Se fosse vissuta, Vittoria avrebbe 8 anni. Nei quattro mesi e mezzo in cui è stata al mondo, sua madre l’ha amata come ama un condannato a morte. Disperatamente, perdutamente, con la certezza che non l’avrebbe vista crescere e l’irragionevole speranza che invece non ce l’avrebbe fatta: “Un prigioniero nel braccio della morte si sente probabilmente come mi sentivo io. Sa di dover morire, ma fino all’ultimo istante spera che accada qualcosa che lo salvi. Anche io sapevo che la malattia di Vittoria non lasciava scampo, eppure non potevo accettare che l’avrei persa”. Vittoria è morta a causa della miocardiopatia ipertrofica, una malattia genetica di cui l’ex marito di Elsa è portatore (nome di fantasia perché, si giustifica lei: “Forse ora cercherò un avvocato per capire che cosa è successo, non ne ho avuto la forza fino a oggi”). Nel 2011 alle coppie fertili malate o portatrici di malattie monogenetiche (causate dall’alterazione di un gene) non era consentito eseguire la diagnosi preimpianto cioè l’analisi delle cellule dell’embrione prodotto in vitro per scoprire eventuali anomalie. Per realizzare il sogno di un bambino sano,chi poteva permetterselo andava all’estero ed Elsa e suo marito avevano scelto Atene.
Uno sbaglio, ma non potevano saperlo. Nell’estate afosa di Milano, Elsa indossa un vestito bianco con le spalline, ha 49 anni e il corpo e il viso di una ragazzina che il dolore non è riuscito a segnare. “Vittoria era la mia terza bambina. Prima di lei avevo avuto Viola, l’unica figlia che è sopravvissuta e Nicolò. Era nato senza piangere e i medici mi avevano detto subito che era cardiopatico. Non l’ho mai tenuto in braccio, lo toccavo infilando le mani nei fori della culla trasparente della terapia intensiva. Quando è morto dopo due settimane me l’hanno portato via in una cassettina, come si porta via un gattino”. Elsa e suo marito iniziano a indagare per scoprire che cosa è successo a Nicolò, scoprono di essere portatori di due mutazioni cardiache (conosciute con la sigla MYBPC3), la cui combinazione è incompatibile con la vita. Una possibilità su 25.000 che capiti, a loro era capitato. “Mio marito scalpitava per avere un altro figlio. A Genova, dove c’era un medico che studiava la malattia, ci hanno parlato della diagnosi preimpianto. Ma in Italia era consentita solo alle coppie infertili”. Un paradosso della legge 40 che dal 2004 disciplina la fecondazione medicalmente assistita. “Se eri doppiamente sfortunato, cioè infertile e malato potevi accedere alla diagnosi preimpianto, se eri solo per metà sfortunato no” commenta Enrico Papaleo, ginecologo e responsabile del Centro Scienze della Natalità del IRCCS Ospdale San Raffaele.
“Le cose sono cambiate grazie a una sentenza della Corte costituzionale” chiarisce Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. “Nel 2010 ho iniziato a difendere in tribunale alcune coppie portatrici di malattie generiche che cercavano un bambino che non ereditasse la malattia di cui erano portatori. Finalmente nel 2015 la Corte Costituzionale ha cancellato il divieto d’accesso a queste tecniche per le coppie fertili e attualmente possono accedere alla procreazione medicalmente assistita tutte quelle che presentano rischi di interrompere la gravidanza ai sensi dell’articolo 6 della legge 194. Per dimostrare il rischio è necessario il certificato di un genetista.”
Elsa al tribunale non ci aveva pensato, lei aveva dirottato subito le speranze su Atene. “Sono stata n Grecia 8 volte, ogni viaggio era preceduta da una tappa a Roma per la terapia ormonale. Non c’era più tempo per nient’altro che la ricerca di questo figlio. Lavoravo nell’ufficio legale in cui un grande gruppo multinazionale, quasi senza che me ne accorgessi mi hanno sbattuto nel reparto vendite. Finalmente rimango incinta, è una bambina, ma la mia ginecologa in una delle ecografie vede un inspessimento al cuore. Vado in ospedale e i medici mi dicono che è un problema temporaneo dovuto al monossido di carbonio, perché pochi giorni prima il camino aveva avuto una perdita. Vittoria nasce, piange e respira da sola. Ma qualcosa non va, non ci dimettono. Poi arriva la notizia:è malata, ha ereditato entrambe le mutazioni”. Come è possibile? “Potrebbe trattarsi di un errore tecnico che capita molto raramente, in meno dell’1% dei casi, perché le indagini genetiche hanno un tasso di accuratezza altissimo. Ma è molto più probabile che ci sia stato uno scambio di embrioni” spiega Papaleo. “Ogni giorno passato con lei è stato una conquista, siamo partiti per il mare, sembravamo una normale famiglia felice” continua Elsa. “Ho le foto di noi quattro sulla spiaggia, Vittoria con un cappellino bianco per proteggerla dal sole, io con un sorriso perso. Sapevo che sarebbe morta, ma non potevo non amarla, era la mia bambina e benedicevo ogni giorno con lei. La sua forza mi commuoveva,è stata bene fino al primo raffreddore. Siamo corsi dalla pediatra, ci ha detto di tenerla monitorata la notte perché aveva la febbre. Non ho dormito nemmeno un secondo, ricordo benissimo quella notte: io sul letto che giocavo con l’iPhone per rimanere sveglia, il silenzio della casa, il respiro di Vittoria. La mattina la portiamo dalla pediatra e lei ci consiglia di correre all’ospedale. È morta dopo un’ora e il mio matrimonio con lei, perché ognuno ha cercato di sopravvivere a modo suo e non era il modo dell’altro”.
Chissà se le cose sarebbero andate diversamente se Elsa fosse potuta restare in Italia, accanto ai medici che conosceva bene, evitare la fatica dei viaggi e i tranelli della lingua.
Dal 2015 chi è portatore o affetto da una malattia genetica e cerca un bambino sano non è più costretto a dolorose migrazioni, rimane il fatto che la diagnosi preimpianto non è ancora inserita nei “livelli essenziali di assistenza” (LEA),questo significa che il Servizio sanitario nazionale non la rimborsa e, nella maggior parte dei centri in cui viene eseguita sono i pazienti a farsi carico dei costi.
La relazione del ministro della Sanità sullo stato di attuazione della legge 40 che si basa sul 2017 (ultimi dati disponibili) indica che ci sono in Italia 42 centri in cui si esegue la diagnosi preimpianto: 8 privati convenzionati, 30 privati e 4 pubblici, (tra cui l’Ospedale Microcitemico di Cagliari e la Clinica Mangiagalli di Milano). Nel 2017 sono state eseguite 3.175 esami clinico diagnostici sull’embrione. Grazie a queste tecniche sono nati 705 bambini che non avrebbero mai visto la luce se i loro genitori non avessero avuto la possibilità di eseguirle. Ma le spese del test non sono indifferenti: “Le indagini sulle malattie monogenetiche costano all’incirca 3.000 euro” precisa Papaleo. Elsa insiste per pagare la sua bibita, ha gli occhi pieni di lacrime: “Imparare a piangere è stata una conquista, il prossimo passo è iniziare quella che temo sarà una battaglia per scoprire che ha sbagliato. Ho paura che tutti tranne me si siano tutelati, ad Atene ho firmato documenti che non credo di aver capito fino in fondo”.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.