In un suo commento pubblicato da il Fatto quotidiano il 29 ottobre scorso intitolato “Droga legalizzare è solo pericoloso” Pino Arlacchi mette in fila una serie di argomenti per cui sarebbe inutile passare dal proibizionismo alla regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio delle sostanze stupefacenti.
Fermo restando che si tratta di opinioni, com’è noto sono solo due gli stati membri delle Nazioni unite – Uruguay e Canada – che hanno legalizzato, ed esclusivamente la cannabis, mentre nel resto del mondo vige il proibizionismo, anche i punti di vista di Arlacchi non combaciano strettamente con la realtà dei fatti.
Innanzitutto giova ricordare che nel 1998 Arlacchi, all’epoca direttore dell’Ufficio ONU per la droga e il crimine, convocò una sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite galvanizzando il mondo con lo slogan “A Drug Free World, We Can Do It!” (un mondo libero dalla droga, possiamo farcela!). Avendo partecipato sia alle fasi preparatorie quanto alla plenaria al Palazzo di Vetro ricordo bene il tutto; ebbene, a 20 anni da quel summit mondiale sulle droghe, queste sono sempre presenti in tutto il mondo. Magari costano meno degli anni Novanta, ma grazie all’efficienza della ‘Ndrangheta le si possono acquistare vicino agli asili e nelle galere dei paesi ricchi tanto quanto negli angiporti o catapecchie di quelli poveri.
L’ultimo Rapporto Mondiale sulle Droghe dell’UNODC, coi dati del 2017, ci dice infatti che il consumo frequente di sostanze illecite interessa circa 271 milioni di persone, il 5,5% della popolazione mondiale di età compresa tra 15 e 64 anni, mentre si stima che 35 milioni di persone soffrano di disturbi da uso di droghe. Trattandosi di commerci illeciti mi pare quantomeno affrettato ritenere che togliere questo settore di mercato dalle mani della criminalità organizzata non possa avere un significativo impatto sulle entrate di chi viola la legge.
La relazione che il Dipartimento per le Politiche Anti-Droghe prepara annualmente per il Parlamento italiano ci dice che oltre otto milioni di persone nel nostro paese consumano in modo non sporadico sostanze illecite per un giro d’affari illegali di circa 14 miliardi di euro. Ammesso e sicuramente non concesso che queste stime siano elaborate con tutte le cautele e i compensi del caso (per la prima volta quest’anno l’ONU ha ammesso di non ricevere dati di qualità da quasi la metà degli stati), se dovessimo ipotizzare che i consumi italiani – 80% di cannabis e il rimanente diviso tra cocaina, eroina e sintetiche in quest’ordine decrescente – fossero applicabili come scelte mediane a tutto il mondo, il complessivo giro d’affari sarebbe quel mezzo triliardo di dollari che era stato usato da Arlacchi stesso nel 1998 come nemico da annientare per rilanciare la guerra globale alla droga.
Ma prendiamo per buono il dato per cui il commercio illegale delle sostanze stupefacenti non sia più la fonte principale di entrata per le organizzazioni criminali – secondo Arlacchi la Mafia è stata sconfitta in Italia una ventina d’anni fa. E’ innegabile che se il 5,5% della popolazione globale consuma con frequenza importante qualcosa, questa non può non rappresentare un fenomeno culturale. Secondo il Governo, l’uso delle sostanze proibite ha interessato almeno una volta nella vita il 30% della popolazione, ma se anche non volessimo credere a questi numeri, un’ulteriore prova dell’importanza del rapporto degli esseri umani (e pure degli animali!) con le piante psicoattive ci viene dall’archeologia, dalla mitologia, dalla letteratura, dall’etno-botanica e etno-medicina e, in ultima analisi, dalla natura. Le piante mediche o maestre accompagnano l’esperienza umana da millenni suscitando stati non ordinari di coscienza come sollievi da pene.
Che si tratti di cannabis, papavero o foglia di coca, aliane o radici, si trovano tracce di tutto questo “ben di dio” in tutto il Mediterraneo, nel cuore dell’Africa, nelle praterie delle Americhe, nella regione andino-amazzonica, in Asia minore, in quella centrale, fino ad arrivare all’India. In parte autoctone in parte da sempre commerciate come le spezie, queste sostanze ricche di principi attivi sono state utilizzate per star insieme, tra umani o cogli dei, e per curarsi. Fanno parte della storia dell’umanità tanto quanto i prodotti dell’ingegno umano di sintesi chimica.
Eppure, nel 2019, tocca leggere che si ritiene che sia meglio reperirle da qualcuno che non ci può garantire cosa compriamo piuttosto che potersele coltivare o acquistare a prezzi concorrenziali in un qualche dispensario. Certo consumarle male, molte, tutte insieme e/o in condizioni generali critiche, può comportare problemi, molti problemi – proprio come altre sostanze parte della nostra tradizione come il vino – ma proprio per questi motivi occorre accrescere la consapevolezza di rischi e danni e cercare di ridurli nel modo più aperto e meno colpevolizzante che c’è: togliendole dal mercato nero. Legalizzarle non risolverà tutti i problemi, nessuno l’ha mai sostenuto, ma potrà concorrere a diminuirli strutturalmente.
Invito Arlacchi, e tutti coloro che seriamente si vogliono avvicinare all’esercizio della valutazione dell’impatto della legalizzazione della cannabis a: 1) tener presente che in nessun caso è stata affiancata alla legalizzazione di altre sostanze, e che comunque, oltre che esser di recente applicazione, non si è mai arrivati alla totale liberalizzazione della produzione e vendita di quanto prima proibito; 2) studiare con attenzione le relazioni delle autorità competenti là dove si è legalizzato, in particolare quella dell’ufficio del Governatore dello Stato del Colorado che monitorano costantemente gli impatti della regolamentazione legale sulla salute.
Tenendo presente il passaggio da stime a cifre consolidate, ma anche il fatto che non tutte le contee dei vari stati hanno deciso di legalizzare, si può affermare che non c’è stata un’esplosione di consumi e che comunque le persone preferiscono comprare legalmente piuttosto che illegalmente, con benefici significativi anche per le casse dello Stato. Tendenze simili si registrano anche negli altri stati che hanno legalizzato, come il Washington o l’Oregon. E’ ancora presto per capire quale sarà l’impatto in California, o in Canada, ma anche qui aver consentito scelte libere e aver applicato la legge retroattivamente per quanto riguarda arresti anche per spaccio ha creato le condizioni per un futuro di legalità, oltre che di libertà di scelte, per decine di migliaia di persone.
Visto che in conclusione del suo commento Arlacchi auspica un aggiornamento “minimo” sulla materia diciamo che c’è di che ponderare e aprire un dibattito pubblico sulla complessità del fenomeno.