Una battuta innanzitutto, suggeritami dall’intervento di Gianfranco Spadaccia di ieri. Spadaccia ha detto: la sperimentazione sugli animali possiamo accettarla per l’uso medico, sono contento che l’abbiano proibita per quel che riguarda invece la produzione di cosmetici. Non credo che Spadaccia ne avesse l’intenzione, ma a me sembra che questa sia un’ipocrisia: perché mai la bellezza della donna, la ricerca di piacere – di esser bella – della donna deve essere considerata un fatto della moda da moralisticamente punire, mentre il cancro è una cosa seria? No, la bellezza della donna e il suo desiderio sono un fatto sociale, storico, culturale, di estrema importanza e la ricerca, la sperimentazione sugli animali fatta in funzione di tale esigenza vale quanto l’altra – naturalmente se fatta correttamente, se non si massacra o si tortura l’animale e se non c’è contrapposizione o alternativa con la ricerca sul cancro, se insomma c’è la possibilità di fare ricerca per l’uno e l’altro obiettivo. Perché? Per i motivi che ho appena detto e che non c’è bisogno di spiegare ulteriormente: sono di una evidenza facilmente percepibile.
Ritengo importante questa messa a punto. Mi pare che la questione animalista stia occupando uno spazio eccessivo nel nostro dibattito. Trovo strano che si mettano in discussione le tante possibilità della ricerca scientifica, della scienza, in questa sede, nella Coscioni, che fa della scienza un punto centrale della sua iniziativa: la Coscioni si batte per la ricerca, per la scienza, la libertà della ricerca e della scienza. E’ incomprensibile quindi questa paura della ricerca, della libertà della scienza anche quando viene effettuata sull’animale, nei limiti con cui l’uomo sta cercando di migliorarne le condizioni, evitando inutili barbarie. La scienza non è sadica, è l’antiscienza che è sadica. Ma questo è ancora un altro discorso.
Allora, devo dire che mi ha affascinato l’intervento del Prof. Veronesi. Le cose che ci ha spiegato, ciascuno di noi – più o meno da dilettante -, le ha sentite, ma la messa a fuoco che ci ha offerto il professore, circa il problema del corpo come struttura fondante del diritto, appare essenziale. Credo che mi farò dare la trascrizione e utilizzerò impunemente, in altre sedi ed occasioni, il suo intervento, perché nella sua complessità mi dà alcune certezze, alcune sicurezze rispetto alle idee vaghe e incerte che potevo avere in precedenza.
Ma mi consenta, professore, e consentitemi voi, di ricordare, da radicale, che quando di queste cose ancora non si parlava, quando non era nemmeno immaginabile questo dibattito, cioè negli anni ’60, i Radicali utilizzarono, misero in gioco consapevolmente il corpo, il loro stesso corpo; magari rovesciando le posizioni rispetto a quanto di ha detto il professor Veronesi: perché loro usarono il corpo per fare diritto, per fare legge. La differenza tra il radicale e il liberale è proprio in questo; tutti e due vogliono il cambiamento delle leggi, ma il radicale per ottenere l’obiettivo mette in gioco il proprio corpo: i nostri sit-in erano il veicolo per far parlare direttamente il corpo; non era il deputato, o il professore, o il politologo che parlava, dicendo anche cose bellissime, ma era il cittadino, i cittadini in quanto tali che mettevano in gioco se stessi – lo feci io stesso quando ero giovane e potevo – scendendo in piazza, mettendo appunto il corpo in gioco, facendosi prendere a bastonate dalla polizia, andando dentro: era il corpo che parlava – con gli strumenti della nonviolenza – non la voce. Questo rovesciamento del rapporto del/con il corpo è una scoperta fondamentale, storica direi, del secolo scorso. Credo che noi Radicali l’abbiamo interpretata e promossa, senza essere ben consapevoli che ci fosse in ballo tutto questo; lo facemmo sulla scia dei movimenti americani dei diritti civili. Non a caso: quei “figli dei fiori” sostenevano che il diritto del corpo, il diritto civile, fosse superiore allo Stato: la donna nera che entra nel tram, si siede e non scende quando viene minacciata, afferma che che così facendo lei esercita un suo pieno diritto, il diritto del suo corpo ad occupare un sedile di tram, o di autobus: il suo esempio, il suo modello di iniziativa civile e politica è una delle grandi scoperte, o invenzioni, del secolo scorso, e vale anche per il nostro.
Perché in questo campo è ancora tutto in gioco, tutto è aperto e possibile, in Italia e nel mondo. Il Prof. Veronesi ha citato alcune iniziative positive della magistratura, e qui mi è venuta un’osservazione che mi aveva già sollecitato, ieri, Santosuosso, quando diceva: badate, alcuni standard giudiziari nati con il caso Englaro ancora tengono: noi abbiamo questo dato interessante per cui la legislazione è arretrata, la giurisprudenza invece, a volte persino conflittualmente con se stessa – perché altre volte invece è sadica – consente ogni tanto di spezzarne e travolgerne le chiusure. La legge 40 – quella per cui fu indetto il referendum perduto per le ragioni che tutti ricordiamo – è stata praticamente smantellata dalle sentenze della magistratura, tranne non so quale sua parte – non sono così bravo a ricordare questi temi e problemi. Questo è il dato di fatto, la situazione in cui ci troviamo e qui devo dare atto, do volentieri atto alla Coscioni di aver assunto la linea di iniziativa giudiziaria, la linea giurisprudenziale, non più come seconda linea rispetto a quella propriamente politica, ma forse proprio come prima linea di confronto. Oggi io ritengo che sia la prima, perché sul fronte giudiziario le contraddizioni sono forti e stanno esplodendo. La relazione del Prof. Veronesi ne ha elencate parecchie, e questo mi pare sia un dato fondamentale, fondante della nostra situazione e dell’attività della Coscioni nel prossimo anno.
