza troppe problemi durante la COP24, il rapporto dell’IPCC sul riscaldamento di ottobre ha presentato notevoli problemi di consenso. Lo studio, commissionato dai responsabili delle decisioni assunte alla COP21, rivela che le temperature globali si stanno spostando verso un catastrofico aumento del 3° C già in questo secolo.
Il documento incoraggia “cambiamenti rapidi, di vasta portata e senza precedenti in tutti gli aspetti della società” con il fine di ridurre l’aumento della temperatura globale ad almeno 1,5° C. Una misura assolutamente necessaria per raggiungere questo obiettivo è una riduzione del 45% delle emissioni globali entro il 2030. Tra i maggiori oppositori di queste raccomandazioni il Kuwait, la Russia, l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, tra i maggiori produttori di petrolio del mondo.
La formula finale è stata che la Conferenza ha “preso atto” e non “accolto” il documento. In mancanza di consenso, il testo sarebbe infatti stato abbandonato. Pare impossibile che ci siano ancora governi che non approvino un rapporto che rappresenta un chiaro campanello d’allarme sul fatto che sono necessari interventi urgenti e obiettivi ambiziosi per il cambiamento climatico ma è accaduto giusto qualche giorno fa. Ancora più grave che il paese che maggiormente investe nella scienza, gli USA, si trovi dalla parte dei reazionari.
6. Le sfide del multilateralismo
Dalla COP24 abbiamo avuto la conferma che il multilateralismo vive una crisi conclamata che, in prospettiva, complicherà molte delle decisioni necessarie a livello globale. Ciascun Stato membro delle Nazioni unite ha i propri obiettivi e posizioni, adottati grazie a un mix di ideologie e legittime preoccupazioni circa il futuro del proprio popolo e della propria economia.
Con quasi 200 portatori d’interesse partecipanti, c’era quindi da aspettarsi una significativa varietà di obiettivi e visioni poco strategiche. Ma l’attenzione alle preoccupazioni nazionali, ciò che oggi va torna a esser chiamato “sovranità”, ha creato distanze “artificiali” agitate con argomenti immotivati, rendendo difficile comprendere come per alcuni paesi non esistano preoccupazioni essenziali che sono identiche ovunque nel mondo. Gli effetti devastanti dell’aumento della temperatura globale non tengono conto dei confini nazionali. Se alcuni paesi e regioni sentono attualmente questi effetti più di altri, questo non vuol dire che sarà sempre così. È solo una questione di tempo prima che l’interno pianeta subisca gli impatti drammatici dei cambiamenti climatici.
Si tratta di un fenomeno che colpirà tutti. Il complesso, e complicato, processo dei negoziati multilaterali ci ricorda che le sfide e le opportunità spesso occupano lo stesso spazio. Ma se le diverse parti affrontano le preoccupazioni comuni con posizioni immobili e prospettive inflessibili non ci potrà essere progresso. Nazionalità, cultura e status socio-economico sono elementi che arrivano dopo il rispetto dei diritti umani, una soluzione globale richiede partecipazione globale.
7. Stessi giocatori, stessa storia
La prima COP è nel 1995, dopo quasi 24 anni siamo sempre di fronte agli stessi problemi e attori che continuano a ostacolare il progresso. Il conflitto negli fori multilaterali è strutturale, se non benvenuto, in alcune questioni internazionali, ma nel caso del clima questo tipo di discordia è un lusso che nessuno può permettersi.
Il tempo passa e le possibilità di azione strutturale si stano esaurendo e lo sforzo immediato, decisivo e collaborativo non è semplicemente desiderabile, ma una necessità. Tra i maggiori critici delle decisioni prese nella varie COP ci sono paesi che lamentano l’inefficacia delle proposte avanzate, ma è facile criticare un sistema che si sforza di combattere un problema globale che non ha una soluzione facile che non può progredire senza la medesima partecipazione di tutti.
