Più Europa in Africa

È banale, ma non pare sufficientemente accettato che un fenomeno complesso come quello della migrazione verso l’Europa possa essere affrontato solo con una adeguata programmazione. Innanzitutto, programmando interventi strutturali e non di facciata per i Paesi in via di sviluppo all’origine dei flussi. Ricordo quando ero all’Università che la collaborazione con la Somalia in tema di sviluppo culturale si risolveva nel soggiorno periodico di docenti universitari italiani che tenevano un breve corso all’Università di Mogadiscio percependo stipendi cospicui, spesati di vitto e alloggio per sé e per tutta la famiglia. Dopo di che se ne tornavano in Italia senza che nulla di significativo fosse cambiato per l’Università Somala e per i suoi studenti.

Quella non era collaborazione. Collaborazione è la costruzione di strutture di insegnamento e la formazione di insegnanti autoctoni che vivano e lavorino stabilmente in quei luoghi, senza lasciare il fondamentale tema dell’istruzione solo in mano ai missionari; e creare infrastrutture ed imprese che possano finalmente stare in piedi da sole dal punto di vista economico, anche difendendole dai predoni locali.

Ma soprattutto bisogna che l’Europa, principale destinataria dei flussi, stringa accordi con i governi dei paesi costieri di partenza, per poter installare strutture organizzative proprie che regolino e programmino con la dovuta umanità le partenze, sottraendole ai governi locali che si sono rivelati incapaci di farlo.

Regolare e programmare nei paesi di imbarco, in base all’effettivo stato di profugo, della fragilità della persona e non ultimo dei numeri di alcune tipologie di lavoratori di cui i Paesi Europei di destinazione hanno determinato il fabbisogno annuale. Perché senza lavoro, per i migranti non vi sarà mai una effettiva integrazione nei paesi di destinazione.

In questi giorni si sentono enormità del tipo di processi di “selezione” tra migranti, paragonandoli a ciò che avveniva nei campi di concentramento nazisti ove chi era abile al lavoro sopravviveva e chi non lo era veniva avviato ai forni crematori.  A parte tali assurdità, vorrei ricordare che in qualunque Pronto Soccorso si opera una selezione tra i pazienti, a seconda di chi è più fragile ed in pericolo, che passa per primo alle cure, rispetto agli altri.

Anche tra i migranti, un triage iniziale effettuato da apposite strutture europee create nei paesi costieri di partenza, potrà intercettare e regolare i flussi e fare partire per primo ed in sicurezza chi ne abbia maggiormente diritto rispetto agli altri. I numeri in gioco sono tali da non permettere altro, e l’Europa ha il potere per organizzare e programmare tutto questo. Soprattutto, se potrà decidere di farlo a maggioranza, e non all’unanimità.