La morte assistita e la scelta italiana

Immagine della campagna Eutanasia Legale

Il Parlamento è chiamato dalla Corte costituzionale al difficile compito di ammettere e disciplinare l’assistenza al suicidio, che sia richiesta da persona determinata a por fine alla propria vita.

Articolo di Vladimiro Zagrebelsky, pubblicato su La Stampa – La notizia della morte della giovane olandese Noa Pothoven, prima data come un caso di eutanasia e poi corretta nel senso che si è trattato di un lento suicidio accompagnato da presenza medica, cade mentre il Parlamento sta esaminando alcuni progetti di legge. La correzione della notizia non sembra cambiare significativamente i gravi interrogativi che si pongono, prima di tutto per la giovane età della ragazza. Ora però può essere utile svolgere qualche argomento legato al lavoro legislativo del Parlamento. Il codice penale vieta e punisce l’omicidio del consenziente e l’assistenza al suicidio. La Corte costituzionale ha ritenuto che sia in contrasto con la Costituzione l’assenza di qualunque eccezione e limite al divieto generale di assistenza a chi ha deciso di uccidersi. Diversi sono gli argomenti svolti dalla Corte costituzionale, ma il cuore della sua posizione sta nel richiamo al diritto di ogni persona all’autodeterminazione, derivante dalla dignità che va riconosciuta a ciascun essere umano. Sarebbe difficile oggi dissentire e ammettere che nel più delicato dei momenti della vita, quello della morte, alla libertà della persona si sostituisca l’autorità dello Stato o l’imposizione della società, fosse pure in una sua parte maggioritaria.

Tuttavia sono tutt’altro che semplici sia la nozione di autodeterminazione, sia, ancor più, l’accertamento della sua realtà concreta in ciascuna delle infinitamente diverse vicende. È ovvio che autodeterminazione non significa assenza di condizionamenti. Ogni atto di volontà è frutto di una deliberazione frutto di molte e contrastanti spinte, della più varia natura. Forse nemmeno l’interessato è pienamente cosciente di ciò che lo condiziona. E la ricostruzione e valutazione delle ragioni della deliberazione di un altro individuo è estremamente complessa. Si dice naturalmente che la decisione di metter fine alla propria vita deve essere libera e consapevole da parte di una persona capace. Ma, mentre l’esclusione del minore o del malato di mente può trovare in Italia largo accordo, non può essere superficiale l’accertamento della libertà della decisione di morire e di chiedere ad altri di essere in ciò aiutato. Esso richiede invece l’opera di specialisti, di diversa formazione: non solo psichiatrica o psicologica, ma anche sociale. Non vi è libertà se non vi sono alternative e queste non sono necessariamente solo mediche.

Una disciplina legislativa che riconosca il diritto di morire e assicuri modalità umane e dignitose, attraverso l’opera esperta dei medici del Servizio Sanitario Nazionale, dovrà prevedere procedure rigorose di accertamento della volontà dell’interessato. Ciò non solo per escluderne aspetti patologici, ma anche per dialogare, prospettando concretamente vie di uscita, che forse non sempre, ma spesso esistono (dalle cure palliative nel caso di sofferenze fisiche, a cure e soluzioni sociali quando si tratti di sofferenze di altra natura). Non si otterrà sempre un ripensamento, poiché le alternative potrebbero essere rifiutate, ma almeno si potrà effettivamente parlare di libertà e di autodeterminazione. Si pensa che escludendo l’idea stessa di assistenza al suicidio si salvino delle vite (e si salvi anche la buona coscienza della società e dello Stato). La realtà è invece che in molti casi si spingono le persone a uccidersi in modi violenti e crudeli o le si obbliga al travaglio dell’interruzione di trattamenti di artificiale mantenimento in vita.

I progetti di legge in discussione in Parlamento sono carenti sotto il profilo dell’accertamento della volontà dell’interessato e del dialogo sulle possibili soluzioni esistenziali, che spingano a una riconsiderazione della scelta del suicidio. I progetti di legge si concentrano sulla definizione della condizione oggettiva in cui si trova chi chiede aiuto nel suicidio. Sarà difficile assicurarne la ragionevolezza e l’idoneità a impedire drammatiche scelte di suicidio negli altri casi. Soprattutto occorre che la nuova legge preveda forme di accertamento della natura della decisione di metter fine alla propria vita e di dialogo approfondito su possibili alternative.