A tu per tu

Eluana Englaro (Lecco, 25 novembre 1970 – Udine, 9 febbraio 2009) è stata una donna italiana che, a seguito di un incidente stradale, avvenuto il 18 gennaio 1992, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale; il caso fu al centro di una lunga vicenda giudiziaria tra la famiglia sostenitrice dell’interruzione del trattamento e la giustizia italiana, divenendo anche argomento di polemica politica.

L’incidente stradale avvenne il 18 gennaio 1992, al ritorno da una festa a Pescate, paese alle porte di Lecco; la giovane Eluana, che aveva da poco compiuto 21 anni e frequentava la Facoltà di Lingue all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, perse il controllo dell’automobile a causa del fondo stradale gelato e si schiantò contro un palo della luce e quindi contro un muro, riportando lesioni craniche gravissime e una frattura con slittamento della seconda vertebra che causò un’immediata paresi di tutti e quattro gli arti. All’arrivo dei soccorsi, la giovane era in coma.

Dopo alcuni mesi nel reparto di terapia intensiva degli ospedali di Lecco e Sondrio, Eluana uscì dal coma ma, proprio a causa delle lesioni cerebrali estese e irreversibili, fu dichiarata in stato vegetativo, condizione che escludeva la coscienza di sé e del mondo circostante e la possibilità di comunicare o interagire in alcun modo con l’ambiente esterno, relegando la paziente in una condizione tendenzialmente perpetua di totale incoscienza.

Secondo dichiarazioni della famiglia Englaro, appena resisi conto della situazione disperata di Eluana, i genitori iniziarono a chiedere ai medici la sospensione dei trattamenti, rappresentando loro che la propria figlia avesse ripetutamente affermato di non desiderare inutili accanimenti terapeutici.

Il padre di Eluana, Beppino Englaro, dal 1999 chiese ripetutamente  la sospensione dell’alimentazione artificiale e delle terapie a cui era sottoposta la figlia, portando a supporto della richiesta diverse testimonianze di amiche della figlia volte a dimostrare l’inconciliabilità dello stato in cui si trovava e del trattamento di sostegno forzato che le consentiva artificialmente di sopravvivere (alimentazione/idratazione mediante sondino naso-gastrico) con le sue precedenti convinzioni sulla vita e sulla dignità individuale.

Al termine di un lungo iter giudiziario, con il decreto del 9 luglio 2008, la Corte d’Appello civile di Milano autorizzò Beppino Englaro, in qualità di tutore, a interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione forzata che manteneva in vita Eluana per «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno».

In riferimento alla sentenza che autorizzava la sospensione dei trattamenti, entrambi i rami del Parlamento italiano (controllati dalla coalizione di centrodestra alla cui guida si trovava Silvio Berlusconi) votarono la promozione di un conflitto di attribuzione contro gli organi giurisdizionali ritenendo che il provvedimento autorizzativo costituisse «un atto sostanzialmente legislativo, innovativo dell’ordinamento normativo vigente», come indicato dalla relazione di maggioranza della Commissione Affari Costituzionali annunciata in aula il 22 luglio 2008. Tale atto fu respinto dalla Corte Costituzionale.

Il 16 dicembre 2008, il governo emanò un atto d’indirizzo volto a vietare alle strutture sanitarie pubbliche e private convenzionate col Servizio Sanitario Nazionale l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione forzate, con la minaccia di escludere queste strutture dallo stesso;

Il 19 dicembre 2008 i rappresentanti delle Associazioni Luca Coscioni, Radicali Italiani e Nessuno Tocchi Caino sporsero denuncia nei confronti del ministero del lavoro, presso la procura di Roma, per violenza privata mediante minaccia, con riferimento al suo atto d’indirizzo emanato pochi giorni prima.

L’impasse sulla vicenda si sbloccò allorché la Residenza Sanitaria Assistenziale “La Quiete” di Udine si dichiarò disponibile a ospitare la Englaro per l’attuazione della sentenza di sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata; un’équipe di circa quindici tra medici e infermieri, volontari ed esterni alla clinica, si rese disponibile ad attuare il protocollo terapeutico concordato con la famiglia Englaro, conformemente a quanto disposto in decreto dalla Corte d’Appello di Milano.

Il 3 febbraio 2009, alle ore 1:30, un’ambulanza con a bordo Eluana Englaro (scortata dall’autovettura del padre Beppino) lasciò la casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco. Nello spazio antistante la clinica, alcuni manifestanti (riconducibili a partiti e associazioni di centrodestra, cattoliche, conservatrici e pro vita) si assieparono per protestare, inveendo contro il padre della giovane, contro i paramedici della Croce Rossa e urlando a voce alta “Eluana svegliati”. Alcune persone tentarono fisicamente di bloccare l’autoambulanza che trasportava la giovane, venendo allontanati dalla forza pubblica. Poco meno di cinque ore dopo, verso le 6 del mattino, l’ambulanza giunse alla RSA “La Quiete” di Udine.

