PMA, oggi è l’anniversario della cancellazione del “divieto” d’accesso per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche

Donna incinta in bianco e nero

Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni: “Il governo garantisca il pieno rispetto della sentenza 96/2015 della Corte Costituzionale”.

E al ministro della Salute chiede: “quanto deve costare non trasmettere una malattia genetica ad un figlio?”

Sono passati quattro anni dalla sentenza 96/2015 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’esclusione dalla possibilità di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili che tramite queste tecniche possono accedere ad indagini diagnostiche specifiche.

Una grande vittoria che ha assestato un duro colpo all’impianto proibizionistico della legge italiana sulla fecondazione assistita: una tappa fondamentale in un lungo percorso che aveva già visto nel 2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo confermare come la legge 40 violi l’articolo 8 della Dichiarazione europea dei diritti umani relativamente al rispetto della vita familiare. Dal 2015, oltre alle coppie infertili o sterili che in virtù di legge 40 (articolo 14 comma 5) già potevano chiedere di conoscere lo stato di salute dell’embrione prima del trasferimento in utero, anche le coppie fertili portatrici di patologie genetiche possono accedere alla PMA per eseguire indagini che la giurisprudenza ha equiparato alla diagnostica prenatale.

Sottolinea l’avvocato Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni:

Nonostante questo grande traguardo, risulta ancora troppo complesso nel nostro Paese l’accesso a tecniche che “servono per favorire la vita” come gli stessi giudici delle leggi scrivono nelle motivazioni delle sentenze che hanno rimosso molti divieti della legge n.40/04 sulla PMA.

Oggi infatti non è possibile un pieno rispetto della sentenza d’incostituzionalità della Corte costituzionale perché soltanto chi ha la possibilità economica di pagare la Diagnosi Genetica di Preimpianto (DPG) può evitare il rischio di trasmettere al proprio figlio la malattia genetica di cui si è affetti o portatori: un aspetto in netto ed evidente contrasto con le motivazioni espresse dalla Corte Costituzionale stessa che ha cancellato il divieto, in affermazione
dell’articolo 3 e 32 della Carta costituzionale. Con l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza nel 2017, per la prima volta abbiamo visto l’inclusione anche di tutte le tecniche di procreazione medicalmente assistita, ma non si fa alcun cenno alle tecniche applicate in tutti i paesi europei, compresa l’Italia, proprio per la Diagnosi Genetica di Preimpianto.

In Italia il principio di eguaglianza e il principio di universalità del Servizio Sanitario Nazionale costituiscono presupposto indefettibile per assicurare la coesione sociale del Paese e per contrastare le conseguenze sulla salute frutto delle disuguaglianze sociali, derivanti dalle diverse condizioni socio-economiche dei singoli territori – spiega l’avvocato Filomena Gallo – Per le persone che però hanno bisogno di accedere a indagini diagnostiche genetiche di
preimpianto il principio di uguaglianza, il diritto alla salute, il principio di universalità del SSN non sono applicabili”.

Sono circa otto – Campania, Sardegna, Lazio, Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia – le regioni che si fanno carico del costo di queste indagini, tra cui la Lombardia, costretta a farsi carico della spesa dai tribunali, le altre invece per piena volontà politica, cercando di intervenire per sanare una discriminazione determinata dal Ministro della Salute che nel 2017 ha omesso dai LEA tali indagini diagnostiche. Abbiamo anche promosso con esperti, associazioni di pazienti un appello al Ministro Giulia Grillo affinché i LEA siano adeguatamente aggiornati includendo anche tali indagini