Cervelloni d’Italia uniti, ma non sempre realizzati

Repubblica Venerdì
Valerio Millefoglie

Un bambino osserva curioso una doppia elica di Dna che tiene in pugno come fosse una girandola colorata. E’ la copertina del saggio G come Geni. L’impatto della genetica sull’apprendimento (Raffaello Cortina Editore, pp. 200, euro 18), a cura della psicologa Kathryn Asbury e del genetista Robert Plomin.

Il libro parte con il confutare la tesi della tabula rasa, secondo cui ognuno di noi alla nascita è una pagina bianca sulla quale famiglia, ambiente ed esperienze individuali scrivono ciò che diventeremo. Più avanti, un paragrafo è invece dedicato al Mensa, l’associazione che riunisce le persone con un quoziente intellettivo sopra la media.

Lo statuto dell’associazione recita: «I soci Mensa vanno da persone che hanno lasciato la scuola quando avevano un’età compresa fra quella della scuola materna e quella della scuola secondaria a persone con diversi dottorati. Alcuni sono poveri, altri milionari. Sono professori e camionisti, scienziati e vigili del fuoco, programmatori di computer e contadini».

Qual è lo scarto fra intelligenza e riuscita nella vita? A cosa serve essere intelligenti? Per saperlo ho sottoposto un piccolo campione di soci del Mensa Italia a una sorta di «test per chi ha passato il test del QI», con domande come: qual è la sua definizione d’intelligenza? A che età ha fatto il test e per quale motivo? Qual è la cosa più intelligente che ha fatto nella sua vita? Dalle risposte, sono emersi questi brevi ritratti che potremmo intitolare L’impatto dell’intelligenza sulla vita.

«L’intelligenza classificata con il QI si riferisce esclusivamente a quella logico-matematica» mi dice un primario endocrinologo, professore universitario e socio Mensa dal 2001. «Fra i miei colleghi ci sono persone di grandi potenzialità ma prive di alcune qualità che aiutano nella vita normale, e che io chiamerei più volentieri difetti. Non sgomitano, non ambiscono a emergere e purtroppo non trovano posto nella società. Conosco persone così intelligenti da non aver avuto neanche voglia di fare il test».

La cosa più intelligente che ha fatto nella vita, dice, è stata andare all’estero dopo aver superato un test di 950 domande di medicina generale, «La cosa più stupida che ho fatto è stata tornare». Per Alessandro Sala, ricercatore, bassista della band di power metal Rhapsody Of Fire e socio Mensa dal 2000, la cosa più intelligente è stata al contrario quella di tornare in Italia dopo il dottorato a Berlino. «Perché» dice «qui mi hanno offerto il posto migliore».

Massimo Alarpi, quarantasette armi, impiegato esattoriale, camicia azzurra, foulard blu, un’abbondante giacca color panna sul cui risvolto è appuntata la spilla del Mensa: «Sono nato sordo, per questo credo di aver sviluppato una certa intelligenza visiva. A quattro anni leggevo i fumetti, a cinque scrivevo, solo dopo ho imparato a parlare. Mia madre ha voluto che frequentassi una scuola normale. Non conosco il linguaggio dei sordomuti. Hanno la tendenza a chiudersi fra loro. Ho fatto il test del Mensa a trentatré anni per risollevarmi da un periodo di crisi».

Ha anche vinto il concorso letterario del Mensa con il racconto L’uomo inesistente. Il protagonista perde la madre prematuramente e smette anche lui di esistere. Diventa invisibile agli altri, si trasforma in un vagabondo e nemmeno gli specchi riflettono la sua immagine. Un giorno vede una ragazza che fa il bagno nuda in una fontana. Anche lei è convinta che nessuno possa accorgersi di lei. I due si riconoscono e insieme tornano a riflettersi nelle vetrine dei negozi. Gli chiedo se svolge il lavoro che ha sempre sognato. «No, faccio il lavoro che ho trovato. Il successo è qualcosa di tuo».

Natalia Buzzi, direttore scientifico presso un’azienda privata di ricerche e cantante della cover band di Mina e Battisti, Miba, «A 19 anni un amico in facoltà m’indicò un ragazzo dicendo: “Quello lì è iscritto al Mensa”. Ho poi rimosso l’informazione che è riaffiorata nel Duemila, dopo aver visto un servizio in tv. Quel ragazzo l’ho rivisto da adulta e l’ho incolpato della mia felicità perché al Mensa ho conosciuto mio marito, quindi sì l’intelligenza mi ha cambiato la vita.

I miei genitori sono partiti dal nulla. È sempre da considerare il punto di partenza. Chi parte svantaggiato e diventa ad esempio operaio, ha già raggiunto un traguardo. I miei arrivavano da un paesino della provincia di Rieti, da una condizione economica di basso profilo. Hanno aperto un supermercato a gestione familiare. Ci sono cresciuta dentro e credo di aver avuto un punto di vista sul mondo che tanti bambini non hanno avuto. Ricordo una bambina non vedente che si muoveva fra gli scaffali più a suo agio di me perché la madre le aveva spiegato l’esatta sistemazione delle cose. Erano due persone belle e serene, con un problema gigantesco avevano trovato uno splendido equilibrio».

Maurizio Cardillo, 57 anni, responsabile di una ditta d’impianti elettrici. Si è sottoposto al test a 42 anni perché da sempre appassionato ai quesiti di logica. Descrive gli altri iscritti al Mensa come vulcani in eruzione: «Quando siamo vicini a parlare delle cose più varie, diventano discorsi che ci cacciano via dai ristoranti». Ha giocato nella squadra di calcio ufficiale dell’associazione, I Forti di Testa. Giocando a bocce ha conosciuto il padre della sua futura moglie («Prima ho conosciuto mio suocero, poi mia suocera e infine mia moglie. Ho fatto il percorso inverso»). Hanno una figlia laureata in astrofisica che lavora all’Osservatorio di Firenze.

Ho poi parlato con un ragazzo che ha passato le prime selezioni per il progetto Mars One, un reality show che si prefigge di stabilire una colonia permanente su Marte. Una coppia che si è sposata a Nova Gorica durante un convegno del Mensa, il presidente dell’associazione ha officiato il matrimonio. Un ex ultrà del Verona, oggi contadino nell’azienda agricola che ha costruito con le sue mani, le stesse con le quali ha costruito dei robot ad altezza naturale per il compleanno del figlio. Una guardia forestale che sta terminando un corso per diventare doula «una donna che accompagna un’altra donna durante la gravidanza». Un uomo che con il risultato del test ha cercato «di lenire il dolore per il mancato raggiungimento di taluni obiettivi».

Dietro di loro un flusso di genitori presenti, molto presenti, per nulla presenti, giocatori d’azzardo, ingegneri con due lauree, casalinghe, gelatai, interni case di provincia, di città, di dopoguerra, di post-Sessantotto, di eliche del Dna che come girandole colorate si animano al soffio del bambino sulla copertina di G come geni, i geni s’intrecciano con l’ambiente e hanno vita continua.

La stessa vitalità che ha la signora Giovanna Marra Pierantonio, 62 anni, impiegata al ministero dell’Interno: ha passato il test a 42 anni dopo aver visto la pubblicità su una rivista femminile dal parrucchiere. La sua definizione d’intelligenza? «Non sono all’altezza di rispondere». La cosa più intelligente che ha fatto nella vita? «Posso rispondere dopo?».