Al mattino del 6 febbraio 2009 l’équipe annunciò l’avvio della progressiva riduzione dell’alimentazione.

Lo stesso pomeriggio del 6 febbraio il Consiglio dei Ministri approvò un decreto-legge volto a vietare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (che non aveva mai visto di persona la donna, nonostante l’appello del padre a farle visita per rendersi personalmente conto delle pietose condizioni in cui era ridotta), intervenendo in conferenza stampa a Palazzo Chigi, disse che Eluana Englaro aveva ancora «un bell’aspetto» e un’aria sana, chiosando che ella avrebbe potuto «in ipotesi anche generare un figlio» nonostante lo stato vegetativo permanente e la paresi, probabilmente fondando la propria affermazione su quanto dichiarato dalle suore che avevano avuto in cura Eluana, che avevano dichiarato come la donna avesse ancora sporadicamente il ciclo mestruale. In tale occasione il Presidente del Consiglio aggiunse anche che, a suo parere, l’unico desiderio del padre della ragazza sarebbe stato quello di “togliersi di mezzo una scomodità” e rivolgendo invece parole d’elogio alle suore della struttura medica che assisteva la giovane senza fare menzione alcuna della famiglia di Eluana.

A stretto giro il Presidente della Repubblica inviò una lettera a Berlusconi, indicando le proprie forti perplessità circa l’ipotesi di intervenire per decreto sull’attuazione della sentenza e riserve sulla costituzionalità dello stesso. Allorché gli fu sottoposto il decreto, il Presidente della Repubblica rifiutò di firmarlo definendo non superate le obiezioni di incostituzionalità precedentemente espresse.

Alle ore 20 il Consiglio dei Ministri, riunito in sessione straordinaria, approvò il disegno di legge n° 1369, con gli stessi contenuti del decreto precedentemente rifiutato, trasmettendolo immediatamente al Senato, che si riunì per discuterne in sessione straordinaria lunedì 9 febbraio 2009 (normalmente il lunedì l’aula di Palazzo Madama è chiusa). Durante la giornata molti commentatori e leader politici stigmatizzarono lo scontro istituzionale in atto fra il governo e il Capo dello Stato.

La sera del 7 febbraio 2009 alcuni media diffusero la notizia secondo cui “per la gravità della situazione” sarebbe stato modificato il protocollo, anticipando la sospensione totale dell’idratazione e dell’alimentazione. I legali della famiglia Englaro replicarono che le uniche modifiche al protocollo erano state decise a seguito del mancato ricovero nella clinica “Città di Udine”, stanti le diverse esigenze di una struttura non ospedaliera quale era invece “La Quiete”.

La morte di Eluana Englaro sopravvenne alle 19:35 del 9 febbraio 2009; alle 20:40 la notizia fu confermata anche dalla presidentessa della Residenza sanitaria assistenziale nella quale la donna era ricoverata.

La notizia giunse in Senato proprio durante la discussione del DDL n° 1369 in materia di alimentazione e idratazione, suscitando clamore e reazioni scomposte nell’aula. Il Governo, di concerto con la presidenza del Senato e i gruppi parlamentari, in conseguenza del decesso di Eluana, ritirò il disegno di legge in cambio dell’immediata discussione del testo più articolato relativo al testamento biologico e alla disciplina dei casi di fine vita.

L’11 febbraio successivo, dall’esame autoptico effettuato su ordine della procura della Repubblica di Trieste, si evinse che la causa del decesso di Eluana Englaro fu arresto cardiaco derivante da disidratazione, compatibile quindi con il protocollo previsto e citato nella perizia. L’esame autoptico rivelò inoltre le condizioni gravemente deteriorate del fisico della donna, in particolare dei polmoni e dell’apparato respiratorio in generale; di fatto, a causa della paresi e del prolungato decubito, i polmoni di Eluana erano irrigiditi e ossificati e le orecchie deformate a causa delle ore trascorse distesa su un fianco. Il cervello della donna, inoltre, presentava lesioni di devastante gravità, a ulteriore conferma che la sfortunata giovane, fin dal momento dello schianto automobilistico, aveva irreparabilmente perso le proprie funzioni cognitive e comunicative. Le esequie si tennero il 12 febbraio alle ore 14 nella chiesetta di san Daniele a Paluzza (luogo di origine della famiglia Englaro) in forma strettamente privata. Al termine del rito, Eluana fu sepolta nella tomba di famiglia nel cimitero comunale.

Forse Eluana e Silvio sono ora a tu per tu, e possono parlarsi con la necessaria serenità.

(modificato da https://it.wikipedia.org/wiki/Eluana_Englaro)