La dottoressa che oggi è segretaria, l’amica Filomena Gallo, si occupa professionalmente di legge, di diritto, queste cose le conosce, quindi siamo in buone mani, proprio perché questo è un punto di partenza che andrà tenuto presente nel futuro.
Vorrei ricordare ancora che ieri si è parlato a lungo contro le multinazionali farmaceutiche, il complesso farmaceutico industriale, che determina l’impossessamento, il monopolio della farmacia, della farmaceutica, delle medicine etc., Ieri è stato fatto anche un lungo discorso circa la medicina, il medico, l’ospedalizzazione, queste cose. Consentitemi allora di inserire alcuni dati, qualche ricordo, interessante perché ci suggrisce una continuità tra storia e attualità: molti anni fa c’erano già le multinazionali dell’agricoltura che monopolizzavano la produzione e la commercializzazione di una serie di cibi, di prodotti naturali. Famoso era allora il monopolio delle banane, per cui era possibile commercializzare solo le banane di quella multinazionale americana, di cui al momento non ricordo il nome. Sapete qual era però la conseguenza apparentemente secondaria ma forse principale di questa situazione? Anzi, ce ne erano due. La prima: grazie all’imposizione monopolistica, i paesi del terzo mondo furono obbligati a comprare cibo – grano, riso, mais – che sostituiva i loro prodotti naturali, la tapioca, la manioca, perché le grandi multinazionali non avevano interesse a sviluppare questi prodotti troppo di nicchia, ignorati dai grandi mercati mondiali. L’economia ha leggi ferree: il contadino africano era obbligato a consumare il granturco, il grano, ecc., e non più il suo cibo tradizionale, determinando e attivando un serio problema antropologico, con la trasformazione dei costumi, delle abitudini, ecc. Il cibo, come sappiamo, è una faccenda importante, così come il corpo e i suoi attributi, ecc. I contadini africani, e non solo loro, hanno dovuto violentemente modificare le proprie abitudini alimentari, le multinazionali ve li costringevano.
Seconda grave conseguenza di quei monopoli: loro – per esempio quelli della banana – coltivavano due o tre varietà. Ma la banana aveva invece centinaia di varietà. Quelle non utilizzate dalle multinazionali venivano dismesse, non più coltivate, e finivano con l’essere distrutte. Allora si pensò che fosse opportuno di conservare il seme di queste varietà di nicchia, meno utilizzate: c’era la possibilità di preservare questa biodiversità: era dunque importante conservarle, metterle in frigorifero e così salvarle, perché forse sarebbero tornate utili. Nel ‘700 in Irlanda le patate – che costituivano la base dell’alimentazione dei poveri – si ammalarono, sopravvenne una carestia spaventosa e morirono un milione di irlandesi: molti di quelli che sopravvissero andarono in America, così cominciò l’emigrazione irlandese verso l’America. Sapete come fu salvata, in Irlanda, la coltivazione della patata? Alcuni studiosi – scienziati o quello che fossero – andarono in America e trovarono le varietà di patate originarie, selvatiche, che non erano attaccate da quella peste infettante che distruggeva la patata coltivata. Queste varietà furono importate in Irlanda, furono innestate – non saprei dire quale fu la tecnica utilizzata – le piante non furono più attaccate dalla malattia, la coltura della patata si salvò.
Questo tipo di problema si ripropone oggi. La battaglia – contro le multinazionali per la conservazione della biodiversità e per il rispetto o per lo meno un certo tipo di accordo con le abitudini alimentari dei popoli – non saprei dire se fu vinta o persa, ma direi che ci offre degli insegnamenti ancora validi rispetto ai problemi della medicina, dell’ospedalizzazione, di cui abbiamo parlato e che interessano la Coscioni.
Chiudo: ieri mi pare – non sono sicurissimo – il professor Strata ha ricordato i 100 scienziati, anzi 200, che hanno firmato una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica. Pochi giorni prima un centinaio di costituzionalisti avevano mandato una lettera al Presidente della Repubblica sulle vicende della giustizia italiana e della sua malattia. Il caso giudiziario, il tema della giustizia, e il caso medico, della scienza, si rivolgono ambedue – con lo stesso obiettivo – al Presidente della Repubblica. Purtroppo, il Presidente della Repubblica non risponde, nell’uno e nell’altro caso. Qui siamo nel cuore dello scontro politico attuale e questo mi pare il tema centrale: come far sì che quella lettera – cioè noi, la Coscioni, quella lettera indirizzata al Presidente della Repubblica – abbiamo il successo che meritiamo e perseguiamo, insieme e in parallelo con la lettera inviata dai costituzionalisti allo stesso Presidente della Repubblica? Abbiamo qui la coincidenza perfetta tra il corpo, il “corpo del malato” – fortunata invenzione quella della Coscioni, dal corpo del malato al cuore della politica – e il corpo del detenuto. Questi corpi chiedono, secondo le indicazioni che ci dà il Prof. Veronesi, giustizia e diritto. E’ la stessa identica problematica, direi la problematica epocale del nostro tempo: rovesciare il diritto che viene dall’alto e far crescere il diritto che nasce non dico dalla consuetudine e neppure dall’uso, ma dalla convivenza: è proprio il convivere nella società che crea quella che noi diciamo veritas filia temporis, la verità che si forma e diventa diritto naturale, non teologicamente ma storicamente acquisito.
Questo è il nostro tempo, questa è la scommessa, la sfida, la battaglia che dobbiamo affrontare: individuare queste direttive di marcia – che sono comuni come vediamo e non poteva essere diversamente – è il compito della Coscioni. Spero che possa realizzarlo. Grazie.