8. Nuove generazioni, nuovi occhi, nuove idee
È necessaria una nuova generazione di menti per contribuire con idee e soluzioni praticabili alle sfide presentate dai cambiamenti climatici; fortunatamente iniziano a emergere giovani all’altezza del compito. Ma perché queste possano emergere occorre che tanto i governi come le organizzazioni internazionali siano pronte a farle partecipare.
Le isole Seychelles, da anni in prima linea nella lotta agli effetti del cambiamento climatico, ha incluso una delegazione giovanile per sostenere i lavori di negoziato formale. Il team di supporto delle Seychelles (SST), ha offerto ai giovani l’opportunità di provare un impegno pratico nelle procedure dell’ONU sul cambiamento climatico fornendo un’assistenza significativa alla piccola delegazione delle Seychelles.
9. Il seggio popolare
Dopo quasi un quarto di secolo di conferenze e conversazioni che non sono riuscite a produrre una soluzione decisiva per affrontare l’imminente crisi ambientale, è chiaro che sono necessarie nuove prospettive e nuove idee. Arruolare una nuova generazione che possa partecipare e contribuire allo sforzo è una misura significativa per gettare nuovi occhi su quello che sta diventando un problema vecchio e sempre più pressante.
Le discussioni ufficiali sulla lotta agli effetti dei cambiamenti climatici sono spesso inquadrate in termini istituzionali: governi e società civile organizzata. Eppure sono gli individui e le comunità a sopportare l’impatto più immediato degli effetti del riscaldamento globale. Non ci sono molti forum per questi piccoli attori che usano la loro voce con la speranza di essere ascoltati in quanto tali. Da anni si parla di un’assemblea generale dei cittadini, che magari è una proposta tra il populista e il demagogico, ma iniziative per un seggio popolare in occasioni di dibattiti globali e puntuali come le COP potrebbero incoraggiare uno spirito di apertura e inclusività. Naturalmente molto dipende dal successo dei negoziati ufficiali e dagli sforzi per appianare i problemi del Regolamento dell’Accordo di Parigi e le sue condizioni ausiliarie.
Ma se questi scambi non avvenissero a porte chiuse e senza trasparenza o possibilità di coinvolgimento per i cittadini, che in molti casi sono anche elettori, il “prodotto finale” dei negoziati potrebbe risentiren positivamente. A parte l’accountability di fronte ai propri cittadini, si pensi anche alle possibilità che la comunità scientifica potrebbe avere nel poter contribuire anche al dettagli normativo delle decisioni.
10 Dove andiamo?
La COP25 avrebbe dovuto esser ospitata dal Brasile, ma la candidatura è stata ritirata ufficialmente per “motivi di budget”, ma il vero motivo potrebbe essere il cambio di governo – com’è noto il nuovo presidente Jair Bolsonaro è un noto scettico del clima, se non vero e proprio negazionista, che ha già minacciato di cancellare la funzione delle agenzie ambientali del suo paese. E’ inoltre dubbio che il Brasile rimarrà nell’accordo di Parigi. Secondo la rotazione tipica degli incontri dell’ONU toccherebbe a un paese dell’America Latina o dei Caraibi. Sempre che la situazione non peggiori ulteriormente, cioè che si cancelli la conferenza dell’anno prossimo, tra i papabili ci sono il Costa Rica e il Cile, si tratterebbe comunque di una sede più amichevole ma anche molto più calda. Magari la combinazione potrebbe aiutare.
Detto questo, il cambiamento può iniziare dalle proprie abitudini quotidiane e scelte alimentari: diminuire i consumi energetici, non sprecare acqua o risorse, riciclare, riutilizzare e modificare il proprio regime alimentare sono modifiche che, dal basso, oltre che dare l’esempio, possono avere un impatto significativo. Devono però essere condivise e costanti, senza l’esempio personale non si andrà mai da nessuna parte.