La strana guerra alla droga del Corriere e i neo-proibizionisti

Droghe

Da qualche giorno il Corriere della Sera s’è accorto che in Italia gira la droga. In effetti il fenomeno esiste, e resiste, da anni. In parte è frutto di una mancanza di sincera e competente attenzione istituzionale, in parte prodotto di un’attenzione mediatica a singhiozzo. Questo combinato disposto ha concorso a rendere il nostro Paese il centro della grande distribuzione verso l’Europa di stupefacenti provenienti dall’America Latina e dal Sudest asiatico, ma ha anche creato una “cultura della droga” che, seppur con occasionali eventi tragici, ha trovato il modo di autogovernarsi.

Secondo la relazione sulle droghe del Governo, quasi otto milioni di italiani hanno incontrato una sostanza proibita nel corso del 2017; nel lungo periodo quasi un terzo della popolazione le ha provate almeno una volta nella vita. Se incrociamo questi dati col numero di persone effettivamente arrestate per le violazioni del Testo Unico sulle droghe vediamo che si tratta di 15.000 persone al massimo. Sicuramente una quantità sproporzionata rispetto al numero totale dei detenuti del nostro paese, che all’inizio dell’anno ha di poco passato le 60.000 persone, ma una percentuale infinitesimale rispetto al numero di chi coltiva, compra, consuma o semplicemente detiene sostanze proibite.

Questa rinnovata attenzione alla droga del Corriere è partita il 15 febbraio con un commento di Antonio Polito intitolato “La droga e i nostri ritardi” in cui si evidenziano cinque punti che continuano a rendere in Italia, quanto dappertutto, il consumo problematico di sostanze stupefacenti un fenomeno, a tratti, molto preoccupante.

Quando si parla di droghe, oltre che a metterle tutte rigorosamente nello stesso gruppo, se ne parla sempre in toni allarmistici ed emergenziali, facendo riferimento a storie che, per motivi non necessariamente legati al problema che vogliono evidenziare – e recentemente tutte purtroppo tutte al femminile – diventano la notizia del giorno restandolo giusto per qualche giorno.

Le pur tragiche vicende ricordate da alcune inchieste del Corriere, specie quelle agghiaccianti del boschetto di Rogoredo vicino a Milano, ci dicono che i numeri dei consumatori problematici sono, fortunatamente, molto limitati. Secondo il sito Geoverdose, dall’inizio dell’anno sono 33 le morti da collegare (anche) all’uso di droghe. Sicuramente molte, ma fortunatamente un numero ristretto rispetto al milione di italiani che fa uso frequente delle cosiddette droghe pesanti.

Paradossalmente è proprio per la dimensione contenuta del fenomeno, almeno nella sua tragicità, che sarebbe meno difficile provare a prendersene cura con campagne di informazione, prevenzione di uso problematico, consumo consapevole, ripercussioni penali e finanziamento di tutta una serie di servizi per aiutare chi ne ha realmente bisogno, piuttosto che parlare di “tunnel della droga”.

Tra le altre cose, dal 2018 la “riduzione del danno” da uso di sostanze proibite è prevista  da i Livelli Essenziali di Assistenza.

Se la Ministra Giulia Grillo non ha ancora chiarito quale sia la descrizione dei servizi o programmi di “riduzione del danno” – e quanti soldi vi saranno destinati -, il Ministro Lorenzo Fontana, che ha la delega alle “droghe”, quotidianamente rilascia dichiarazioni che dimostrano quanto sia nuovo alla materia e quanto, nella sua impreparazione, non perda occasione di pescare da un repertorio retorico che appartiene agli anni più bui del proibizionismo italico – quando il dibattito pubblico era tutto incentrato sulla demonizzazione di interi gruppi di persone, sulla stigmatizzazione di comportamenti e scelte e sull’obbligatorietà di doversi “disintossicare”.

Le affermazioni del Ministro Fontana, almeno a oggi, sono rimaste tali, ma se il Governo dovesse metter mano alla normativa sulle droghe recuperando quanto il referendum radicale del 1993 prima, e la Corte Costituzionale nel 2014 poi , hanno demolito, ci troveremmo di fronte a un drammatico ritorno al passato fatto di morte e galera per miglia e migliaia di persone.

Nel suo editoriale del 15 febbraio, Polito notava giustamente che la legge nazionale risale al 1990, quando sostanze e consumi, come la loro dimensione culturale, erano radicalmente diversi. Se oggi non sembrano esserci le condizioni per una riforma di buon senso della legge sulle droghe, a legislazione vigente si potrebbe comunque evitare il sistematico inserimento nel circuito penale di persone che consumano e posseggono stupefacenti. Tra l’altro, per andare genuinamente nella direzione evocata dal Ministro Fontana di “proteggere i giovani”, piuttosto che cancellare quelle zone d’ombra della normativa che consentono un minimo di discrezionalità ai magistrati (di per sé negativa in termini di “certezza del diritto” ma un escamotage di fronte a una legge a tratti criminogena), occorre rendere efficienti i meccanismi di allerta rapida, gli strumenti di controllo nelle zone di maggior vendita o consumo, far crescere consapevolezze su rischi e danni di certi consumi e lanciare allarmi puntuali sulla qualità di “partite” pericolose.

Al contempo, se si garantisse o favorisse un’informazione laica e neutrale delle ripercussioni psico-fisiche dell’uso delle sostanze proibite, e si promuovesse la conoscenza delle varie misure dal punto di vista socio-sanitario e sanzioni dal punto vista amministrativo e penale con cui ci si deve relazionare quando si parla di droghe, si potrebbe contribuire a non demonizzare chi fa uso di stupefacenti e concorrere a non alienarlo da una serie di attenzioni e servizi che pur (r)esistono in Italia.

Senza però una radicale riforma di leggi e politiche che regolamentino la produzione, il consumo e il commercio di quanto oggi è proibito, non saremo mai in grado di “controllare” questo fenomeno. Ce lo dimostrano i pochi esempi in controtendenza in giro per il mondo – a partire da USA, Canada e Svizzera – dove alla tolleranza zero è stata opposta la legalizzazione della cannabis che, anche nel brevissimo periodo, ha radicalmente cambiato testo e contesto in materia di droghe.

Lo avevo detto fin dall’inizio del suo mandato l’estate scorsa: il Ministro Fontana non è il politico meglio attrezzato per governare un fenomeno complesso, e radicato, come quello delle droghe; le elezioni europee potrebbero farlo sollevare dall’incarico, speriamolo.