Si, pratichiamo l’eutanasia.

di Camilla Strada
Il 3,6 degli anestesisti milanese ammette: ho utilizzato iniezioni letali

E’ cosa nota ma non ancora statisticamente provata: i medici praticano l’eutanasia. Sì, anche in Italia. E in modo clandestino, naturalmente. L’Associazione Luca Coscioni ha chiesto al governo un’indagine sul fenomeno. Ma un punto da cui partire esiste già: secondo una ricerca svolta dal Centro di Bioetica della Cattolica di Milano, che ha coinvolto tutte le rianimazioni milanesi (225 specialisti con le loro équipe), il 3,6% degli anestesisti ammette di aver somministrato l’iniezione letale. <>, dice il direttore del Centro, Adriano Pessina.

Professore ci spieghi questo risultato.
La nostra ricerca intendeva fotografare l’atteggiamento dei medici nei confronti dell’accanimento terapeutico. Alla domanda: “La sospensione delle cure accompagnata dalla somministrazione di farmaci a dosi volutamente letali?”, il 3,6 per cento ha risposto “talora si”.

Questa è eutanasia.
Di fatto si: è un intervento non necessario che viene attuato quando ormai si è deciso di sospendere i trattamenti perché inutili. Ma il contesto è diverso: oggi chi chiede l’eutanasia, come accaduto nel caso di Piergiorgio Welby, non lo fa in riferimento all’accanimento. Lo fa per affermare la propria autonomia rispetto alla vita.

In che cosa consiste l’accanimento terapeutico?
Secondo il Comitato Nazionale per la Bioetica, è un trattamento inefficace rispetto all’obbiettivo di cura, a cui si aggiunge un aggravio di sofferenza.

Sulla base di quali criteri un medico sospende i trattamenti?
Criteri esclusivamente clinici. Non aspetti psicologici

Chi lo decide?
La decisione di solito è presa dall’intersa équipe medica. Quando è concretamente possibile, viene consultata anche la famiglia.