Coronavirus: la scienza aperta può dare un contributo importante

Coronavirus

Il sistema di risposta globale alle emergenze sanitarie si articola in due parti: il contenimento e il libero accesso ai dati scientifici. Trascurare l’apertura dei dati e delle evidenze scientifiche ci espone al pericolo.

Articolo di Andrea Boggio, professore in “Legal Studies” alla Bryant University (USA), e Federico Binda, matematico, ricercatore all’Università degli Studi di Milano

L’epidemia del nuovo Coronavirus, che ha ormai contagiato più di 107.000 persone in più di 70 paesi del mondo, sta mostrando tutti i limiti del sistema internazionale di risposta alle emergenze sanitarie messo a punto in occasione della diffusione di un altro virus della stessa famiglia, noto come SARS, ormai quasi 18 anni fa.  

La SARS, con più di 8000 individui contagiati in 28 paesi, per un totale di 774 morti (meno di un quinto di quelli registrati dal SARS-Cov-2 da gennaio ad oggi) portò all’adozione del regolamento sanitario internazionale (IHR), uno strumento del diritto internazionale che obbliga i 196 stati membri dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS) a lavorare insieme seguendo un preciso protocollo per la protezione della salute pubblica globale.

L’IHR si articola fondamentalmente in due parti: una di prevenzione e una di gestione delle emergenze sanitarie. Questa seconda, come è stato reso chiaro dal Comitato OMS in occasione della diffusione dell’ultimo coronavirus, è basata essenzialmente sul principio di contenimento: ogni paese deve mettere in campo azioni mirate ad individuare, isolare e trattare ogni caso, tracciare i contatti fra le persone potenzialmente infette e promuovere ogni misura di quarantena e contenimento proporzionate alla gravità dell’emergenza. È precisamente quello a cui stiamo assistendo in questi giorni.

Si tratta di misure senza dubbio necessarie e che riscuotono una notevole attenzione da parte dell’opinione pubblica. Ma sono sufficienti?

Prendendo a prestito un’immagine dal mondo dell’informatica, potremmo dire che il sistema di risposta globale è costituito da due parti: un frontend, l’interfaccia, quello che vedono gli utenti, e un backend, il motore che fa funzionare il tutto. Ecco: in questa metafora le nostre strategie per rispondere alla diffusione di una potenziale pandemia sono concentrate sull’interfaccia, trascurando il motore.

Quando l’OMS dichiara una nuova emergenza sanitaria globale, il meccanismo di risposta internazionale si attiva. Sotto coordinamento da parte dell’OMS, vengono messe in campo tutte le misure necessarie per arrestare la diffusione della malattia: vengono chiusi porti, aeroporti, viene ridotto il traffico di merci e di persone, fino ad arrivare a decisioni estreme come quelle che stanno prendendo i governi nel mettere in quarantena regioni intere. Nel frattempo, dati ed informazioni vengono condivise (o almeno dovrebbero essere condivise) fra tutti gli attori in campo, in modo che siano tempestivamente disponibili per tutti. 

Ma la parte fondamentale del Sistema di risposta sta dietro a tutto questo: è il motore di cui scrivevamo sopra, ed include il lavoro di scienziati, medici e ricercatori, i meccanismi di condivisione dei dati e delle capacità di analisi, lo sviluppo di vaccini e nuove medicine, la formazione specifica degli operatori sanitari per fronteggiare le eventuali emergenze.

Questo backend include anche l’accesso e la diffusione della letteratura scientifica rilevante, in modo che sia a disposizione dei ricercatori ma anche delle autorità e dei decisori politici, dei canali di informazione e, in ultima istanza, a tutti i cittadini. Una popolazione informata e culturalmente e scientificamente attrezzata potrà meglio apprezzare la dimensione del rischio senza cadere nel panico. Cittadini-pazienti preparati saranno necessariamente più collaborativi con le autorità sanitarie e saranno, per esempio, più disposti a seguire misure di quarantena e altre disposizioni di ordine pubblico, si rivolgeranno in modo più tempestivo ai medici in caso di sintomi e, se necessario, accetteranno di buon grado i trattamenti clinici necessari e gli eventuali vaccini.

