Eutanasia di un amore

La vicenda è nota. Ray Gosling, 70  anni, giornalista  britannico, ha dichiarato  di aver  "soffocato" anni  fa il proprio amante,  malato di Aids  allo stadio terminale. É questione  da far tremare le vene e i polsi. Ma  che va affrontata con equilibrio  perché, per molte ragioni (crescita  della volontà di autodeterminazione,  sviluppo delle biotecnologie,  diffusione delle patologie incurabili),  il tema è destinato a imporsi  nella dimensione privata e nella  sfera pubblica. Va detto, innanzitutto,  che non si devono confondere  fatti totalmente diversi. Per capirci:  è indecente classificare sotto  il titolo di eutanasia la morte di  Piergiorgio Welby o quella di Eluana  Englaro. Qui si tratta di altro:  ovvero la sospensione di terapie,  trattamenti e presidi sanitari che  prolungano artificialmente un`esistenza  destinata a esaurirsi. Astenersi  da quegli interventi, quando  non fossero più efficaci o si rivelassero  troppo dolorosi, significa restituire  al ciclo naturale di esistenza  la sua caducità e il suo procedere  verso la fine.  Eutanasia è tutt`altra cosa: e  richiede, perché si realizzi, l`intervento  attivo di un terzo che – su richiesta  dell`interessato – determini  la morte di chi ha scelto consapevolmente  di non più vivere. Oggi,  l`eutanasia assume una sua rilevanza  sociale perché è cresciuta la consapevolezza  che il dolore da malattia  non sia un valore né una  "esperienza salvifica" e che, quando  si riveli non sedabile, diventa esso stesso una patologia. Dunque,  di eutanasia è giusto parlare con riferimento  ai mali incurabili, più  che a stati di disagio psichico o di  svantaggio sociale per i quali vanno  predisposti ben altri interventi.  Pertanto, il tema della "buona morte"  va collocato in un quadro dove  deve trovarsi il suo principale antidoto.  Che non è la prosecuzione  della sofferenza, bensì il suo contenimento  e la sua riduzione. Insomma,  il cuore del problema è rappresentato  dal dolore non necessario:  quello non correlato a un decorso  che si spera positivo della malattia  e quello non eliminabile attraverso  adeguate cure palliative. Queste ultime,  nel nostro Paese, sono gravate  da un ritardo di decenni e ostacolate  da pregiudizi tenacissimi. A  ciò si aggiunge il fatto che l`assenza  di una normativa sul finevita (o,  peggio, una legge regressiva in materia)  contribuisce a negare il diritto  all`autodeterminazione del paziente  e a perpetuarne la soggezione  a un potere medico, non sempre  sensibile e accogliente. E in questo  quadro che la domanda di eutanasia  può svilupparsi. Certo lo studio  scientifico più attendibile documenta  come, su mille malati terminali  solo un numero limitatissimo  chiede di poter morire. Penso che  quella percentuale potrebbe ancora  ridursi se, appunto, una norma  tutelasse il diritto del paziente a decidere  sui trattamenti sanitari e a  disporre di efficaci cure palliative.  Ma il problema riguarda proprio le  situazioni estreme e a esse rimandano  i casi di eutanasia verificatisi  in Italia e in altri Paesi occidentali.  Il che consente una considerazione generale. Il poter decidere della  propria morte non è un diritto positivo  bensì una "immunità": ovvero  classicamente una libertà negativa.  E il fatto che riguardi appena  un`esile minoranza la impone con  maggiore urgenza. Il rischio è infatti  che si tolleri – come in realtà accade  – una eutanasia "per ricchi", per  chi dispone di risorse e della conseguente  impunità. D`altra parte, se  un`eutanasia regolamentata, ridotta  a estrema ratio e sottoposta a vincoli  tassativi fosse depenalizzata  nel caso di sofferenze non sedabili,  non vanno trascurati altri elementi.  E vero che la correlazione più  stretta è quella tra dolore intollerabile  e desiderio di sottrarvisi a qualunque  costo, ma anche le condizioni  sociali possono assumere un ruolo  decisivo. In altre parole, l`eutanasia  non può essere l`unica possibilità  concessa al malato che si trovi  solo e abbandonato.  II paziente inserito all`interno  di un sistema di relazioni, avrà meno  incentivi a chiedere di morire. E  qui, evidentemente, le politiche di  assistenza e di integrazione costituiscono  il più efficace fattore di dissuasione.  Ancora: deve esservi certezza  assoluta che l`eutanasia (ovvero  l`omicidio su richiesta di una  persona malata) avvenga in base a  una disposizione dichiarata e confermata  dell`interessato. Confermata  significa non limitata alla disperazione  di un momento ma inequivocabilmente  documentabile.  Insomma, se è vero come è vero  che l`eutanasia può essere – in alcune  determinate circostanze – un atto  d`amore, esso deve essere preservato  da qualunque sospetto e da  qualunque ombra.  

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