Dopo l’aumento delle gravidanze tra le minorenni. Le autorità: «Informare serve». Allarme dei cattolici
Teenager e aborto: la protesta a Londra, un anno fa, contro la proposta di abbassare il limite di 24 settimane (Reuters)
LONDRA — Il Regno Unito ha il più alto numero in Europa di ragazze minorenni che restano incinte. Su mille donne in attesa di un figlio, 42 non hanno compiuto i diciotto anni. Le statistiche ufficiali,
relative al 2007, aggiungono che, ogni settimana, 84 adolescenti si sottopongono all’interruzione della gravidanza e che tre non hanno 14 anni. E ancora: la diffusione di infezioni agli organi genitali per le under 16 e i loro coetanei è superiore a quella di qualsiasi altro Paese del Vecchio Continente con 11 mila casi diagnosticati. Numeri da allarme rosso. Più in generale, sempre nel 2007, gli aborti, in tutte le fasce di età fertile e con un picco fra i 20 e i 24 anni, sono stati 198.499, e sono raddoppiati nel corso di un trentennio. Fotografia completata dal dato secondo cui, su dieci giovani o giovanissime che hanno concepito, sei si rivolgono alle strutture sanitarie per non portare a termine la maternità. Colpa, è spiegato in un recente rapporto finito in Parlamento, della insufficiente educazione sessuale e contraccettiva nelle scuole e nelle famiglie.
È di fronte a questa realtà che è partita la proposta di utilizzare la televisione e i giornali come strumento di divulgazione sull’uso del preservativo e di dare sia alle cliniche nelle quali si pratica l’aborto sia alle associazioni che assistono le minorenni, la possibilità di mandare in onda spot pubblicitari mirati alla corretta informazione della paziente. Il tabù sta per essere rotto dal Broadcast Committee of Advertising Practice, la commissione di vigilanza sulla pubblicità, che riformerà il codice di disciplina. Attualmente, esiste la possibilità di trasmettere promo sui condom, ma solo in alcuni orari per «proteggere i minori da contenuti inappropriati » (mai prima delle nove di sera), è invece escluso qualsiasi messaggio sulla interruzione di gravidanza. Le nuove regole — che saranno varate «non senza avere ascoltato i pareri dei cittadini, degli operatori del settore, dei partiti», ha rassicurato Andrew Brown, il presidente del Broadcast Committee of Advertising — autorizzano la diffusione di spot nel corso della giornata con l’unica raccomandazione – vincolante di non collocarli o durante o a ridosso dei programmi per i bambini fino a dieci anni. Una svolta che provoca già in partenza reazioni a non finire. Protagonista della inversione di rotta una baronessa laburista, Joyce Gould di Potternewton, convinta che le proibizioni siano ben più pericolose di una comunicazione scientificamente corretta e tale da non urtare la sensibilità del pubblico. L’esperienza insegna, ha sostenuto, che norme più aperte accompagnate da pubblicità intelligenti hanno effetti positivi e vengono alla fine associate a «stili di vita sessuale responsabili».
Sul piede di guerra le organizzazioni cattoliche: «Si ottengono risultati opposti a quelli desiderati, più si promuovono forme di controllo delle nascite e più sono alte le percentuali di gravidanza fra le minorenni». Non solo. Una rappresentante di Life contesta così: «I gruppi pro-vita non hanno i soldi di cui dispongono invece i gruppi a favore dell’aborto e non sono in grado di comperare spazi per divulgare il loro messaggio». L’authority sulla pubblicità va avanti. Chiuderà la consultazioni il 19 giugno, poi via libera alla pubblicità sull’aborto e sui preservativi. Le ragazzine inglesi e l’aborto La protesta a Londra, un anno fa, contro la proposta di abbassare il limite di 24 settimane (Reuters)