È facile rendersi conto che queste misure strutturali, anche per via del modo in cui si sta diffondendo il nuovo coronavirus, non sono state messe in campo in misura sufficiente. La Repubblica Popolare ha certamente dato una prova di forza della sua straordinaria macchina organizzativa costruendo due nuovi ospedali con più di 2300 posti letto da zero nella città di Wuhan per il trattamento dei pazienti, ma questo non dovrebbe farci dimenticare che – in prima istanza – non esistevano abbastanza posti letto in una grande area metropolitana di più di 11 milioni di persone. Un problema simile a quello che stiamo affrontando in questi giorni in Italia, constatando che nel nostro Paese ci sono meno della metà dei posti letto per abitante della Francia, e quasi un terzo di quelli disponibili in Germania.

Su un fronte diverso, gli articoli e le pubblicazioni scientifiche riguardanti i coronavirus sono rimasti inizialmente protetti da paywall, disponibili al pubblico, incluso il pubblico tecnico, costituito da medici e operatori sanitari che cercavano di documentarsi sulla malattia, solo a pagamento. Solo settimane dall’inizio dell’epidemia e solo dopo che un gruppo di attivisti online aveva creato un archivio “pirata” aperto a tutti con più di 5000 articoli, i grandi editori commerciali, spinti dalla pressione internazionale, hanno quindi deciso di abbattere – limitatamente a questo tema – i muri che impedivano la libera diffusione degli studi fatti dagli scienziati di tutto il mondo. Scienziati e ricercatori che hanno iniziato a condividere articoli, ricerche, dati genetici su COVID-19 usando in modo massiccio gli archivi di pre-print online come BioRxiv o MedRxiv, o piattaforme dedicate come GISAID per la condivisione delle sequenze genetiche. Un flusso di dati liberi senza precedenti, di ordini di grandezza superiore a quanto successo in occasione di altre recenti epidemie, come quella di Zika nel 2015-16, o di Ebola in Africa Occidentale nel 2014-16, al punto che Science ha parlato di “Una rivoluzione nel modo di comunicare” degli scienziati.

Dati a disposizione della comunità scientifica, ma che non hanno impedito a panico, razzismo e xenofobia di diffondersi. L’OMS ha reagito iniziando una campagna per combattere dicerie e leggende metropolitane che nel frattempo sorgevano attorno alla malattia (al punto di dover smentire la voce secondo cui il consumo di aglio ridurrebbe il rischio di contrarre il coronavirus), creando una piattaforma online dedicata, EPI-WIN, per combattere l’infodemic, l’epidemia di informazioni non controllate e potenzialmente pericolose.

Quali strumenti, dunque, abbiamo a disposizione per implementare le misure necessarie affinché il backend, il motore di cui abbiamo scritto, funzioni in modo corretto e ci prepari ad affrontare la prossima pandemia?

Il diritto internazionale ci offre in questo uno strumento prezioso, che proviene dal Patto sui diritti economici sociali e culturali, a partire dal “diritto alla salute”, incluso nell’articolo 14, e il “diritto alla scienza”, incluso nell’articolo 15,  che stabilisce sia il diritto per gli scienziati alle libertà indispensabile per la ricerca, come quello di condividere le scoperte, sia il diritto di ogni essere umano a godere dei risultati del progresso scientifico e delle sue applicazioni.

Il rispetto e l’applicazione di questi diritti da parte degli Stati garantirebbero (e vincolerebbero) investimenti adeguati in ricerca e sviluppo, un ampio supporto alle politiche di Open Science a partire dall’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche, adeguata formazione degli operatori sanitari, costruzione e manutenzione di strutture mediche ed ospedaliere oltre che, naturalmente, ad una ampia diffusione della cultura scientifica nelle varie fasce della popolazione.  

Una serie di misure di non immediato apprezzamento da parte del grande pubblico. Ma in loro assenza il sistema di risposta globale alle emergenze sanitarie (e non solo) non può funzionare adeguatamente: l’emergenza attuale, augurandoci che venga confinata nel modo migliore possibile, è un campanello di allarme.

Anche di questi temi abbiamo dibattuto lo scorso 25 e 26 febbraio, ad Addis Abeba, in occasione del sesto Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica, intitolato appunto “Il diritto a godere dei benefici della scienza”.