Che fatica fare oggi lo scienziato

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Negli anni Trenta, mentre infuriavano in Europa i totalitarismi, cioè mentre Hitler, Mussolini e Stalin anelavano la guerra e piegavano ricerca e innovazione a fini bellici o ideologici, alcuni scienziati e intellettuali discutevano del ruolo sociale della scienza e degli effetti che fascismo, comunismo e capitalismo avevano sulla qualità della scienza.

Nel 1938 il sociologo della scienza nordamericano, Robert Merton, spiegava che l’ethos della scienza è incompatibile con le ideologie totalitarie. La scienza presuppone libertà completa, salvo che non può fare male e danni per conseguire la conoscenza: libertà di decidere cosa studiare, libertà di critica, libertà di comunicazione, libertà da condizionamenti privati e pubblici, etc.

Le leggi razziali nei paesi fascisti o le teorie lyssenkoiste in Unione Sovietica, insieme alla censura e alla politicizzazione della ricerca testimoniavano del fatto che senza democrazia la scienza esisteva solo come simulacro, usato per produrre tecnologie di guerra, discriminare e assassinare persone, manipolare i fatti, etc.

Subito dopo la seconda guerra mondiale, diversi filosofi, tra i quali John Dewey e Karl Popper, e scienziati (tra i quali il Nobel Bridgman, Needham, Huxley, Polany, etc.) discussero le conseguenze dell’asservimento di diversi scienziati alle ideologie totalitarie, e conclusero che i valori della scienza e della democrazia in larga parte coincidono. Si sente spesso che la scienza non è democratica, ma questo vale se si guarda a un aspetto della democrazia, cioè il voto a maggioranza.

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