Dal 2 al 6 marzo si tiene presso le Nazioni unite di Vienna la 63ª sessione della Commissione delle Nazioni Unite sugli stupefacenti (CND); come tutti gli anni la fase plenaria è anticipata da intense giornate preliminari per negoziare l’agenda e buona parte delle risoluzioni che dovranno essere adottate. Il tema più “caldo” di quest’anno era la raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di ricollocare la cannabis all’interno della suddivisione delle sostanze sotto controllo. Da anni un gruppo di esperti dell’OMS compila studi, ricerche ed evidenze che dimostrano quali e quanti impieghi terapeutici siano sviluppabili grazie alla cannabis – sia che si tratti di prodotti a base di canapa tra cui CBD di origine vegetale e/o preparati di cannabis per uso medico con contenuto trascurabile di THC (inferiore allo 0,2%).
I negoziati a porte chiuse tenutisi prima della sessione hanno portato alla decisione di posticipare, per la seconda volta, il voto della CND sulle raccomandazioni dell’OMS. Proprio come accaduto alla vigilia della Commissione dell’anno scorso, il voto sulla revisione del posizionamento della cannabis è ora fissato per la sessione del 3-4 dicembre 2020, quando di solito l’attenzione politica e mediatica è minore.
Durante la 63a sessione della CND si terranno almeno due incontri che esamineranno in modo specifico le questioni relative al CBD. Come da alcuni anni a questa parte i partecipanti alla riunione dell’ONU potranno ascoltare pareri e impostazioni di tipo diverso rispetto alla minoranza rumorosa di stati membri, guidati dalla Russia, che continuano a impedire un minimo di buon senso (almeno) sulla cannabis.
Questa CND segna anche l’esordio dell’egiziana Ghada Waly, il direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite sulla droga e il crimine eletta alla fine del 2019 in sostituzione del russo Yuri Fededov, mentre l’olandese Cornelis de Joncheere, presidente della Giunta Internazionale per gli stupefacenti (INCB), nella conferenza stampa di presentazione della relazione annuale dell’iNCB ha lanciato la proposta di prendere in considerazione di “riconoscere che le convenzioni sono state elaborate 50 e 60 anni fa” e che il 2021 potrebbe essere “un momento appropriato per verificare se esse siano ancora adatte allo scopo o se abbiamo bisogno di nuovi strumenti e approcci alternativi per affrontare questi problemi”. Per il resto il rapporto della Giunta è il solito mix di bastone e carota.
Il prossimo anno segnerà il sessantesimo anniversario della Convenzione unica del 1961 sulle droghe.
Le risoluzioni che dovranno esser prese in esame dalla CND di quest’anno affrontano temi come il rafforzamento dei partenariati con il settore privato, il miglioramento della raccolta e analisi dei dati per l’elaborazione di risposte basate sulle evidenze, il coinvolgimento dei giovani negli sforzi di prevenzione della droga, assicurare l’accesso e la disponibilità di sostanze controllate a fini medici e scientifici, nonché la promozione di approcci e sviluppi alternativi alla coltivazione illegale delle colture.
Sono attesi più di 2.000 partecipanti provenienti da Stati membri, parlamenti, organizzazioni intergovernative e non-governative e comunità scientifica che oltre ad ascoltare i lavori in plenaria potranno assistere anche a oltre 100 eventi laterali su argomenti che vanno dalla parità di genere alla prevenzione degli usi problematici delle sostanze; dal trattamento e cura delle persone con disturbi da uso di droghe al contrasto alle minacce di droghe sintetiche, dalla lotta contro il traffico di droga allo sviluppo alternativo per mezzi di sussistenza sostenibili, dalla ricerca e dati sull’offerta a quelli sul traffico di droga, dalla partecipazione dei giovani alla prevenzione dell’uso di droghe.