Sergio Dompé, presidente della Farmindustria, evita con diplomazia di inserirsi in una questione che scuote le coscienze, e non solo in Italia, ma non può fare a meno in queste ore decisive, in cui si assegnano cospicui stanziamenti comunitari alla ricerca e si riapre lo scontro politicoideologico su staminali e fecondazione, di ricordare l’importanza per il nostro paese di ritagliarsi un ruolo di punta.
«La resistenza alle staminali ricorda la battaglia di molti anni fa contro i trapianti, al pari di tanti altri ostacoli che di volta in volta sono stati posti alla scienza e all’innovazione». Il ministro della Ricerca, Fabio Mussi, ha detto che l’Italia si vuole chiamare fuori dal ‘cartello’ di paesi che bloccano qualsiasi sperimentazione sugli embrioni, alcuni per motivi religiosi (oltre a noi, Portogallo e Irlanda) e altri per imbarazzi storici legati addirittura alle sperimentazioni naziste, Germania e Austria.
Ma la posizione di Mussi è stata subissata di critiche da parte cattolica, anche dall’interno della maggioranza. Lei cosa ne pensa? «Non abbiamo visto male l’approccio di Mussi, ci è sembrata la presa di posizione di una persona interessata a non far perdere posizioni all’Italia. E’ doveroso parlare di etica in senso religioso, ma esistono gravi malattie che forse avrebbero soluzione con l’utilizzo delle staminali.
Gli ostacoli che bloccano la ricerca vanno rimossi per raggiungere il massimo livello di conoscenza. Una parte della legge 40 ha la sua logica, e nessuno vuole infrangere dogmi etici, uccidere embrioni o altro. Ma ci sono passaggi frutto evidentemente di sviste che vanno corretti.
Per esempio, il divieto dell’analisi preimpianto: tra due portatori di anemia mediterranea la probabilità di aver un figlio con lo stesso problema è il 50%. Ma per rendersene conto bisogna fare le analisi a livello embrionale. Tutto questo è ancora più paradossale visto che in questi casi spesso ci si deve orientare a intervenire con un aborto, che invece è legale».
Restando alle staminali ‘lecite’, quelle adulte, le terapie sperimentali che esistono vengono somministrate tutte da ospedali e laboratori pubblici. L’industria sembra voler stare alla finestra. Crede che se la legge 40 verrà modificata potrebbero partire programmi di investimento privati? «Realisticamente credo di sì. Le restrizioni di legge sono un vincolo ai finanziamenti, un limite alle potenzialità delle imprese, come lo sono le storture del servizio sanitario nazionale, politica dei tetti inclusa.
A quest’ultimo proposito, e questo è un problema che solleveremo in occasione della nostra assemblea il 22 giugno, il nostro servizio sanitario è tra i più avanzati e meno costosi in assoluto. Consideriamolo un valore economico, non un costo o un peso per lo stato. Risolti alcuni sprechi, che ci sono e vanno combattuti con vigore perché minano quanto appena detto, la cultura solidaristica italiana potrebbe avere un effetto positivo sull’arricchimento del sistemapaese.
E smettiamola di guardare alle classifiche in cui siamo al ventesimo o al quarantesimo posto: qui siamo fra i primi».